Architettura

Bjarke Ingels, l’architetto che vuole salvare il mondo

Folle, imaginifico, megalomane, diplomatico, inarrestabile: sono solo alcuni degli aggettivi del controverso architetto danese Bjarke Ingels, che si è messo in testa di salvare il mondo dalla catastrofe climatica
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Bjarke Ingels, l’architetto che vuole salvare il mondo
Il suo ricchissimo account Instagram, seguito da quasi un milione di follower, di circa 5 mila post riesce a malapena a descrivere la vitalità prorompente di Bjarke Ingels, nemmeno attraverso le malinconiche immagini dall’alto del Burning Man (appuntamento abituale, dove peraltro ha conosciuto la sua compagna, l’architetta spagnola Ruth Otero). Sarà forse per questo che, al netto dell’importanza e della grandiosità dei suoi progetti, il quarantasettenne Ingels suscita nell’ambiente un’incessante curiosità, che nessuno riesce ad appagare fino in fondo, restando sorpreso ogni volta di più. Negli ultimi dieci anni, Ingels è passato da talento scapestrato dell’architettura mondiale, noto per innovazioni rivoluzionarie come un condominio a forma di montagna o un paio di torri tortuose a Miami, a uno degli architetti più attivi del momento.

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BIG o big?

Lui giura e spergiura che il nome del suo studio, BIG (Bjarke Ingels Group), sia del tutto casuale, e che le illazioni di megalomania siano infondate, ma chi l’ha incontrato garantisce che mai eponimo fu più azzeccato. Con BIG ha lavorato per aziende di alto profilo come Google e WeWork, ha 21 progetti in costruzione, nei quattro angoli della Terra, per non parlare degli altri in cantiere, che viaggiano sempre a doppia cifra. Ma la sua opera più grande sta per arrivare, e senza il minimo cenno a un tentativo di modestia lui la definisce “piano per salvare il mondo”.

Masterplanet

Questo progetto per un modo di vivere più sostenibile, esteso a tutto il pianeta, si chiama Masterplanet e ha fatto inarcare il sopracciglio a più di un ‘esperto’, rilanciando la fama di megalomane che non riesce a scucirsi di dosso. Ingels, però, serafico e sorridente come sempre, durante un incontro con WRLDCTY, la piattaforma dedicata ai protagonisti dei progetti e delle idee che plasmeranno le città del futuro, ha dichiarato che non ci vede nulla di impossibile né irraggiungibile nella sua idea. “Quando gli architetti progettano un isolato o un quartiere, spesso creano un masterplan: un documento che identifica i problemi che devono essere affrontati, propone soluzioni e crea un’immagine del futuro a cui tutte le parti coinvolte lavorano. Con Masterplanet questo metodo viene applicato alla Terra intera.” “Anche quando si stila il piano generale per un quartiere – prosegue – questo appare così grande che all’inizio è impossibile comprenderlo. Ma dopo si passa attraverso le presentazioni, i feedback, ecc.; poi lo si modifica anche più volte, fino a quando le cose non tornano tutte. Quindi, anche se all’inizio sembra così complesso e vasto, alla fine si arriva al risultato immaginato.”

Questione di climi

Lo scopo di BIG quindi è ridisegnare il pianeta per ridurre le emissioni di gas serra, proteggere le risorse e sviluppare un sistema di adattamento ai cambiamenti climatici. In tutto questo gli attivisti climatici, che sostengono che si debbano affrontare non solo le emissioni ma anche le disuguaglianze sistemiche, mettono in dubbio sia il diritto sia le effettive capacità di Ingels di portare a compimento questo piano. Anche perché questo suo percorso ambizioso non è privo di intralci, il più pericoloso dei quali passa attraverso un mai troppo taciuto legame con il presidente del Brasile Jair Bolsonaro. La note posizioni omofobiche, anti-indigeni e anti-ambientaliste di Bolsonaro male si sposano con l’idea che Ingels vuole vendere, ma lui tranquillizza tutti dicendo che “creare un elenco di paesi o aziende con cui BIG dovrebbe evitare di lavorare sembra essere una semplificazione eccessiva di un mondo complesso”. In fondo anche Zaha Hadid e Norman Foster hanno entrambi ricevuto critiche per il legame con il dittatore del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev. Per non parlare di Rem Koolhaas e Herzog & DeMeuron, che sono stati accusati di ignorare i potenziali impatti sociali dei progetti che hanno progettato in Cina a sostegno dei Giochi Olimpici del 2008.

La farina di pietra

“Durante l’ultima era glaciale, le rocce si sono frantumate in una sostanza polverosa molto fine, simile alla farina, e ricca di nutrienti, che ha stimolato la flora e la fauna in alcune parti del mondo. I geologi stanno studiando ora la capacità di questa sostanza di dare vita alle aree sterili.” C’è della follia ingegnosa in Bjarke Ingels: “Si può pensare di trasportare questa sostanza in navi container che solcano gli oceani, per iniettarne un po’ quando si incroci un deserto marino. Man mano che le piante crescono, assorbono il carbonio dall’atmosfera, riducendo l’effetto serra e attivando inoltre la capacità di assorbimento degli oceani”.

“Impossible is nothing”

Ingels in cuor suo spera che per affrontare la questione climatica qualche primo ministro, o il ceo di qualche azienda davvero importante, possa abbracciare la sua causa e mettere in atto il progetto Masterplanet, ma serve uno sforzo globale soprattutto in questo momento in cui in cui la pandemia da Covid19 ha trasformato la comprensione di ciò che è possibile in termini di risposte collettive. È quasi impossibile immaginare che un singolo piano climatico ottenga una significativa diffusione da parte di industrie, governi e comunità in tutto il mondo. Per Ingels, però, niente di tutto ciò è un motivo per non avviarne uno.
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