Fit for 55, le insidie dietro alla promessa di una transizione sostenibile

Il nostro Governo dovrà richiedere di modificare alcuni punti decisivi del pacchetto di misure UE Fit for 55 (ideato per ridurre in Europa del 55% le emissioni di CO2 entro il 2030 ed azzerarle entro il 2050). Il provvedimento, pubblicato il 14 luglio, ha inquietato non poco il ministro Cingolani ed il premier Draghi poiché, per come è disegnato adesso, le misure volte ad accelerare l’ormai inevitabile transizione energetica avrebbero impatti nefasti su 3 mercati chiave: settore energetico, automotive e lo stesso comparto rinnovabili.
I percorsi della transizione competitiva, equa, solidale e green
Pronti per…cosa?! I possibili effetti collaterali per l’Italia del Fit for 55%
E quindi? I correttivi, gli altri effetti collaterali e i tempi (legislativi e “naturali”)
L’unione non fa la forza: è l’unica cosa che conta
I percorsi della transizione competitiva, equa, solidale e green
Oltre ad essere competitiva, la transizione verso la neutralità climatica può dimostrarsi un’opportunità unica per ridurre le disuguaglianze sistemiche, e dimostrarsi equa, solidale e – ovviamente – green.
Equa e solidale, per affrontare la povertà energetica e le difficoltà di mobilità dei più vulnerabili, per stimolare l’innovazione e la crescita economica e creare occupazione grazie alle entrate generate dagli strumenti di fissazione del prezzo del carbonio. Solo per fare qualche esempio.
La transizione green non ha bisogno di spiegazioni…vale la pena sottolineare che la Commissione UE chiede a gran forza prevedibilità, inclusione, visione, investimenti, per affrontare le sfide che la transizione comporta, e i rischi sottesi ad una non attenta pianificazione di ogni singolo aspetto implementativo:
- prevedibilità significa un quadro normativo coerente, il libero accesso alle infrastrutture e il sostegno all’innovazione;
- la transizione dell’industria verso la neutralità climatica all’orizzonte del 2030 e oltre dev’essere, secondo la Commissione – “uno sforzo collettivo e inclusivo, pianificato di concerto con gli ecosistemi industriali”;
- sforzo collettivo ed inclusivo in grado di individuare “percorsi di transizione, in collaborazione con le parti sociali e gli altri portatori di interessi, per individuare il modo migliore di accelerare la duplice transizione e trarne vantaggio, tenendo conto della portata, della velocità e delle condizioni del processo in ciascun ecosistema”;
- saranno tali percorsi a determinare “l’entità delle esigenze, anche sul piano della riqualificazione, degli investimenti e delle tecnologie”, e a mettere a punto “interventi per soddisfarle, sulla scorta ad esempio delle tabelle di marcia della strategia industriale. Sarà data priorità agli ecosistemi che si impegnano a perseguire la transizione e che fanno fronte al maggior numero di sfide o hanno risentito in modo particolare della crisi, quali la mobilità, l’edilizia e le industrie ad alta intensità energetica”.
Pronti per…cosa?! I possibili effetti collaterali per l’Italia del Fit for 55%
Nel presentare il “Fit for 55%” abbiamo riassunto le principali proposte legislative e le iniziative politiche che gli Stati membri dovranno adottare per implementare la transizione sostenibile.
Ma è tutto oro ciò che luccica?
Procediamo per gradi.
Uno degli obiettivi della transizione è quello di ridurre progressivamente le emissioni di CO2 derivanti dalla maggior parte delle attività antropiche.
Una delle strade che la Commissione UE vuole intraprendere è quella di far pagare lautamente le industrie per ogni singola tonnellata di CO2 emessa.
L’Italia sarebbe penalizzata per via dell’uso del gas naturale, sì fonte fossile, ma di fatto anello fondamentale nel nostro Paese per avviare la fase di transizione verso fonti pulite: basti pensare all’idrogeno blu, uno dei pilastri della transizione ecologica, che viene prodotto proprio dal gas naturale…
Un’altra strada prevede il passaggio dai veicoli a benzina e diesel a quelli elettrici completato entro il 2035: questo vuol dire far scomparire dalle strade ogni veicolo non elettrico entro il 2035, entro una data molto più vicina di quanto non si possa pensare.
Per il mercato automotive italiano, con una quota ancora alta di vetture obsolete (Euro 1 e 2) che fanno parte del parco circolante, il rischio è che:
- le famiglie meno abbienti siano gravate da costi impossibili da sopportare (se le auto elettriche e ibride costassero meno è ovvio che tutti correremmo a cambiare l’auto!) e
- non vi sia abbastanza energia rinnovabile per ricaricare milioni di nuovi veicoli elettrici o ibridi immessi sul mercato. Si potrebbe arrivare al paradosso di dover produrre l’elettricità per ricaricare i veicoli puliti da fonti fossili (come il “caro buon vecchio carbone”), qualora la produzione di elettricità nel nostro Paese non cresca di pari passo con il mercato delle auto elettriche
Obiettivo full electric
Secondo quanto comunicato dalla Commissione stessa, anche le produzioni automotive di nicchia (non solo Lamborghini e Ferrari, ma anche Maserati e McLaren) dovrebbero adeguarsi entro il 2030 al full electric: questo si tradurrebbe in un aumento repentino e considerevole dei costi che di fatto potrebbe chiudere la c.d. motor valley.
Infine, per quanto riguarda le energie rinnovabili, il target europeo intermedio è quello di produrre entro il 2030 il 40% dell’energia da fonti rinnovabili: la produzione e l’uso di energia rappresentano il 75% delle emissioni nei Paesi dell’Unione. In questo comparto si teme fortemente che le misure europee facciano lievitare i costi di molti beni e servizi per imprese e famiglie, a cominciare proprio dai trasporti e dalle bollette energetiche.
E quindi? I correttivi, gli altri effetti collaterali e i tempi (legislativi e “naturali”)
Quella circolata nel mese di luglio è sostanzialmente una bozza che, a detta dello stesso Gentiloni, può essere rivista e corretta.
È importante – anzi è fondamentale – che l’Italia sappia bene quali correttivi richiedere a Bruxelles, e per fare questo si studiano, attraverso delle simulazioni, gli impatti che le misure proposte avrebbero se fossero applicate ora al mercato italiano.
I tempi (legislativi) per ottenere le modifiche richieste ci sono: infatti, il commissario UE per l’Economia Paolo Gentiloni pare abbia rassicurato il premier Draghi ed il ministro Cingolani sul fatto che ci saranno margini di manovra e che saranno garantiti agli Stati Membri i tempi tecnici per ridiscutere i provvedimenti.
Il ruolo della Germania, che ‘spinge’ più di tutti
Tuttavia, la partita potrebbe essere complessa: la fine dell’era della cancelliera Merkel, per quanto proceda ordinata e composta come da stile teutonico, potrebbe causare instabilità proprio nella locomotiva europea della transizione energetica: in Germania, il partito dei Verdi è in forte ascesa, ma se ciò da una parte accelera il cammino della transizione energetica, dall’altra pone il pericolo che i tedeschi vadano troppo velocemente rispetto agli altri Paesi europei, perché il Governo spinge per una rapidissima elettrificazione che di fatto è supportata da un’economia nazionale più che solida, e che non teme proprio per questo rincari energetici per i cittadini.
Al tempo stesso, i Verdi osteggiano il ricorso al nucleare di quarta generazione, che invece il governo Macron vede di buon occhio: ciò potrebbe comportare l’instaurarsi di una sorta di asse Francia – Italia al fine di poter intraprendere la transizione energetica con i mezzi prescelti (nucleare o gas naturale).
La natura non aspetta
Tuttavia, i tempi legislativi non sempre coincidono con quelli della Natura, che oggi sono strettissimi: alluvioni, frane, ondate anomale di calore e conseguenti incendi sono sempre più frequenti, ora anche nel Vecchio Continente, e questo non solo sta inducendo le opinioni pubbliche nazionali a chiedersi in modo sempre più frequente cosa fanno i politici che hanno eletto, o che stanno per eleggere, per combattere il cambiamento climatico, ma provocherà anche, a livello globale, sempre più consistenti e frequenti ondate migratorie soprattutto, per quanto ci riguarda, dall’Africa.
L’unione non fa la forza: è l’unica cosa che conta
Dunque è una questione di tempi, certo: ma occorre fare bene scelte condivise, senza perdersi in miopi visioni para-nazionalistiche: occorre considerare i costi economici, produttivi e sociali della transizione energetica e della riduzione delle emissioni inquinanti, obiettivi che saranno attuabili solo se gestiti su scala globale.
Se Cina, India e Usa non saranno sulla stessa lunghezza d’onda dei target Ue, estremamente ambiziosi – e potrebbero non esserlo — “il rischio è che i sistemi produttivi di questi Paesi ne approfittino per aumentare la loro capacità competitiva. E ciò senza che lo sforzo dell’Europa raggiunga risultati significativi nella riduzione delle temperature globali”.
Ma sembra un’impresa titanica, come dimostrano i risultati del recente G20 di Napoli…nel quale si sono profusi sforzi per rabberciare parole leggere. Anzi leggerissime. Lontane anni luce da quella rapida e coesa necessità di adottare misure in grado di cambiare la rotta del mondo. Già da qualche anno.