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COP 26, all’Ue il compito di imprimere una svolta per il clima

Il 2021 è un anno decisivo per dare concretezza al raggiungimento degli obiettivi sottoscritti negli Accordi di Parigi sul clima. La COP 26 è il primo passo
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COP 26, all’Ue il compito di imprimere una svolta per il clima
Alla COP 26 ha fatto recentemente riferimento, in occasione della Giornata mondiale della Terra, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. Da Glasgow passa davvero la capacità di passare dalle parole ai fatti, per dare un’accelerata green al cambiamento climatico. COP26, ci riproviamo: a Glasgow, UK, dall’1 al 12 novembre 2021 L’Europa e la “diplomazia del clima” La necessità di una politica intraprendente

COP 26, ci riproviamo: a Glasgow, UK, dall’1 al 12 novembre 2021

Il progetto dei negoziati della COP 26 è nato per spronare i Paesi firmatari degli Accordi di Parigi a rivedere e rafforzare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. Si tratta di un’operazione quinquennale, e che oggi è più che mai necessaria, dal momento che impegni volontari sottoscritti finora non sono sufficienti. La conferenza avrebbe dovuto tenersi a novembre 2020, ma è stata rinviata di un anno esatto (dall’uno al dodici novembre 2021) a causa della pandemia. Sarebbe stato impossibile per la città di Glasgow ospitare i circa 30.000 operatori coinvolti nell’evento in piena pandemia. Tuttavia, non tutti i mali vengono per nuocere. Anche se il rinvio era inevitabile, secondo i fautori della decisione questa cancellazione potrebbe trasformarsi in un’opportunità per fare meglio.

Le opportunità (e le sfide) portate dal covid

Diversi i motivi di questo cauto ottimismo:
  • la pandemia ha mostrato ai Governi di tutto il mondo quanto ormai siano profonde le interconnessioni fra le diverse parti del Pianeta. I vaccini e le cure dovranno raggiungere ogni luogo perché il rischio quanto mai concreto è che, scacciato il virus dalla porta, questo rientri dalla finestra;
  • a emergenza conclusa, i governi di tutto il mondo dovranno investire massicce somme di denaro per ricostruire le ammaccate economie nazionali; i negoziati potrebbero dirottare gli investimenti verso sistemi produttivi più sostenibili, perché la pandemia ha messo in luce come le zone del Pianeta più provate dai cambiamenti climatici siano anche quelle con economie (e sistemi sanitari) più in sofferenza;
  • i cambiamenti culturali già in atto presso popolazioni che fino a qualche anno fa non erano così sensibili alle tematiche della sostenibilità e della lotta al cambiamento climatico. Oggi anche il popolo cinese delle grandi metropoli mette in discussione le conseguenze climatiche della crescita a due cifre dell’economia a carbone. La pandemia ha insegnato che un colosso come la Cina possiede elementi di grande vulnerabilità (come la scarsa attenzione alle condizioni di vita della popolazione delle sue vaste zone rurali, le disparità nel livello di cure garantite dal sistema sanitario nazionale e la mancanza di trasparenza nell’azione amministrativa e sanitaria, che ha portato a un ritardo incredibile nella diffusione sui primi dati dell’epidemia da Covid19);
  • i dati mostrano come la pandemia, rallentando a livello globale molte attività umane, abbia abbassato i livelli di CO2 in alcuni ambiti, come per esempio in quello dei trasporti di persone.

UK in partenariato con l’Italia alla COP 26

Il nostro Paese sarà un protagonista dell’evento perché il Regno Unito assumerà la Presidenza della COP 26, in partenariato con l’Italia. E, se la 26a Conferenza delle Parti sulla Convenzione ONU sul cambiamento climatico” (COP 26) si terrà a Glasgow, l’Italia ospiterà gli eventi preparatori, tra cui un evento per i giovani e il vertice Pre-COP, che si terranno a Milano dal 28 settembre al 2 ottobre.
Si legge sul sito dell’evento: “pienamente in linea con i principi delle Nazioni Unite, il nostro partenariato si concentrerà sulla promozione di azioni tangibili che diano vita al cambiamento radicale necessario a realizzare tutto il potenziale dell’Accordo di Parigi”.

L’Europa e la “diplomazia del clima”

Le immagini dei vasti incendi boschivi in California e delle inondazioni in Bangladesh sono soltanto le avvisaglie di ciò che ci aspetta se non facciamo qualcosa di concreto. E senza un’azione decisa queste catastrofi si ripeteranno più di frequente e saranno ancora più distruttive. Il cambiamento climatico ha assunto i connotati di una sfida geopolitica globale, perché:
  • moltiplica i conflitti ed alimenta l’instabilità sociopolitica;
  • crea pressione migratoria;
  • aggrava le diseguaglianze a livello globale e
  • mette in pericolo diritti umani e pace, specialmente nei Paesi più vulnerabili.
In questo scenario, è fondamentale che l’Europa convinca il resto del mondo a condividere la medesima ambizione di imprimere all’economia una direzione di sviluppo pienamente sostenibile e spingerlo, ed aiutarlo, ad adottare le misure necessarie. A tal fine, il vecchio continente dovrà mettere il proprio peso economico e diplomatico al servizio della causa ambientale e diventare una potenza globale nella “diplomazia del clima”.

La necessità di una politica intraprendente

In questi ultimi decenni, l’UE si è portata a l’avanguardia nella battaglia contro il cambiamento climatico e sta mantenendo i propri intendimenti anche nel pieno della crisi del Covid-19. La green economy è una delle principali direttrici dello sviluppo sostenibile, e per questo l’Unione Europea ha lanciato il Green New Deal, ha alzato al 55% il suo obiettivo di riduzione delle emissioni entro il 2030 e si è impegnata a raggiungere l’impatto zero entro il 2050.
Per sostenere questo sforzo, gli Stati membri hanno concordato di trasformare la Banca europea di investimenti (Bei) nella Banca Ue del clima. Come indicato nella Tabella di marcia 2021-2025 della Banca del clima, la Bei intende mobilitare 1.000 miliardi di euro in investimenti in interventi per il clima e sostenibilità ambientale fra il 2021 e il 2030. È la prima banca multilaterale di sviluppo al mondo a essere allineata agli obiettivi di Parigi.
Per essere davvero efficace, tuttavia, l’Europa deve aggiungere a tutti questi sforzi sul piano interno una politica estera intraprendente. Che per essere davvero efficace dovrebbe esprimersi e parlare “con una voce sola”, e non soltanto con le singole iniziative dei tradizionali Paesi “apripista”. Ma non solo. L’Europa deve usare la sua potenza commerciale per fissare regole e standard sui beni di importazione, per orientare le scelte di consumo dei propri cittadini verso beni e servizi a ridotto impatto ambientale, per promuovere lo sviluppo e l’assistenza umanitaria in chiave sostenibile.
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