Inquinamento

Impatto ambientale del Covid19: quali effetti a lungo termine?

La pandemia ha portato a un aumento dei rifiuti e a un abuso di plastica. Ma preoccupa il cosiddetto 'effetto domino', analizzato dall’Agenzia Europea dell’Ambiente
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Impatto ambientale del Covid19: quali effetti a lungo termine?
Non solo un anno di mascherine e guanti abbandonati ovunque. Quando si discute del rapporto tra Covid19 e ambiente bisogna tenere in conto variabili diverse e differenziate. Covid-19 e ambiente: l’effetto domino “nascosto” È una questione di scelte Il “domino nascosto” sotto la lente d’ingrandimento dell’Agenzia Europea dell’Ambiente L’origine della malattia e il contesto ambientale Il ruolo dell’inquinamento atmosferico

Covid-19 e ambiente: l’effetto domino “nascosto”

La pandemia da Covid19 e le misure adottate per contrastarla hanno prodotto una vasta serie di conseguenze nel breve periodo. Con degli strascichi che sicuramente vedremo anche nel medio e nel lungo periodo. Se le conseguenze nel breve termine sono sotto gli occhi di tutti e sono, per questo, conosciute – sia dal punto di vista sanitario-socio-economico (gli altissimi costi in termini di vite umane, l’emergenza sanitaria, sociale ed economica) che ambientale (gli animali e le piante che si “riappropriano” degli spazi cittadini, certo, ma anche la migliore qualità dell’aria grazie alle restrizioni agli spostamenti, le città più silenziose e i corsi d’acqua tornati più limpidi) – per quelle a lungo e medio termine non si può dire lo stesso. I motivi hanno tutti a che fare con la contingenza e con la scarsa propensione ad anticiparla; basti pensare all’aumento considerevole dei rifiuti provenienti dai DPI o l’aumento dell’utilizzo di plastica mono porzione, dovuto alla crescita del consumo di cibo da asporto ed alla necessità di rispettare stringenti normative igieniche, che sono soltanto due degli esempi che si potrebbero fare. Tutti in qualche modo collegati fra di loro da un sottile fil rouge psicologico: ancora presi dall’emergenza come siamo, ci sembrano trascurabili, rimandabili. Eppure sono tasselli di un “domino nascosto” di potenziali conseguenze negative di cui occorrerebbe tenere conto, nella gestione della complessità.

È una questione di scelte

Gestione della complessità, o meglio: gestione delle complessità. Studiare – ora – in modo approfondito tutte le ricadute della pandemia da Covid19 sull’ambiente e sulla nostra specie non rappresenta un puro esercizio di stile, almeno per 5 ordini di motivi:
  1. i dati raccolti dovrebbero ispirare le scelte politico-economiche future: dove e come allocare le risorse disponibili, innanzitutto, per riparare i danni diretti che la pandemia ha provocato; farci capire chi deve poter prendere quali decisioni, in un connubio indissolubile tra provvedimenti presi a livello locale e risoluzioni adottate a livello globale;
  2. la pandemia da Covid 19 potrebbe non essere l’ultima. E, visto che contrastarla sta avendo costi sanitari, sociali ed economici altissimi, occorre capire quali sono gli errori che sono stati commessi per non trovarci così impreparati se dovessimo riaffrontare una nuova emergenza;
  3. dobbiamo acquisire grande consapevolezza di ciò che ha funzionato e imparare a valorizzarlo. Anche durante i periodi di lockdown più duro gli scaffali dei supermercati non sono rimasti vuoti perché determinati settori produttivi e le loro catene del valore hanno tenuto, adattandosi rapidamente a nuove condizioni di lavoro senza fermare le produzioni;
  4. conoscere le conseguenze nel breve periodo e nel lungo periodo ci aiuterà a comprendere quanto le nostre vite potranno cambiare, e a muoverci di conseguenza: flessibilità e resilienza dovranno diventare il pane quotidiano, non solo quindi nella fase acuta della lotta alla pandemia;
  5. conoscere e quantificare gli impatti del Covid sulla salute della nostra specie e sulla vita del pianeta servirà a capire come mitigare quelli negativi e prolungare quelli positivi.

Il “domino nascosto” sotto la lente d’ingrandimento dell’Agenzia Europea dell’Ambiente

L’Agenzia Europea dell’ambiente sta provando a stilare un “briefing” che ha lo scopo di riassumere e dare un senso ai dati emersi sugli impatti del Covid in relazione all’ambiente e, di conseguenza, alla salute umana. Il report viene continuamente aggiornato, perché non è facile dare conto di tutti i cambiamenti che il Coronavirus ha prodotto. L’effetto domino che la pandemia ha innescato ha mutato radicalmente lo stile di vita della maggior parte degli abitanti del pianeta. E ciò ha prodotto alcuni macro-effetti non così facilmente ed intuitivamente riconducibili al Covid19. Un esempio è costituito dal fenomeno per cui è tornato conveniente produrre plastica direttamente dai derivati del petrolio (come si faceva una volta), invece di produrre plastica da quella riciclata, a causa del forte abbassamento del prezzo del petrolio. Causato a sua volta dal crollo della domanda di combustibile per i trasporti e i settori industriali che sono rimasti fermi durante la pandemia.

L’origine della malattia e il contesto ambientale

Il documento si concentra sugli effetti “visibili” del Covid19 sull’ambiente. E lo scopo dichiarato è quello di utilizzare i dati e le loro risultanze per “apprendere” come cambiare i processi decisionali in futuro. Il punto di partenza è l’origine della malattia, e il contesto ambientale nel quale il virus si è sviluppato, prima, e diffuso, poi. Occorre – detto in altri termini – porre in relazione la perdita di biodiversità ed i sistemi alimentari intensivi con l’aumento di probabilità di malattie zoonotiche. “Le prove indicano che il Covid19 è una malattia zoonotica – sottolinea l’AEA – ovvero una malattia che è passata dagli animali all’uomo. L’emergenza di tali patogeni zoonotici è collegata al degrado ambientale e alla correlata interazione umana con gli animali nel sistema alimentare”. I dati sembrano corroborare questa tesi, se è vero che il 60% delle malattie infettive umane sono di origine animale e i ¾ delle nuove malattie vengono trasmesse dagli animali.
“Nuovi virus sono emersi da sistemi intensivi di allevamento di bestiame domestico. La produzione intensiva di proteine animali comporta l’allevamento di popolazioni concentrate di animali geneticamente simili in stretta vicinanza, spesso in cattive condizioni, favorendo la vulnerabilità alle infezioni (UNEP, 2020). Più del 50% delle malattie infettive zoonotiche emerse dal 1940 sono state associate a misure per intensificare l’agricoltura (Rohr et al., 2019)”.

Covid-19 e ambiente: il ruolo dell’inquinamento atmosferico

Nelle pagine di Teknoring abbiamo già analizzato il tema della qualità dell’aria durante il lockdown e quello dell’inquinamento indoor. L’Agenzia Europea per l’Ambiente, nel suo documento, focalizza l’attenzione su altri due quesiti. Qual è il ruolo che l’inquinamento atmosferico può svolgere nell’influenzare la gravità del Covid19? Il PM10 può “trasportare” il virus? Quanto al primo interrogativo, vengono riportate le conclusioni a cui si è giunti tramite i dati raccolti dal monitoraggio della qualità dell’aria dell’AEA, che tiene traccia delle concentrazioni medie settimanali e mensili di biossido di azoto (NO2) e particolato (PM10 e PM2,5). I dati mostrano “come le concentrazioni di NO2 – un inquinante emesso principalmente dal trasporto su strada – siano diminuite drasticamente in molti paesi europei in cui sono state attuate misure di blocco nella primavera del 2020”; è molto probabile che il livello delle emissioni ritorni a salire con le riaperture dovute al parziale allentamento di alcune restrizioni: questi dati dimostrano come il cambio delle abitudini di moltissime persone sia riuscito a produrre un notevole calo delle emissioni.

PM10 come vettore del virus?

In merito al ruolo del PM10 come vettore del virus, al momento non è chiaro se il virus rimanga vitale sulle particelle di inquinamento. E si auspicano nuove ricerche in tal senso: tuttavia – sottolinea l’AEA – vi è un altro tipo di legame tra Covid19 e inquinamento, rappresentato dal ruolo che quest’ultimo può svolgere nell’influenzare la severità della malattia. “Uno studio italiano ha affermato che, poiché l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico – inclusi PM, ozono (O3) e anidride solforosa (SO2) – indebolisce le difese immunitarie delle vie aeree superiori, l’ingresso del SARS-CoV-2 nelle vie aeree inferiori, con conseguente infezione da COVID-19, è favorita (Conticini et al., 2020). Tuttavia, poiché ci sono una serie di limitazioni significative all’interno di questi primi studi, i risultati devono essere interpretati con attenzione”.
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