Professione

Equo compenso per i professionisti, in 11 regioni è legge

L’ultima in ordine di tempo a prevedere dei parametri definiti per il pagamento dei professionisti è la Toscana con la sua legge per l'equo compenso
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Equo compenso per i professionisti, in 11 regioni è legge

Continua ad aumentare il numero delle regioni italiane che hanno deciso di dotarsi di una legge che garantisca il cosiddetto equo compenso per i professionisti. L’ultima, in ordine di tempo, è la Toscana: nei giorni scorsi è stata infatti approvata una norma che si pone l’obiettivo di tutelare i compensi dei professionisti da parte dei privati. Compensi dovuti per incarichi legati alla richiesta di atti autorizzativi o per la presentazione di istanze di vario genere alla pubblica amministrazione. A tal proposito, proponiamo una panoramica sulle altre realtà territoriali che hanno in vigore la legge, cercando di marcarne le differenze, i punti di forza e gli eventuali difetti.

L’equo compenso in Italia

Sino ad oggi sono 11 le regioni che hanno adottato una disposizione che regola l’equo compenso. Fra il 2018 e il 2019 se ne sono dotate l’Abruzzo, la Basilicata, la Calabria, la Campania, il Lazio, il Piemonte, la Puglia, la Valle d’Aosta, il Veneto e la Sicilia. Ultima, in ordine di tempo, la Toscana. Esistono delle differenze tra i vari dettati normativi. Ma l’obiettivo rimane sostanzialmente lo stesso. In sede di istanza autorizzativa alla PA, gli incarichi affidati ai professionisti devono essere validati grazie ad un contratto e ad una lettera di incarico. Nella documentazione approvata, vanno anche definiti in maniera chiara e definitiva i compensi per la prestazione da offrire. La norma pone dunque una ‘doppia tutela’. Sia per il committente, che sarà garantito nella prestazione resa, sia per il professionista, nel riconoscimento del proprio corrispettivo in tempi certi.

Gli ambiti di applicazione

Gli ambiti di applicazione dell’equo compenso riguardano le istanze autorizzative; quelle ad intervento diretto; le domande di deposito previste da norme e regolamenti regionali, comunali e provinciali. Con alcuni distinguo: in Puglia l’equo compenso si applica soltanto alle istanze autorizzative e a quelle concernenti la realizzazione di interventi urbanistici ed edilizi. Altro caso, quello della Valle d’Aosta. Qui il dispositivo si applica alle richieste dirette all’ottenimento di autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, permessi o altri atti di consenso comunque denominati. In Sicilia, infine, l’ambito applicativo è legato essenzialmente alle istanze volte al rilascio di titoli endoprocedimentali.

Gli adempimenti preliminari

Per quanto concerne gli adempimenti preliminari, oltre ad una lettera d’incarico, alcune regioni prevedono una documentazione ulteriore. L’Abruzzo, ad esempio, indica di allegare anche un “Documento di sintesi di affidamento degli incarichi”. In pratica, è obbligatorio indicare le mansioni da svolgere da parte del professionista e i relativi compensi. Il documento va aggiornato in corso d’opera, se necessario. La legge appena approvata dal Consiglio Regionale della Toscana, invece, contempla l’obbligo di allegare, a pena di improcedibilità, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.  In questo modo, il committente attesta di avere sottoscritto in maniera regolare le lettere di affidamento di incarico a tutti i professionisti coinvolti. Con i compensi pattuiti.

L’autodichiarazione del professionista

La legge dà il diritto alla Pubblica Amministrazione di acquisire, alla fine dei lavori, l’autodichiarazione del professionista che ha sottoscritto gli elaborati progettuali. Il documento deve essere redatto come indicato dal DPR 445/2000 (o secondo il modello regionale). Un iter fondamentale, in quanto attesta in maniera ufficiale il pagamento dei compensi pattuiti da parte del committente. Nel Lazio è prevista una possibilità in più, proprio per confutare in modo indelebile l’effettiva corresponsione delle somme concordate. Il dispositivo regionale prevede la presentazione di copia della fattura o della parcella di pagamento. E’ evidente che in tutte le regioni, nessuna esclusa, la mancata presentazione della dichiarazione attestante il pagamento costituisce motivo ostativo per il completamento dell’iter, fino all’avvenuta integrazione. La richiesta di integrazione è effettuata dalla Pubblica Amministrazione procedente.

Una norma “incompleta”

Insomma, le regioni stanno facendo da sé. Come ha ricordato più volte Armando Zambrano, presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, l’equo compenso resta un “diritto incompiuto”. A partire dal 2017, quando il principio fu introdotto con l’approvazione del decreto fiscale, aggiornato poi con la legge di bilancio del 2018. Da allora, la materia è stata oggetto di diverse disposizioni regionali. Ma c’è ancora molto da fare, visto che dal principio sono stati escluse le piccole e medie imprese e le persone fisiche. Committenti che non hanno l’obbligo di riconoscere un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto.

Le clausole vessatorie

Come ha sottolineato recentemente Michele Lapenna, consigliere del CNI, “Per quanto riguarda la committenza pubblica, è necessario ridurre il peso del prezzo e contenere i ribassi negli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura”. L’art. 13-bis, “Equo Compenso e Clausole Vessatorie”, come modificato dalla Legge di Bilancio 2018, stabilisce, infatti, che si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni con i clienti “forti”, quando risulta proporzionato alla “quantità e alla qualità del lavoro svolto”. In sostanza, la norma prevede che non sia equo un compenso, e pertanto nulla la clausola del contratto ad esso relativo, che risulti inferiore a quello previsto dai parametri ministeriali per le prestazioni rese a favore di imprese bancarie e assicurative e altre Imprese. La normativa, attualmente, esclude quindi PMI e Microimprese.

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