Modelli e strategie

La digitalizzazione dei processi in azienda come strumento per favorire la transizione verso l’economia circolare

Come affrontano la transizione ecologica le nostre imprese? Quali strumenti utilizzano e quali dovrebbero utilizzare?
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La digitalizzazione dei processi in azienda come strumento per favorire la transizione verso l’economia circolare
Un’indagine svolta nel mondo imprenditoriale, volta a capire come le imprese affrontano la transizione e con quali aspettative, ci dice anche quali sono al momento le scelte e gli strumenti concretamente utilizzati. La digitalizzazione dei processi nelle aziende non sembra una priorità. Eppure, senza il ricorso al digitale, a partire dalla fase di raccolta dati e monitoraggio, a partire dal versante rifiuti, si rischia di perdere molte opportunità offerte dalla transizione verso un’economia circolare. La quale insegna che, a prescindere dalle scelte di sostenibilità di ognuno, vi sono comunque aspetti che andrebbero gestiti “in comune” (= con lo tesso metro). Scopriamo perché. Questo articolo è offerto da Atlantide, il primo software per la gestione rifiuti. In un’ottica di digitalizzazione dei processi e degli adempimenti fiscali (FIR – REGISTRI C/S – MUD (D. Lgs. 152) R.E.N.T.Ri.), la gestione corretta del ciclo ambientale, il controllo totale dei processi, la tracciabilità completa dei flussi e l’Industria 4.0 applicata al settore dei rifiuti deve essere supportata da una soluzione con le migliori performance.

Il cambiamento, la condizione necessaria e la progettazione della transizione

“In un contesto socioeconomico in cui il cambiamento diventa condizione necessaria per la sopravvivenza delle imprese, le aziende italiane stanno progettando la loro transizione verso modelli di business più sostenibili e riconoscono il proprio ruolo all’interno della trasformazione dell’intero Paese”. Inizia con queste parole un documento, presentato nel corso dell’ultima edizione degli “Stati Generali della Green Economy”, dal titolo indicativo “Progettando la transizione. Come si stanno trasformando le imprese italiane”. Un’indagine condotta su mille imprese, volta a capire i rispettivi percorsi di transizione ecologica, che si conclude con una serie di dodici interviste ad altrettanti protagonisti di aziende che hanno deciso – ognuna a modo suo – di investire nel futuro nell’unico modo ormai possibile, ossia investendo in sostenibilità, se non a tutto tondo almeno in una delle sue declinazioni (sostenibilità ambientale, sociale ed economica).

Il racconto: l’atteggiamento e la consapevolezza nei confronti del cambiamento

Occorre partire dalla necessità di cambiare, dalla scelta del percorso di transizione ecologica che si intende intraprendere. Ma non basta. Occorre anche, e soprattutto, sapere dove si vuole arrivare, e come, se si vuole che il percorso sia efficace (“fare le cose giuste”, o fare le scelte giuste, per dirla alla Peter Drucker) ed efficiente (“fare le cose bene”). Insomma, occorrono consapevolezza e un atteggiamento proattivo: per questo chi ha condotto l’indagine ha chiesto agli intervistati di raccontare il proprio percorso, “la conoscenza dei relativi temi e le aspettative per il futuro, la progettazione e gli ambiti di intervento, le barriere riscontrate e le aree in cui necessitano un supporto esterno”. Le parole che colpiscono e che vale la pena evidenziare, a valle della lettura dei risultati “di prospettiva” (non, quindi, meramente numerici, ma di approccio al cambiamento) sono:
  • opportunità trasformativa (data dalla transizione ecologica);
  • conoscenza superficiale (della transizione ecologica);
  • preoccupazione (per i rincari energetici, le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, le crisi economiche e sociali per il mondo) e difficoltà (burocratiche; nel trovare nuove tipologie di finanziamenti; di accedere alle risorse necessarie);
  • controllo dei costi (ma in chiave green, e non “classica”);
  • qualità ecologica dei processi e dei prodotti (ancora poco operativa);
  • “responsabilità lungo la filiera” (questa misconosciuta!);
  • mancanza di comunicazione efficace;
  • gradualità del percorso (per preservare la competitività economica), che fa il paio con i “vari stadi evolutivi” cui corrispondono “diverse priorità di intervento”.
  Advanced (45%) Starter (36%) Delayed (19%)
Le diverse priorità di intervento Le imprese Advanced, che hanno già realizzato interventi di efficientamento dei consumi, utilizzo di energie rinnovabili e riduzione dei rifiuti, stanno già utilizzando risorse per affrontare progetti operativi di transizione ecologica. La priorità è quella di ridurre o azzerare le proprie emissioni. Le Starter hanno stanziato del budget per intraprendere progetti di transizione ecologica, soprattutto in ambito di riduzione dei rifiuti, miglioramento della qualità ecologica di prodotti e processi, e responsabilità sociale. Le Delayed sono ancora lontane dal programmare e adottare misure per la transizione ecologica (e il 62% di queste non intende attivarsi per la riduzione delle proprie emissioni).
I fattori in grado di favorire il percorso di transizione È molto importante che la politica intervenga a supporto delle imprese (misure per l’efficienza energetica, per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili importati dall’estero, favorire l’installazione di impianti eolici e fotovoltaici, in modo da garantire la disponibilità di fonti energetiche rinnovabili). È necessario ampliare l’accesso ai finanziamenti economici e definire un quadro normativo più chiaro sugli obiettivi di riduzione dei gas serra, viste come barriere per la propria trasformazione. È importante:
  • il superamento degli ostacoli normativi e la semplificazione dell’accesso ai finanziamenti;
  • il rafforzamento degli attuali schemi di incentivazione, visti come leva in grado di agevolare il loro percorso di transizione.

Un’altra chiave di lettura dell’istantanea

Nel leggere le dodici interviste «one-to-one» condotte ad amministratori delegati o a responsabili di sostenibilità rappresentativi di imprese appartenenti a diversi settori, è emerso che ognuna delle dodici imprese intervistate, con le proprie peculiarità (di mercato, di prodotto, di vision) ha dato delle risposte che rispecchiano le diverse priorità, che corrispondono – grosso modo – alle diverse parole chiave che ci hanno colpito, nella lettura dei loro racconti. C’è chi ha puntato tutto sulla mobilità sostenibile, puntando su una flotta di green cars. C’è chi alla mobilità “in quanto tale” affianca considerazioni che riguardano le infrastrutture (e quindi il sistema), che devono essere resilienti e compatibili con gli sviluppi tecnologici. E ancora, c’è chi:
  • spinge per la collaborazione e per l’innovazione di filiera, volte alla creazione di una catena di fornitura integrata, un “ecosistema” in grado di creare una “meaningful connection” basata sull’aggregazione;
  • mette al centro della propria strategia l’educazione ambientale, come fulcro di un approccio etico-valoriale volto al coinvolgimento;
  • punta, invece, sull’autoproduzione, con l’obiettivo di promuovere la transizione verso un paradigma di società rigenerativa (“che metta al centro la tutela degli ecosistemi e la ricostituzione del capitale naturale”) e il ruolo dei prosumer, i consumatori-produttori di servizi (energetici);
  • cerca di valorizzare al massimo il recupero delle risorse, nella consapevolezza che l’eccellenza dei progetti debba andare di pari passo con l’innovazione e la sostenibilità, perché “minimizzare l’impatto ambientale è fondamentale quanto utilizzare nuove tecnologie”;
  • si impegna a ridurre le emissioni indirette;
  • promuove e attua il continuo «green R&D», perché “il nostro impegno in ambito ESG è un viaggio, non una meta da raggiungere”;
  • vuole giocare un ruolo da protagonista nella transizione energetica, verso un sistema a zero emissioni nette che faccia leva sui gas rinnovabili come biometano ed idrogeno e sull’efficienza energetica;
  • guarda alla sostenibilità come ad un driver strategico di business, “capace di aprire nuove opportunità a chi voglia investirci, iniziando ad agire prima ancora di comunicare”.
Minimo comun denominatore, la volontà di creare una cultura ecologica, valore a lungo termine, di nuovi processi, di nuovi modelli, di una nuova conoscenza, di nuovi “contesti win-win”. Sullo sfondo, la consapevolezza di dover:
  • monitorare costantemente i risultati delle proprie azioni;
  • progettare e riprogettare continuamente il proprio operato, anche in funzione di quei risultati;
  • valorizzare la supply chain, perché non si può essere sostenibili da soli: occorre capacità di aggregazione.
Ma per fare questo occorre saper (e voler) raccontare quello che si sta facendo, la storia del proprio contributo (aggregato) alle sostenibilità.

La digitalizzazione dei processi nelle aziende è la grande assente

E questo – il dato comune con “l’analisi ufficiale” – sembra mancare del tutto: dalle interviste emerge la volontà di mostrare quello che si è fatto, più che di raccontare un percorso. E (ma) senza una adeguata, costante, precisa ma semplice comunicazione di ciò che (non solo si è fatto, ma) si vuole fare, risulta molto complicato immaginare un percorso più rapido. A differenza, tuttavia, di quanto (non) emerso dall’«analisi ufficiale», quello che colpisce è la quasi totale assenza di riferimenti significativi al mondo digitale nel perseguire la strategia ESG, la digitalizzazione dei processi nelle aziende, appunto.

La necessità del connubio ambiente-digitale: digitalizzazione dei processi nelle aziende per un’economia circolare dialogante

La transizione digitale è uno dei pilastri di quella ecologica perché attraverso la digitalizzazione dei processi di pianificazione, monitoraggio e controllo è possibile avviare i percorsi volti alla “circolarizzazione” dei propri business. L’economia circolare si basa tra l’altro sul concetto di scarto (di materie prime, di prodotto…) come valore, lungo l’intero ciclo di vita del prodotto (dalla culla alla tomba), e presuppone pertanto una conoscenza accurata non solo dei propri “concorrenti” e del proprio “mercato di riferimento” ma di tutta la propria catena del valore. Alla base di questa (reciproca) conoscenza vi è la pratica di un linguaggio comune, frutto dell’utilizzo di un metodo e di strumenti comuni: la pratica e l’utilizzo del digitale. Solo in questo modo infatti è possibile rendere i dati comparabili e porli alla base di elaborazioni sempre più sofisticate, in grado di fornire non solo fotografie della realtà ma proiezioni attendibili per orientare correttamente le scelte aziendali. È importante evidenziare che le affermazioni precedenti non valgono solo ed esclusivamente per le imprese che hanno un forte impatto ambientale, o che hanno come core business proprio la gestione dei rifiuti, ma valgono per ogni organizzazione che produce beni o servizi. Diventerà per tutti, imprese, consumatori e famiglie, sempre più necessario scegliere lo strumento (digitale) più adeguato e optare per la digitalizzazione dei processi nelle aziende, per misurare l’impatto ambientale della propria attività, ma anche capire come ridurlo, poiché la concessione di credito così come gli investimenti si stanno orientando verso le attività a minore impatto ambientale.
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