Modelli e strategie

Il fallimento delle politiche ambientali UE e la necessità di investire anche in cultura della prevenzione

Un recente report ha identificato 36 rischi climatici e li ha valutati sotto diversi punti di vista, indicando poi le priorità dell'azione politica dell'UE
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Il fallimento delle politiche ambientali UE e la necessità di investire anche in cultura della prevenzione

La consapevolezza dei “rischi a cascata” è il fulcro del discorso dell’EEA, ma è anche una questione di musica (ritmo, tempistiche) e di matematica (modelli e previsioni). Sono alcune delle conclusioni di un recente report dell’EEA, «European Climate Risk Assessment» (EUCRA), che ha identificato 36 rischi climatici e li ha valutati sotto diversi punti di vista, indicando poi i rischi di fallimento delle politiche UE sull’ambiente e le conseguenti priorità che l’azione politica comunitaria deve intraprendere.

Musica e matematica
Fallimento politiche UE sull’ambiente? Le interazioni e l’urgenza
Fallimento politiche UE sull’ambiente: 36 rischi e 5 ambiti
È una questione di approccio…
…e di investimenti

Musica e matematica

È una questione di musica, ma anche di matematica.
Si possono riassumere in questo modo le conclusioni di un recente report dell’EEA, «European Climate Risk Assessment» (EUCRA), che:

  • ha identificato ben 36 rischi climatici con conseguenze potenzialmente gravi in tutta Europa,
  • li ha valutati sotto diversi punti di vista: “gravità e proprietà del rischio”, orizzonte politico (tempi di consegna e orizzonte decisionale), preparazione politica e
  • ha indicato le priorità dell’azione politica dell’UE, sulla base di una valutazione strutturata del rischio unita ad aspetti qualitativi.

Una questione di musica, si diceva: di tempo (o meglio: di tempistiche, spesso assai lunghe, per prendere decisioni, sovente parziali e contraddittorie) e di ritmo (il saper mettere gli accenti al posto giusto).
E di matematica: il cambiamento climatico, infatti, “è un moltiplicatore di rischi che può esacerbare i rischi e le crisi esistenti”, e i “rischi climatici a cascata” possono propagarsi esponenzialmente da un sistema o da una regione all’altro, portando a rischi nuovi, e a nuove, complesse e complicate, sfide.

Fallimento politiche UE sull’ambiente? Le interazioni e l’urgenza

Complesse, perché i rischi associati ai pericoli climatici dipendono anche da fattori di rischio non climatici: basti pensare all’uso insostenibile del territorio, alla gestione delle acque, alla perdita di biodiversità, all’eutrofizzazione e all’inquinamento, che aumentano la vulnerabilità degli ecosistemi ai rischi climatici.

Un’infrastruttura ben mantenuta ha meno probabilità di crollare durante un evento estremo; servizi sanitari forti, con solidi piani d’azione, hanno meno probabilità di implodere in caso di ondate di caldo o di epidemie; e comunità che improntano il loro “modus vivendi” alla prevenzione (anche assicurandosi) possono far fronte tempestivamente e meglio se si dovessero verificare eventi quali, ad esempio, un’alluvione.

Complicate, perché finora la considerazione dei fattori di rischio non climatici è stata la grande assente dalle (e nelle) politiche nazionali: questa assenza è stata una delle concause del fallimento delle azioni dichiarate (e non intraprese efficacemente) dagli Stati, negli ultimi anni.

Analizzare, capire e individuare delle soluzioni a tutte queste interazioni è essenziale per comprendere i rischi climatici, e quindi per ridurli “nel modo giusto”, sottolinea l’EEA: con gli strumenti giusti, e con le giuste tempistiche.

L’EUCRA ha seguito un processo sistematico di valutazione del rischio, per identificare ed analizzare i principali rischi climatici per l’Europa e determinare il “da farsi”, che ha portato a individuare e valutare 36 principali rischi climatici per l’Europa, raggruppati in cinque grandi cluster: ecosistemi, cibo, sanità, infrastrutture, economia e finanza.


L’analisi dimostra che sono già necessari (ieri…) interventi più incisivi per oltre la metà dei principali rischi climatici individuati dalla relazione, di cui “otto da attuare con particolare urgenza, principalmente per preservare gli ecosistemi, limitare l’esposizione umana al calore, proteggere la popolazione e le infrastrutture da inondazioni e incendi boschivi e garantire la sostenibilità dei meccanismi di solidarietà europei, come il Fondo di solidarietà dell’UE”.

Fallimento politiche UE sull’ambiente: 36 rischi e 5 ambiti

Il report elenca alcuni di quelli che possono essere esempi di “rischi a cascata”, nei cinque ambiti presi in considerazione:

  1. ambito «ecosistemi» (gli impatti climatici sugli ecosistemi terrestri, d’acqua dolce e marini possono ripercuotersi sulla produzione e sulla sicurezza alimentare, sulla salute umana e animale, sulle infrastrutture, sull’uso del territorio e sull’economia in generale);
  2. ambito «cibo» (gli impatti climatici sulla produzione alimentare, specie nelle zone dell’Europa meridionale, possono ripercuotersi sui mezzi di sussistenza rurali e costieri, sull’uso del territorio, sulla salute delle popolazioni socialmente vulnerabili e sull’economia in generale);
  3. ambito «salute» (gli impatti climatici sulla salute e sul benessere umano, compresi quelli dei lavoratori, possono influenzare la produttività del lavoro e il fabbisogno di risorse del sistema sanitario, e quindi dell’economia in generale);
  4. ambito «infrastrutture» (gli impatti climatici sulle infrastrutture critiche, come quelle energetiche, idriche o di trasporto, possono influenzare quasi tutti gli aspetti della società, dalla salute umana all’economia in generale e al sistema finanziario);
  5. ambito «economia e finanza» (molti impatti climatici possono incidere sull’economia e sul sistema finanziario, da dove possono riversarsi ulteriormente su altri settori politici che potrebbero essere privati di risorse finanziarie).

La consapevolezza dei “rischi a cascata” è il fulcro del discorso dell’EEA: tale consapevolezza “è fondamentale per ridurre i rischi climatici perché offre diversi possibili obiettivi per le strategie di riduzione del rischio: spesso è più efficace affrontare un rischio all’inizio della cascata piuttosto che nel punto in cui gli impatti sono più forti”.
Come a dire che prevenire è meglio che curare (quando si può curare…)

È una questione di approccio…

Insomma, è una questione di approccio, che per aumentare la resilienza dell’Europa ai cambiamenti climatici non può che essere precauzionale e sistemico.

Precauzionale, innanzitutto, perché ancora oggi “le valutazioni del rischio climatico tendono a sottostimare i livelli di rischio complessivi”, associati non solo alla variabilità climatica (eventi meteorologici estremi), ma anche agli effetti composti (l’interazione tra fattori climatici e non climatici), a quelli complessi, ai rischi cascata, agli impatti economici indiretti, e agli scenari improbabili ma plausibili dei fattori di rischio (i cosiddetti “tail risks”, i colpi di coda…).

Proprio questi ultimi non sono mai stati oggetto di analisi, da parte delle politiche (non solo) comunitarie: “mentre è pratica standard nel settore assicurativo e nel settore finanziario concentrarsi su scenari a bassa probabilità e ad alto impatto (i “tail risks”) – infatti – le attuali politiche di adattamento europee si concentrano in gran parte su scenari intermedi, a costo di trascurare i tail risks”.

Gli estremi eventi climatici degli ultimi anni impongono un cambio di passo, anche sotto questo punto di vista.

Sistemico, in secondo luogo, per aumentare la resilienza dell’Europa ai cambiamenti climatici.

Partendo dalle “considerazioni matematiche” sugli effetti del cambiamento climatico, che “possono essere esacerbati dagli effetti composti di molteplici fattori climatici e dall’interazione tra fattori climatici e non climatici”, l’EEA sottolinea la necessità imperativa di adottare un “approccio olistico e integrato per garantire la coerenza delle politiche e l’adattamento a livello di intero sistema”.

…e di investimenti

Ma l’approccio (o meglio: le modalità di approccio) da solo non basta(no).

Occorre investire nella giustizia sociale, nell’equità, nell’inclusività e nella coesione, concetti ancora troppo evanescenti, nella pratica, e praticati in modo differente alle diverse latitudini: i fattori demografici e socioeconomici, infatti, stanno modellando la distribuzione dei rischi climatici e esacerbando gli effetti su specifici gruppi di popolazione in Europa, senza contare che “politiche di adattamento mal progettate possono lasciare indietro i gruppi sociali vulnerabili ed emarginati che non possono trarre vantaggio dall’azione collettiva di adattamento”.

Alcuni esempi di fattori demografici e socio-economici: età e stato di salute; accesso alle risorse, assistenza sanitaria, protezione sociale, trasporti, assicurazioni e comunicazioni; esposizione professionale ai rischi legati al clima.

E occorre investire anche nella governance condivisa: le politiche fondamentali per mitigare i rischi climatici rientrano nelle competenze condivise dell’UE, e occorre quanto prima superare “la configurazione complicata e talvolta ambigua della titolarità del rischio tra l’UE e i suoi Stati membri”, che “può costituire un ostacolo a un’efficace riduzione del rischio”.

Occorrono, in sostanza, “nuove modalità di cooperazione tra i livelli di governance per ottenere progressi tangibili e misurabili nella riduzione dei rischi climatici più urgenti”.

A tal fine, chiosa il report, l’UE in generale e gli Stati membri, in modo sia pur differenziato, “hanno compiuto notevoli progressi nella comprensione dei rischi climatici e nella preparazione ad affrontare tali rischi”, ma “la preparazione della società in generale è resa insufficiente dal ritardo nell’attuazione delle politiche rispetto al rapido aumento dei livelli di rischio”.

Ritardo che, in ultima analisi, costituisce, insieme alle troppe parole (seguite da troppi pochi fatti) e all’inefficienza/inefficacia delle azioni disgiunte prese finora, il vero fallimento della politica UE.
Che deve cominciare a investire anche in musica e matematica e, più in generale, in cultura (anche della prevenzione).
E da un po’ di empatia, che finora ha reso le istituzioni comunitarie lontane dai cittadini, e di certo non ha contribuito a preparare, e a rendere consapevole, la Società.

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