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Enti locali a rischio dissesto, il grido di allarme di Anci e UPI

Lettera ai ministri degli Interni e dell’Economia per sollecitare interventi strutturali a favore dei Comuni in forte difficoltà economica
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Enti locali a rischio dissesto, il grido di allarme di Anci e UPI
“La situazione di complessa ed articolata fragilità finanziaria in cui versa un numero significativo di Enti locali necessita di un ampio lavoro di revisione che sia capace di intervenire su vari versanti. Per definire un orizzonte lineare di azione e limitare i troppi interventi legislativi confusi ed estemporanei”. È questo il messaggio che Anci (Associazione nazionale dei Comuni italiani) e UPI (Unione delle Provincie Italiane) hanno inviato, in una lettera, ai ministri degli Interni, Luciana Lamorgese, e dell’Economia, Michele Franco. Un accorato appello affinché siano affrontate tempestivamente le problematiche degli enti locali in difficoltà finanziarie strutturali. Oltre a porre rimedio agli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 80/2021, che – in assenza di una norma attuativa – “rischia di ampliare il fenomeno dei dissesti e dei predissesti”.

La sentenza della Corte Costituzionale

Tutta ha origine dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 80/2021. Un pronunciamento che nasce da un’eccezione sollevata dalla Sezione regionale Puglia della Corte dei Conti sul caso di un Comune in condizione di “predissesto”. Nel riformulare il proprio disavanzo 2019, l’ente ha determinato uno specifico periodo di ripiano (con minore quota di ammortamento annuale) per la quota incrementale di disavanzo. La Corte ha ritenuto illegittimo un trattamento specifico della quota di disavanzo derivante dalla pur corretta determinazione del Fondo Anticipazioni di Liquidità, già indotta dalla sentenza della Corte Costituzionale 4/2020. Il disavanzo dovrà essere ripianato come previsto ordinariamente dalle norme vigenti. Quindi, in un triennio e comunque in un arco temporale non eccedente la durata residua del mandato del sindaco o del presidente della Provincia. Molti enti in disavanzo, devono dunque rideterminare l’importo del ripiano annuale già programmato.

Il ripiano dei disavanzi

Insomma, una sentenza che non piace per niente ad Anci e UPI. Innanzitutto, perché modifica nuovamente la disciplina di contabilizzazione e restituzione del FAL, con l’immediata decadenza dell’articolo 39-ter, commi 2 e 3 del d.l. 162/2019, e della disciplina definita per il ripiano annuale dell’anticipazione ricevuta. L’art. 39-ter intendeva proprio assicurare l’ordinata applicazione di una precedente pronuncia della Corte (n. 4/2020). La sentenza indicava le modalità di appostamento in bilancio del FAL e di restituzione annuale con riferimento ad una durata specifica del ripiano. Una durata più lunga di quella ordinaria e quindi più sostenibile. Ecco, quindi, che UPI e Anci sollecitano “un urgente intervento normativo che scongiuri il rischio di squilibri gestionali irreparabili per numerosi enti locali, in particolare quelli già impegnati in percorsi di ripiano di disavanzi pregressi”.

Le conseguenze per i Comuni

Dalle prime analisi di UPI e Anci, le conseguenze potrebbero essere preoccupanti. Dei circa 1.400 Comuni coinvolti nella costituzione del Fondo anticipazione liquidità, oltre 950 risultano in disavanzo nel 2019, come anche 8 Province. “Richiedere un ripiano ordinario (diciamo in tre/cinque anni) comporterebbe una maggior esposizione annuale moltiplicata mediamente per 8 o per 4,5 volte”. Con risultati “disastrosi” per una parte degli enti già in disavanzo nel 2019 e molto pesanti anche per i circa 450 enti in avanzo. E ancora: Tra gli enti in disavanzo, circa un terzo registra quote di maggior ripiano necessario, almeno in questa ipotesi-base, complessivamente per oltre 100 euro pro capite. Va anche tenuto a mente che solo poco più della metà dei Comuni in piano di riequilibrio sono coinvolti dagli effetti della sentenza”.

Possibili strategie

Le possibili vie di uscita ci sono. Secondo UPI e Anci, gli interventi – in ordine di preferenza – sono i seguenti:
  • Accollo allo Stato delle passività finanziarie residue derivanti dalle anticipazioni. Con mantenimento dell’obbligo di restituzione trentennale a carico degli enti locali. Tutto ciò, limitando l’accollo alla maggiore dimensione del FAL registrata tra il 2018 e il 2019. Si parla, potenzialmente, di circa 3 miliardi di euro.
  • Finanziamento statale della maggior esposizione degli enti locali dovuta alla sentenza. “Si tratterebbe di una copertura differita dello stesso ammontare di cui al punto precedente (pari a circa 1 miliardo all’anno se in 3 anni o meno se spalmata in un quinquennio), opportunamente disaggregato sulla base della composizione dei risultati di amministrazione di ciascun ente. La norma attuativa potrebbe comunque disporre un periodo ravvicinato ma straordinario (es. 5 anni).

Una riflessione più articolata

UPI e Anci, infine, propongono una “riflessione più articolata sui contenuti della sentenza”.  Individuando una modalità di “perfetta integrazione” del trattamento delle anticipazioni di liquidità nei meccanismi di avvio della riforma contabile. La sentenza, infatti, potrebbe essere interpretata come un richiamo a considerare unitariamente i fatti finanziari connessi alle anticipazioni (avviate su uno schema precedente al 2015) con le modalità di avvio della nuova contabilità (2015). Alla radice delle problematiche indicate dalla sentenza potrebbe quindi porsi l’ingiustificata separazione di trattamento tra le anticipazioni di liquidità (sostanzialmente ignorate, se non per il tentativo di utilizzare l’attivo da anticipazione a diminuzione del carico del FCDE, poi messo in mora dalla sentenza CCost n. 4/2020) e il corpus della riforma contabile, dal riaccertamento straordinario dei residui, alla costituzione sia del FCDE sia del Fondo pluriennale vincolato.
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