Energie rinnovabili

Green New Deal fra obiettivi ambiziosi, ostacoli economico-culturali e rischi di insuccesso

Riuscirà il nuovo documento programmatico della Commissione europea ad aprire nuovi scenari? Per il Green New Deal serve una legislazione capace di realizzare, prima, e gestire, poi, quanto promesso
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Green New Deal fra obiettivi ambiziosi, ostacoli economico-culturali e rischi di insuccesso
Prima che l’emergenza Covid-19 ci travolgesse, l’Europa aveva fatto passi avanti per dare al Green New Deal una forma operativa. Molti ritengono che oggi, ancor di più, sia necessario proseguire sulla strada tracciata. Il contesto nel quale il Green New Deal si inserisce Che cos’è il Green New Deal? Il sostanziale cambio di paradigma Gli obiettivi, la transizione e le aree di intervento I rischi (non solo) economici Il ruolo della finanza Lo scorso 15 gennaio il Parlamento Europeo ha approvato il testo del Green New Deal contenente il piano ambientale dell’Unione Europea, proposto e sostenuto dalla Presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen. Il documento, suddiviso in 116 punti, prevede che il Parlamento sia l’organo che dovrà impegnare i Paesi dell’Unione al fine di attuare urgenti “interventi ambiziosi per far fronte al cambiamento climatico e alle sfide ambientali, allo scopo di limitare il riscaldamento globale a 1,5° C ed evitare una perdita massiccia di biodiversità”. L’obiettivo è quello di rendere il Vecchio continente carbon-neutral entro il 2050 attraverso alcune azioni chiave come decarbonizzazione, efficienza e riconversione.

L’economia circolare

L’economia circolare “è un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo giocando con due tipi di flussi di materiali, quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera” (Ellen MacArthur Foundation).

 I principî di base dell’economia circolare

Eco-progettazione: progettare i prodotti pensando fin da subito al loro impiego a fine vita, quindi con caratteristiche che ne permetteranno lo smontaggio o la ristrutturazione. Modularità e versatilità: dare priorità alla modularità, versatilità e adattabilità del prodotto affinché il suo uso si possa adattare al cambiamento delle condizioni esterne. Energie rinnovabili: affidarsi ad energie prodotte da fonti rinnovabili favorendo il rapido abbandono del modello energetico fondato sulle fonti fossili. Approccio ecosistemico: pensare in maniera olistica, avendo attenzione all’intero sistema e considerando le relazioni causa-effetto tra le diverse componenti. Recupero dei materiali: favorire la sostituzione delle materie prime vergini con materie prime seconde provenienti da filiere di recupero che ne conservino le qualità.

Il contesto nel quale il Green New Deal si inserisce

I profondi e rapidi cambiamenti climatici hanno aperto a livello mondiale un dibattito circa la necessità di occuparsi della questione ambientale:
  • negli Stati Uniti l’idea il un piano di transizione verde è guidato dalla parlamentare Alexandria Ocasio-Cortez che pone al centro della questione la lotta ai gas serra;
  • nel vecchio continente è il presidente della Commissione Von Der Leyen a porsi come guida per il cambiamento;
  • in Italia, in linea con gli altri paesi europei, si stanno cominciando a muovere adesso i primi passi per attuare il Green New Deal, stringendo un patto “verde” con il mondo industriale e produttivo attraverso il quale si punta a ri-orientare il sistema produttivo verso la transizione da un modello economico lineare ad uno circolare.

Che cos’è il Green New Deal? Il sostanziale cambio di paradigma

Il Green New Deal prospetta una visione di democrazia europea sociale e sostenibile, che coniuga i problemi del clima con quelli della società e dell’economia, prospettando delle soluzioni che siano in grado di apportare migliorie in tutti e tre gli ambiti. L’idea di fondo è che soltanto attraverso un nuovo patto tra cittadini, imprese ed istituzioni si potrà affrontare la sfida del cambiamento climatico: la sostenibilità ambientale, da sola, non è più sufficiente: occorre che la sostenibilità sia anche (perlomeno) sociale ed economica. Detto in altri termini: occorre cambiare paradigma, e tendere ad una “molteplice sostenibilità”: come si evidenzia all’inizio della nuova norma ISO 14001:2015, “il raggiungimento di un equilibrio tra ambiente, società ed economia è considerato essenziale per soddisfare le esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie. Lo sviluppo sostenibile come obiettivo si raggiunge mediante l’equilibrio dei tre pilastri della sostenibilità”. L’occasione per realizzare quella che J. Rifkin definisce “l’opportunità economica più promettente della nostra vita” è ghiotta.
Jeremy Rifkin è un economista, sociologo, attivista e saggista statunitense fondatore della Foundation On Economic Trends. Nel libro “Un green new deal globale”, Rifkin sostiene come la mancata decarbonizzazione porterà ad una nuova crisi finanziaria e ad un’emergenza climatica globale. Secondo lo studioso, infatti, la decarbonizzazione associata allo sviluppo dell’economia digitale rivoluzionerà ogni settore commerciale, comporterà stravolgimenti nel funzionamento di quasi tutti i settori, porterà con sé nuove opportunità economiche – mai viste in passato – ridarà lavoro a milioni di persone e creerà una società più sostenibile con basse emissioni di carbonio per mitigare il cambiamento climatico.

Gli obiettivi, la transizione e le aree di intervento

L’obiettivo è ben chiaro e definito. Come si legge nell’approvazione del documento da parte del Parlamento, consiste nella “trasformazione dell’Unione in una società più sana, sostenibile, equa e prospera, con zero emissioni nette di gas a effetto serra”. Per approdare a questa molteplice sostenibilità occorre “la necessaria transizione verso una società europea climaticamente neutra entro il 2050”, che deve costituire e “diventare una storia di successo europea”. Già, ma come realizzare questo ambizioso obiettivo, e con quali tempistiche? La tabella di marcia presentata dalla numero uno della Ue prevede una serie di azioni per aumentare l’uso efficiente delle risorse, allo scopo di passare a un’economia “pulita e circolare” e di fermare i cambiamenti climatici, “ripristinare la perdita di biodiversità e ridurre l’inquinamento”; per poter rispettare quanto stabilito nelle linee programmatiche del New Green Deal occorre concentrarsi sulla politica:
  • ambientale (riduzione delle emissioni; sostegno concreto alle aree più colpite dal Climate Change; introduzione di nuove strategie per la biodiversità e per la sicurezza degli alimenti; approccio zero pollution e raggiungimento delle emissioni zero entro il 2050);
  • legislativa volta all’approvazione della prima legge europea sul clima e garante dell’attuazione degli strumenti legislativi in materia di clima (in particolare il sistema di scambio delle quote di emissioni, il regolamento sulla condivisione degli sforzi e il regolamento sull’uso del suolo e la silvicoltura);
  • fiscale ed economica, per supportare le attività necessarie al raggiungimento degli obiettivi previsti;
  • culturale capace di promuovere attivamente una nuova cultura europea sul clima.

I rischi (non solo) economici

Davanti al Parlamento, la numero uno della Commissione ha presentato le principali direttrici di un piano destinato a costare parecchio. Sul banco 260 miliardi di euro all’anno solo per gli obiettivi già fissati. Nonostante il progetto ambizioso e gli sforzi per renderlo concreto non mancheranno, nel prossimo futuro, i problemi con i quali confrontarsi. Un primo ostacolo da affrontare concretamente per l’Unione (un ostacolo di tipo “logistico, culturale, temporale e, sullo sfondo, economico) riguarda il fatto che il perseguimento dell’azzeramento delle emissioni avrà costi e tempi diversi per i vari paesi dell’Unione. Le basi di partenza e le risorse disponibili, infatti. non sono omogenee. Per questo motivo occorrerà porre molta attenzione: la trasformazione dovrà essere intesa come un’opportunità sociale ed economica per tutti i paesi d’Europa, e non solo per quelli le cui basi di partenza sono più solide.

Ovest vs Est

Mettere d’accordo tutti non sarà facile: di conseguenza, il risultato finale potrebbe differire in modo significativo dalle proposte odierne. Lo scontro vero e proprio non coinvolgerà tanto i gruppi parlamentari – in gran parte ben disposti (popolari, centristi e socialisti) o per lo meno possibilisti (Verdi) – quanto i singoli Stati: ad esempio, è ipotizzabile che le maggiori resistenze verranno da Est, dove l’industria del carbone pesa ancora troppo in termini di Pil e occupazione.
L’aspetto economico – quello che “unisce” tutti gli altri – risulta essere quello maggiormente problematico:
  • da un lato la difficoltà per gli Stati attori del New Deal europeo nel reperire il denaro necessario alla realizzazione delle riforme;
  • dall’altro la concorrenza a livello commerciale delle industrie che producono in paesi al di fuori del vecchio continente e che quindi, almeno per il momento, non saranno soggette agli inevitabili costi che comporterà la transizione verso una società ad impatto zero.
Sono già in fase di studio alcune ipotesi di “contromisure”:
  • la carbon tax, ad esempio, che dovrebbe proteggere l’industria continentale dalla concorrenza dei produttori extra UE, o
  • l’emissione di green bond, che nelle intenzioni dei fautori dovrebbero servire per il finanziamento di progetti con ricadute positive in ambito ambientale.

“Dazi climatici”?

I Paesi extra UE, non essendo soggetti ai vincoli del Green New Deal, potrebbero praticare facilmente prezzi più bassi. L’idea iniziale è di partire dal cemento ma l’imposta potrebbe interessare anche le importazioni di acciaio . Ma non è da escludere che la “legittimità” della tassa in un contesto di libero scambio possa essere addirittura contestata in sede WTO.

Il ruolo della finanza

L’Europa oggi ha un urgente bisogno di elaborare un percorso in grado di guidare i cittadini e le imprese fuori dal clima di sfiducia ed insicurezza in cui si trovano, evitando nel contempo uno scontro commerciale con le più grandi potenze mondiali. Il punto di partenza dovrà necessariamente essere rappresentato dall’economia circolare, in grado (almeno in potenza) di trasformare i cambiamenti climatici in un’occasione di sviluppo ed innovazione Nelle linee guida della Commissione si legge che tra gli obiettivi perseguiti oltre al divenire un continente ad emissioni zero vi è:
  • un’economia che lavora per le persone;
  • l’idea di un’Europa pronta e protagonista nella nuova era del digitale;
  • la volontà di protezione dello stile di vita e della cultura europea partendo dall’imprescindibilità dei diritti fondamentali.
La finanza, ovviamente, sarà in prima linea: il Green New Deal non può farne a meno. Nel corso del 2020 dovrebbero essere adottati nuovi standard europei sui green bond, per superare alcune problematiche che li contraddistinguono.

Le problematiche dei green bonds

In un recente Studio di Insight – una società di asset management – è stata posta la lente di ingrandimento su: – 83 green bonds e – 96 social impact bonds (investimenti obbligazionari mirati a ottenere un impatto sociale positivo e misurabile) presenti sul mercato mondiale nel 2019, con tanto di uno specifico sistema di rating finalizzato a scoprire quanto effettivamente i bond siano sostenibili, al di là delle dichiarazioni ufficiali degli emittenti. Cosa è emerso? Innanzitutto che c’è poca chiarezza, e manca un sistema di certificazione terzo, uno standard in grado di certificare come verde un’obbligazione. Esistono, al momento, soltanto quattro linee guida elaborate dall’International Capital Market Association (Icma): 1) un’attenta selezione dei progetti su cui investire; 2) una chiara identificazione della destinazione dei proventi; 3) la massima trasparenza su tutto il processo; 4) la pubblicazione di report periodici. Passando all’analisi dei dati, il report di Insight ha rivelato che oltre il 15% dei green bonds e oltre il 16% degli impact bonds analizzati nel 2019 risultano in qualche modo “sospetti”: ci sono molti dubbi, in questi casi, infatti, sulla reale sostenibilità dell’emissione, a causa della mancanza di trasparenza sul modo in cui i finanziamenti vengono utilizzati per finanziare progetti dichiarati “verdi” (e il trend sembra in aumento: degli 83 green bonds passati al microscopio dagli analisti di Insight, 13 hanno un rating “rosso”, rispetto all’anno precedente, nel corso del quale è stata individuata una sola emissione sospetta). Il settore più a rischio è quelle delle costruzioni, responsabile a detta degli esperti di circa il 49% delle emissioni globali di CO2: secondo Insight, “in certi casi, i finanziamenti raccolti con i green bonds possono potenzialmente essere utilizzati per il pagamento di altre obbligazioni in scadenza che non sono sostenibili”.
In linea con questa nuova filosofia, la Commissione svilupperà un nuovo strumento per realizzare un principio ” One In, One Out “, al fine di rafforzare i legami tra le persone e le istituzioni che le servono, per ridurre il divario tra aspettative e realtà e per comunicare ciò che l’Europa sta facendo realmente.
One in, one out”: si tratta di un meccanismo di compensazione c.d. one-in-one-out, per cui non possono essere introdotti nuovi oneri amministrativi senza contestualmente ridurne o eliminarne altri.
“Il Green Deal europeo dovrebbe diventare il segno distintivo dell’Europa”, sottolinea la Presidente, “al centro di ciò c’è il nostro impegno a diventare il primo continente neutro dal punto di vista climatico. Richiederà ambizione collettiva, leadership politica e una giusta transizione per i più colpiti”. Leadership.
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