Modelli e strategie

Economia circolare, come misurare il tasso green dei prodotti?

Una recente prassi di riferimento UNI si pone l'obiettivo di confrontare la reale sostenibilità di alcuni prodotti immessi sul mercato, contribuendo allo sviluppo delle sostenibilità
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Economia circolare, come misurare il tasso green dei prodotti?
Nelle pagine di Teknoring si è parlato – e si continuerà a farlo – spesso di economia circolare, evidenziando, di volta in volta, le novità legislative per promuoverla, gli appelli del mondo imprenditoriale al Governo per fare di più, e più rapidamente. Proviamo a capire dove siamo e dove potremmo andare. L’economia circolare e il greenwashing L’impronta ambientale dei prodotti La prassi di riferimento dell’UNI e la confrontabilità del tasso green dei prodotti immessi sul mercato L’ambito di applicazione Le complessità della disciplina normativa E adesso?

L’economia circolare e il greenwashing

Sono diversi i sondaggi che rilevano che il tema della sostenibilità si sta diffondendo sia presso la popolazione, sia presso le aziende. Ma sottolineano allo stesso tempo che per fare il salto di qualità occorre ancora lavorare molto in comunicazione ed informazione.
“L’Economia Circolare deve essere uno dei pilastri del Recovery Plan per il decollo di una delle più importanti eccellenze del nostro Paese. Per valorizzare le esperienze, le conoscenze e le motivazioni di un settore dalle grandi potenzialità servono, però, volontà politica e strumenti adeguati”. Con queste parole è stato presentato sul sito di Legambiente l’ultimo Ecoforum, che si è tenuto – rigorosamente online – lo scorso 21 ottobre, che fra l’altro ha analizzato un recente sondaggio che la stessa associazione ha condotto insieme ad IPSOS su un tema molto importante e di attualità: l’economia e la sostenibilità, ambientale, certo, ma dalla quale derivano anche altre sostenibilità altrettanto importanti: quella economica e sociale.
Ma non solo. Affinché l’economia circolare sia effettiva, e non si risolva in un semplice greenwashing, (ecologismo o ambientalismo di facciata, perseguito da precise strategie di comunicazione, attuate molto spesso in passato da certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche, con l’obiettivo di fornire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale) occorre che vengano effettuati dei controlli a 360°, anche sui prodotti realizzati con materiali riciclati. Questo al fine di valutare l’effettiva capacità di raggiungere, anche per questa via, le sostenibilità che sono alla base di un’economia circolare e resiliente.

L’impronta ambientale dei prodotti

Nella lotta al greenwashing sono già stati messi in campo alcuni importanti strumenti, come la norma UNI EN ISO 14026:2018 sull’etichettatura e dichiarazioni ambientali – Principi, requisiti e linee guida per la comunicazione delle informazioni sull’impronta ambientale (footprint). Che rappresenta una piccola grande rivoluzione, perché sancisce il diritto di consumatori e imprese a ricevere informazioni sull’impronta ambientale dei prodotti che siano chiare, non fuorvianti, facilmente accessibili e di qualità.
Nell’introduzione alla norma ISO 14026:2018 spicca il riferimento proprio al greenwashing: “il presente documento appartiene a un insieme di norme che trattano l’etichettatura e le dichiarazioni ambientali per i prodotti. Fornisce i requisiti e le linee guida per la modalità di comunicazione degli aspetti ambientali e dei potenziali impatti ambientali di un prodotto relativamente a una specifica area di interesse. Lo scopo del presente documento è assicurare che siano fornite solo informazioni per l’acquisto valide, basate sulla scienza e comparabili, senza alcun «greenwashing»”.
Un modo di concepire la comunicazione ambientale lontano anni luce dal c.d. greenwashing, in grado di aumentare la consapevolezza del consumatore sul reale impatto ambientale dei prodotti che consuma.

La prassi di riferimento dell’UNI e la confrontabilità del tasso green dei prodotti immessi sul mercato

In questo contesto si inserisce la prassi di riferimento dell’UNI 88:2020, sui requisiti di verifica del contenuto di riciclato e/o recuperato e/o sottoprodotto, presenti nei prodotti, dichiarato da chi quel prodotto lo ha realizzato e messo sul mercato. L’obiettivo che si vuole perseguire è semplice (a dirsi), un pò più complicato da realizzare: favorire la coerente confrontabilità dei requisiti di contenuto di riciclato e/o recuperato e/o sottoprodotto, relativi ad un prodotto, a tal fine chiarendo eventuali possibili disomogenee interpretazioni su tali tematiche. Naturalmente, per consentire tale comparabilità, e misurare l’effettivo grado di sostenibilità delle aziende, occorrono delle metodiche di verifica dei requisiti, che gli organismi terzi di certificazione dovranno applicare al fine del rilascio di certificazioni di prodotto. Ultimo obiettivo, ma non meno importante, della prassi di riferimento è quello di definire i requisiti degli organismi di certificazione utili per la costituzione di uno schema di accreditamento per effettuare le verifiche.

L’ambito di applicazione

Nelle premesse della prassi di riferimento si legge a chiare lettere che “gli schemi di certificazione ambientale degli edifici nazionali ed internazionali e le recenti disposizioni di legge nazionale ai fini dell’attuazione dei Green Public Procurement (GPP), con particolare riferimento a quanto richiesto dai Criteri Ambientali Minimi (CAM) emanati dal Ministero dell’Ambiente, guardano con crescente interesse al tema dell’economia circolare e in particolare alla riduzione nell’uso di materia vergine per la produzione di nuovi prodotti”. Ma non basta “guardare”, occorre farle accadere, le cose, affinché le belle parole si traducano in fatti. Ed è per incentivare l’impiego dei rifiuti opportunamente recuperati e trattati così come dei sottoprodotti, materiali diversamente qualificati rispetto ai rifiuti ai sensi della legislazione ambientale vigente, ed originati dai residui di processi produttivi, che nasce la prassi di riferimento. Ma anche per mettere a disposizione degli stakeholders uno strumento in grado di:
  • definire cosa s’intenda per materiale riciclato, materiale recuperato, sottoprodotto. E come si stabilisca la determinazione del loro contenuto in un prodotto o componente del prodotto o materiale, immesso da un’organizzazione sul mercato nazionale;
  • distinguere fra le sue due componenti, materiale riciclato pre-consumer e materiale riciclato post-consumer, a seconda dell’origine del rifiuto da cui proviene il materiale riciclato stesso;
  • colmare l’esigenza espressa da associazioni rappresentanti il mondo degli organismi di certificazione, ispezione e di prova di terza parte, di “definire un metodo di verifica univocoe “le specifiche per l’elaborazione di uno schema finalizzato alla certificazione del contenuto di materiale riciclato e/o recuperato e/o sottoprodotto, ivi comprese le sotto-classificazioni di materiale riciclato pre-consumer o materiale riciclato post-consumer, dichiarato da un’organizzazione in un prodotto, immesso sul mercato nazionale”.

Le complessità della disciplina normativa

La prassi, inutile nascondercelo, nasce anche dalla necessità di tradurre in termini operativi semplici, intelligibili e comparabili il dedalo di disposizioni normative bizantine, che caratterizza buona parte della nostra legislazione. In altri termini, la prassi di riferimento vuole essere dichiaratamente “anche uno strumento di chiarezza per tutti gli stakeholders, al fine di risolvere le possibili incongruenze interpretative della legislazione e della normativa tecnica in materia, favorendo una coerente e corretta confrontabilità di tali aspetti ambientali nei prodotti offerti dalle organizzazioni sul mercato nazionale”.
Il campo di applicazione La prassi si applica a prodotti indicati nei decreti del Ministero dell’ambiente, già pubblicati e di futura pubblicazione, relativi ai criteri ambientali minimi (CAM), e/o indicati nel “Decreto Crescita”), che:
  • sono realizzati in metalli, loro leghe e loro derivati, inclusi i prodotti derivati dal ciclo di fabbricazione di tali metalli, esclusi gli imballaggi, oppure;
  • sono destinati ad essere utilizzati nei settori edilizia, costruzioni ed arredo urbano, oppure;
  • non dispongono di specifiche norme o prassi di riferimento inerenti la verifica del contenuto di materiale riciclato e/o recuperato e/o sottoprodotto.
Esclusioni La prassi non si applica, in ogni caso, ai materiali ed ai manufatti ottenuti dalla valorizzazione dei rifiuti plastici provenienti dalla raccolta differenziata o da altri circuiti post-consumo ed ai materiali ed ai manufatti ottenuti da rifiuti pre-consumo industriali e ed ai materiali ed ai manufatti ottenuti da sottoprodotti di plastica; né ai lubrificanti, ai carburanti ed ai biocarburanti, liquidi e gassosi, prodotti dal recupero dei rifiuti o contenenti materiale riciclato e/o recuperato e/o sottoprodotto, né ad altri prodotti o materiali che dispongono di specifiche norme o prassi di riferimento inerenti la verifica del contenuto di materiale riciclato e/o recuperato e/o sottoprodotto.
 La prassi è utile anche per la dimostrazione del requisito di contenuto di materiale riciclato richiesto ai prodotti, componenti di prodotto e materiali dai diversi protocolli di sostenibilità degli edifici (ad es. LEED, ITACA, ecc.).

E adesso?

Le prassi di riferimento, come ribadisce UNI all’interno del documento, sono adottate esclusivamente in ambito nazionale, e rientrano fra i “prodotti della normazione europea” (come previsti dal Regolamento UE n.1025/2012). E infine “sono documenti che introducono prescrizioni tecniche, elaborati sulla base di un rapido processo ristretto ai soli autori, sotto la conduzione operativa di UNI”. Entro cinque anni dalla loro pubblicazione potranno essere trasformate in un documento normativo (UNI, UNI/TS, UNI/TR): in caso contrario, dovranno essere ritirate. In questo lasso di tempo, dunque, occorrerà adoprarsi affinché vengano tradotte in “realtà operativa”. A tal fine “chiunque ritenesse, a seguito dell’applicazione della presente prassi di riferimento, di poter fornire suggerimenti per un suo miglioramento è pregato di inviare i propri contributi all’UNI, Ente Nazionale Italiano di Unificazione, che li terrà in considerazione”.
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