Equo compenso, nasce un nuovo tavolo tecnico

Nuovo capitolo sulla ormai lunga vicenda relativa all’equo compenso. Il Governo ha deciso di dar vita ad un tavolo tecnico tra Ordini, Consigli professionali e Ministero della Giustizia. L’obiettivo sarà individuare le misure utili a completare una norma le cui disposizioni sono già legge dello Stato, approvate con il decreto fiscale del 2017 (d.l. 148/201/) e perfezionate con la legge di bilancio 2018 (L. 205/2017). Una decisione che ha suscitato perplessità, soprattutto tra i rappresentanti della Rete delle Professioni Tecniche, in quanto l’ennesimo tavolo operativo rischierebbe di “allungare ulteriormente i tempi per una piena attuazione della norma”.
Una norma da migliorare
Cinque regioni italiane (Campania, Calabria, Sicilia, Piemonte e Basilicata), in mancanza di un intervento legislativo nazionale, hanno già emanato diverse leggi con l’obiettivo di superare la diffusa pratica di affidare servizi professionali con compensi non correttamente parametrati alla qualità e quantità delle prestazioni richieste. Un metodo operativo che non deve essere disperso, secondo i professionisti, che allo stesso tempo ribadiscono la necessità di dar vita ad un documento condiviso che metta in risalto i punti fondamentali per il miglioramento della norma attualmente in vigore. Tra questi, l’estensione dell’equo compenso a tutti i committenti e l’ampliamento delle clausole vessatorie.
E ancora diventa fondamentale:
- applicare ogni forma di rapporto negoziale (lettera di incarico, preventivo etc.);
- definire le modalità di applicazione per la Pubblica Amministrazione e per i committenti ritenuti deboli;
- elaborare una normativa transitoria per i rapporti in corso alla data della legge;
- prevedere dei criteri e modalità di aggiornamento dei parametri di riferimento.
Andranno poi previste le modalità “per un’attività di monitoraggio sull’effettiva applicazione dell’equo compenso” e l’attuazione delle norme “già inserite nel jobs act del lavoro autonomo (L. n. 81/2017)”.
L’estensione dell’equo compenso
Ad indicare la via ci pensa il Consiglio Nazionale degli Ingegneri. Non tutto è da buttare, anzi, la normativa risponde già ad una serie di esigenze condivise dai professionisti italiani. Ma si può e si deve fare di più. L’equo compenso, dunque, viene visto come un punto di partenza. A spiegarlo bene è Gabriele Lapenna, consigliere del CNI e referente per i Lavori Pubblici e i Servizi di Ingegneria: “Gli obiettivi da perseguire saranno senza dubbio l’estensione delle disposizioni alle PMI, alla Microimpresa e alle persone fisiche per quanto riguarda la committenza privata. Per quanto riguarda la committenza pubblica, è necessario ridurre il peso del prezzo e contenere i ribassi negli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura”.
Equo compenso e clausole vessatorie
L’art. 13-bis, “Equo Compenso e Clausole Vessatorie”, come modificato dalla Legge di Bilancio 2018, stabilisce, infatti, che si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni con i clienti “forti”, quando risulta proporzionato alla “quantità e alla qualità del lavoro svolto”. In sostanza, la norma prevede che non sia equo un compenso, e pertanto nulla la clausola del contratto ad esso relativo, che risulti inferiore a quello previsto dai Parametri ministeriali per le prestazioni rese a favore di imprese bancarie e assicurative e altre Imprese. La normativa, attualmente, esclude quindi PMI e Microimprese.
Una liberalizzazione che non ha prodotto gli effetti sperati
D’altronde, che la liberalizzazione selvaggia non abbia portato agli effetti sperati, lo si evince proprio da una ricerca del Centro studi del CNI sull’andamento del mercato dei servizi professionali in Italia dal 2007 (decreto Bersani) al 2015. Lo studio dimostra, tra l’altro, che il provvedimento non ha neanche aperto il mercato ai giovani e alle donne, accrescendo la disparità fra giovani e senior e favorendo piuttosto gli stessi che detengono già il mercato, i cosiddetti “incumbent”.
I dati del CNI
“In questi 8 anni – si legge nello studio del CNI – si è registrato un incremento del reddito dei professionisti che passa da 1.609 miliardi a 1.652 miliardi (+ 2,7%). Tale incremento però, a seguito dell’aumento del numero dei professionisti, si è tradotto in una forte riduzione del reddito medio degli stessi (-16,8%)”.
In particolare i giovani dai 25 ai 30 anni hanno perso l’8,4% del loro reddito professionale medio, quelli dai 30 ai 35 il 14,9%, quelli dai 35 ai 40 il 19,4%. “Quanto alle professioniste hanno lasciato sul terreno il 9,5%. In merito alla disparità tra giovani e senior, a guadagnare reddito nel 2015 sono stati i professionisti dai 50 anni in su”. Uno studio, dunque, che dimostra, come spiega Gabriele Lapenna, “che l’equo compenso può dare un nuovo impulso alle giovani generazioni di professionisti che, negli ultimi anni e in assenza di qualsiasi tutela della qualità della loro professionalità, sono stati letteralmente falcidiati dalla crisi e dalla politica delle liberalizzazioni”.