Modelli e strategie

DDL autonomia regionale differenziata in discussione al Senato: se ne parla poco e male

Occorre un dialogo serrato, non incentrato sul “se”, ma sul “come” implementare un sistema che, nell’uguaglianza dei punti di partenza possa portare ulteriori benefici all’ambiente
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DDL autonomia regionale differenziata in discussione al Senato: se ne parla poco e male
Il disegno di legge sull’Autonomia regionale differenziata è uno dei temi trasversali alla politica che tiene banco da mesi e che si trova ad oggi in discussione al Senato. Ci sono da valutare una serie di impatti, anche di tipo ambientale. Proviamo a chiarire le idee su questo fronte.  In un e-book pubblicato poco più di un anno fa sul tema: “Il lato green dell’HSE management”, abbiamo sottolineato l’enorme difficoltà di orientarsi nei meandri del diritto dell’ambiente, da sempre caratterizzato da una certa…precarietà. Per maggiori informazioni clicca sul box qui sotto: Sono tanti i “perché” di questa situazione:
  • la politica ambientale perseguita dai governi che si sono succeduti nel tempo, che non ha brillato per chiarezza, lungimiranza, coerenza, sistematicità, e che ha contribuito a creare una crisi del diritto;
  • le infinite emergenze ambientali (figlie di quelle politiche, né strutturate né strutturali) da tamponare, di volta in volta, con provvedimenti ad hoc, privi di visione sistematica e unitaria;
  • la difficoltà di definire con precisione alcuni concetti chiave;
  • le continue innovazioni tecnologiche, che hanno costretto (e costringeranno) spesso i legislatori a rivedere i concetti posti alla base delle normative energetico-ambientali che, anche sulla assenza/presenza di quelle tecnologie, basavano la loro costruzione amministrativo-burocratico-sanzionatoria.
  • gli ostacoli connessi alle barriere di natura giuridico-amministrativa, economico-finanziaria, tecnico-infrastrutturale e socioculturale, oltre all’elevato grado di conoscenze specialistiche in materie tecnico-scientifiche che sono richieste agli organi chiamati ad esplicarle.
La natura delle barriere allo sviluppo del diritto ambientale
Giuridico-amministrative Il generale disorientamento politico-normativo ha spesso condotto le amministrazioni competenti ad adottare prescrizioni apertamente limitative dal punto di vista temporale (moratorie e prolungati silenzi), quantitativo o qualitativo.
Economico-finanziarie La mancanza di una coerente e autorevole programmazione ha fatto sì che il sistema di incentivi economici e finanziari si sia sviluppato in assenza di una politica unitaria di sostegno all’intera filiera industriale.
Tecnico-infrastrutturali Dal punto di vista tecnico-infrastrutturale, occorre considerare:
  • le difficoltà di “confinare” la maggior parte degli eventi, oggetto del diritto ambientale, in un preciso ambito territoriale;
  • l’impossibilità di regolare separatamente “libertà contrapposte” (come quella economica) o interessi connessi ma parzialmente divergenti (l’energia, la tutela della salute, il governo del territorio, la caccia, la pesca, la valorizzazione dei beni ambientali, per citarne solo alcune) oggetto di potestà normative ripartite fra diversi livelli di competenza (esclusiva statale, regionale concorrente, regionale residuale).
  • l’assenza di un’efficace struttura di controllo ex post, a fronte di un’esasperante burocratizzazione della fase ex ante.
Socio-culturali È scarsa la considerazione di cui, fino ad oggi, ha goduto la tutela dell’ambiente, considerata a torto un orpello amministrativo e fonte di costi, per non parlare della sindrome N.I.M.B.Y. (“Not In My Back Yard” – “Non nel mio giardino”), figlia (anche) di una malintesa concezione circa la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e dell’accesso alla giustizia in materia ambientale.
  • la sovrapposizione di norme transitorie, deroghe, proroghe, eccezioni, rinvii, attese, che hanno dato vita a “discipline parallele”, creando “disparità di trattamento nel tempo”;
  • la normativa energetico-ambientale, che in mancanza di un’autorevole politica, ha creato un complesso riparto di competenze, distribuite dal legislatore ai diversi livelli territoriali, e dato vita ad una “disparità di trattamento nello spazio”.
Disparità di trattamento nello spazio: ogni regione, in sostanza, si è sentita autorizzata, da tutto questo insieme di fattori/concause/barriere/ostacoli, a ritagliarsi degli spazi di autonomia, per decidere delle sorti (anche ambientali) del proprio territorio.

Dalle ulteriori forme di autonomia al regionalismo asimmetrico

Da cosa parte il disegno sull’autonomia regionale differenziata? Per cercare di porre rimedio a tale disparità, per lo meno nel senso di definire un quadro generale al quale rifarsi, è intervenuta la riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta nel 2001 (L. Cost. 3/2001). Nel riordinare le materie sulle quali la competenza legislativa è esclusivamente statale, e quelle per le quali la potestà è di tipo concorrente con le Regioni, la riforma ha previsto (art. 116, comma 3), che:
  • ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (concernenti, fra l’altro, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali),
  • possono essere attribuite ad altre Regioni,
  • con legge dello Stato,
  • su iniziativa della Regione interessata,
  • sentiti gli enti locali,
  • nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119.
A ventidue anni da quella riforma, e dopo lustri dedicati a (più o meno) dotte disquisizioni politiche in merito alla necessità di dare attuazione al disposto dell’art. 116, comma 3, della Costituzione, l’esecutivo attualmente in carica – si legge nella pagina web del Senato dedicata alla presentazione dell’A.S. n. 615-XIX legislatura (“Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”) – fin dalle prime settimane di attività, ha attribuito rilievo centrale al tema dell’autonomia differenziata […] o regionalismo asimmetrico”, tema che “è connesso, nelle valutazioni del Governo, sia agli aspetti del pluralismo istituzionale e territoriale italiano, sia al soddisfacimento e alla tutela dei diritti dei cittadini”.
Autonomia regionale differenziata: le “connessioni governative”
“Sotto il primo profilo, il processo di attuazione del regionalismo differenziato si iscriverebbe nella logica dell’articolo 5 della Costituzione, che riconosce l’autonomia territoriale come principio fondamentale della Repubblica, promuove il decentramento amministrativo quale base di un’ottimale distribuzione delle funzioni, a garanzia di libertà, democrazia, efficacia dell’azione di governo ed efficienza per l’utilizzo delle risorse”.
“Dal secondo angolo visuale, l’autonomia differenziata dovrebbe favorire il superamento dei vincoli che attualmente impediscono il pieno soddisfacimento dei diritti a livello territoriale e la valorizzazione delle potenzialità proprie delle autonomie territoriali”.

Le condizioni della differenziazione asimmetrica

Il comma 3 del cit. art. 116 della Costituzione prevede, quindi, che possano essere trasferite alle Regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia anche in tema di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali anche se queste materie rientrano tra quelle di legislazione esclusiva dello Stato. La Costituzione, tuttavia, non specifica quali siano le “forme e condizioni particolari di autonomia” trasferibili alle Regioni a statuto ordinario, e molto si è discusso circa la natura e la forma delle attribuzioni che lo Stato potrebbe riconoscere, previo specifico accordo, il cui iter procedurale va in ogni caso disciplinato. Per questi motivi il disegno di legge intende:
  • disciplinare i termini procedurali che porterebbero a tale accordo;
  • chiarire il perimetro e i limiti entro cui le Regioni potranno ottenere una maggiore autonomia, e/ma al tempo stesso
  • ribadire l’obbligo del rispetto della Costituzione, da cui deriva la possibilità di attribuire alle Regioni forme di autonomia e, con lo stesso spirito, l’obbligatorietà del rispetto degli obblighi internazionali e di derivazione europea.

Autonomia regionale differenziata: sintesi del dossier in dieci parole chiave

Dieci articoli, 2434 parole, su un tema così complesso, non possono essere riassunti nel poco spazio che il web consente. Tuttavia, è possibile estrapolare alcune parole chiave, per impostare alcune riflessioni di metodo (politico e gestionale), più che di merito: non si può non partire dal fatto che l’immobilismo – che ha caratterizzato lunghi periodi della vita del e nel nostro Paese – rende il merito (la necessità, o meno, di potenziare una certa forma di autonomia) meno attrattivo: certo che occorre. Il problema, dunque, non è il “se”: è il “come”. Lo dimostra, in un certo senso, il testo dell’articolo 1, nel quale vengono sciorinate le finalità del disegno di legge: nessuno può dire di non volere la promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, o la rimozione degli squilibri economici e sociali a favore dell’effettivo esercizio dei diritti della persona. Iniziativa è la seconda keyword del disegno di legge: l’atto d’iniziativa relativo all’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, che darebbe il là all’eventuale differenziazione asimmetrica. Iniziativa volta a migliorare, almeno nelle intenzioni, il dato di partenza costituito dai LEP (i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, terza parola chiave), e dai relativi costi e fabbisogni standard: il trasferimento delle funzioni, “con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai LEP, infatti, può essere effettuato, secondo le modalità e le procedure di quantificazione individuate dalle singole intese, soltanto dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard” (art. 4). La Commissione paritetica avrebbe, in quest’ottica, il compito di determinare “le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l’esercizio da parte delle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Ulteriore (dell’ulteriore) attribuzione di funzioni amministrative a Enti locali è la sesta keyword: una possibilità che Comuni, Province e Città metropolitane possono vedersi attribuite, nel rispetto del principio di leale collaborazione. Durata (comunque non superiore a dieci anni) è il limite che l’art. 7 imporrebbe alle intese: articolo che, fra l’altro, disciplina la proroga (tacita), oltre alla possibilità di chiedere la cessazione dell’efficacia dell’accordo, o la sua modifica. Invarianza finanziaria è la terzultima parole chiave, anche se in questo caso si può tranquillamente affermare che questa clausola finanziaria sta diventando sempre più il “cuore” pulsante di ogni riforma, o sedicente tale: nessun nuovo e/o maggiore onere a carico della finanza pubblica. Misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, anche nei territori delle Regioni che non concludono le intese: formula generica e alquanto vaga il cui sottinteso (non lasciare nessuno indietro), tuttavia, anche in questo caso, non può essere condivisibile. Potere sostitutivo dello Stato: è comunque fatto salvo

Il “come” vs il “se” e le critiche di facciata

Il disegno di legge sicuramente è migliorabile, a partire dall’impossibilità di fare – sempre – le nozze con i fichi secchi: non è possibile, detto altrimenti, che a fronte di “spese politicamente voluttuarie”, per assecondare pulsioni meramente elettorali, si costringa il Paese a dover ritardare riforma necessarie, perché strutturali (se implementate bene), quando va bene, o a rinunciare, quando va male, perché “non ci sono i soldi”. O dalla necessità di non limitarsi alle parole per garantire, in teoria, misure perequative per quelle Regioni che non prendono l’iniziativa. Ma non ci si può nascondere dietro:
  • al rischio che potrebbero aumentare i contenziosi con l’Europa, già alto a Costituzione invariata a causa dell’inefficace ruolo di indirizzo e coordinamento svolto dallo Stato in questi anni;
  • o alla bocciatura tout court del “regionalismo competitivo”, che si discosterebbe dal modello solidale, in nome di un’uguaglianza sostanziale (che ha a che fare con le scelte, con l’iniziativa di ciascuno: homo faber fortunae suae…), da mettere sullo stesso piano di quella formale (quella del punto di partenza);
  • o ancora perché in passato alcune regioni hanno interpretato in modo malandrino il proprio ruolo, riducendo il concetto di tutela minima, che non potrebbe “automaticamente essere sovrapposto a quello di tutela sufficiente”, solo per fare qualche esempio che chi scrive considera di facciata.

L’autonomia regionale differenziata è una condizione di efficienza: Go, Forrest, go!

Di facciata, sì. Per il motivo cui facevo cenno poc’anzi: le finalità sono le stesse, condivisibili “bypartisanamente”. È il “come” che fa la differenza. E il miglior come può derivare soltanto da una sintesi di posizioni differenti (non necessariamente divergenti), e non tramite la sterile contrapposizione di ideologie che sanno di stantio: le stantie che stanno alle spalle di chi, nel difendere a spada tratta l’ambiente si ostina, in questa come in altre circostanze, a dire no a tutto (come se l’immobilismo – la “Costituzione invariata”, in questo caso – fosse sinonimo di tutela incondizionata), o di quella di chi basta urlare alla dittatura, al complotto et similia, per rivendicare una non meglio specificata (e governata) autonomia. L’autonomia regionale differenziata è una condizione di efficienza: mi sento di condividere con questa frase, pronunciata da Jack Lang nello stesso anno dell’approvazione della riforma costituzionale: ma deve essere guidata dalla politica. La latitante. Non si può (deve) lasciare nessuno indietro, ma non si può neanche impedire a chi vuole migliore di farlo, partendo da una tutela minima uguale per tutti (l’uguaglianza sostanziale che tanto si rivendica): è questo il senso di una riforma che dovrebbe essere condivisa, e che potrebbe spingere a migliorarsi chi non prende l’iniziativa per tutta una serie di motivi, alcuni fattuali, altri di comodo. Senza dimenticare che, adesso, senza alcuna modifica costituzionale approvata, di differenze ce ne sono, non solo nella tutela dell’ambiente, ma anche nell’erogazione dei servizi ambientali. Asimmetria: una sorta di imperfezione, se vogliamo. L’ammettere che per migliorare si può anche sbagliare. Ma si deve guardare (e andare) avanti. Perché, come direbbe Marilyn Monroe, “l’imperfezione è bellezza, la pazzia è genialità, ed è meglio essere assolutamente ridicoli che assolutamente noiosi”. E non credo che auspicare, finalmente, un dialogo fra posizioni diverse, ma con obiettivi uguali, sia ridicolo: “stupido è chi stupido fa”. E allora go, Forrest, go! E sull’autonomia regionale differenziata è d’obbligo un to be continued.
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