Superbonus: la cessione del credito, in caso di frode, è sequestrabile in quanto pertinenza del reato
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Superbonus: la cessione del credito, in caso di frode, è sequestrabile in quanto pertinenza del reato
La Corte di Cassazione stabilisce come non sussista alcuna garanzia da parte dello Stato e quindi sono suscettibili di sequestro preventivo impeditivo, in relazione al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, i crediti dei terzi cessionari
Superbonus, cessione del credito e frode. La Corte di Cassazione, Terza Sezione penale, con la sentenza n. 40865 del 28 ottobre 2022, interviene per la prima volta sull’acquisto e la cessione del credito d’imposta maturati per gli interventi agevolati con il Superbonus e annesse frodi fiscali, stabilendo che non sussiste alcuna garanzia da parte dello Stato e quindi sono suscettibili di sequestro preventivo impeditivo, in relazione al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, i crediti dei terzi cessionari, posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose pertinenti al reato.
Il caso
La sentenza respinge il ricorso del Banco Desio e della Brianza S.p.A., come persona offesa dal reato, contro il sequestro preventivo dei crediti d’imposta, motivato dal pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente ad un reato potesse aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la commissione di altri reati (art. 321, c.1, c.p.).
Il primo motivo del ricorso aveva contestato la qualificazione dei crediti d’imposta quali pertinenze dei reati imputati agli indagati (associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di truffa aggravata ai danni dello Stato, evasione fiscale, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed indebita compensazione tentata, nel beneficiare illegittimamente del Superbonus), in quanto sarebbe errato considerare alla stessa stregua il diritto alla detrazione sorgente in capo a chi effettua i lavori di ristrutturazione oggetto dell’incentivo ed il credito di imposta che, a seguito di cessione di quel diritto, si genera in capo al terzo cessionario sul presupposto, ovviamente, che si tratti di cessionario di buona fede.
Superbonus, cessione del credito e frode
In sostanza, il cessionario del credito di imposta, nel caso specifico il Banco Desio, non riuscirebbe a “vedere” l’origine del proprio credito e, dunque non sarebbe in grado di effettuare alcun controllo, vedendosi riconosciuto nel proprio cassetto fiscale un importo pari al credito acquistato da portare in compensazione nei tempi stabiliti dalla legge rispetto a qualsiasi tipologia di debito erariale. Tale impossibilità di ricollegare il credito ai lavori originariamente svolti è ancor più evidente nel caso di cessioni successive, come sarebbe avvenuto nel caso in esame, laddove l’ultimo cessionario ha, quale unica evidenza disponibile, l’identità del proprio dante causa, ma certamente non può identificare i lavori di ristrutturazione.
Secondo il motivo addotto dal Banco Desio, il committente dei lavori che decide di esercitare l’opzione della cessione in luogo della detrazione diretta del costo, a dire la verità, non cederebbe alcunché in quanto non è titolare di alcun credito d’imposta e, dunque, quella che viene impropriamente definita cessione in realtà è una rinuncia al diritto alla detrazione da parte del committente che lo monetizza mediante percezione di un corrispettivo da parte del cessionario, ed il pagamento di tale corrispettivo implica, per il cessionario, l’insorgenza a titolo originario di un credito di imposta, che è una cosa ben diversa dal diritto alla detrazione assimilandosi ad esso soltanto sotto il profilo del quantum della tempistica di utilizzo. Pertanto, all’infuori delle ipotesi di compartecipazione dolosa nella condotta illecita del primo beneficiario, il terzo cessionario del diritto di credito non può subire gli effetti pregiudizievoli che attengono al primo beneficiario ed a sue eventuali condotte illecite da cui è derivata l’insorgenza del diritto alla detrazione poi trasformato in credito d’imposta.
Il tema del sequestro preventivo
Respingendo questo motivo (e anche altri che sostenevano la non sussistenza del pericolo in mora che giustificherebbe il sequestro), La Corte di Cassazione ha ribadito che il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire un pericolo, come nel caso in esame, in cui si è ravvisata l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di truffa, evasione fiscale e falso nel beneficiare indebitamente del Superbonus. I crediti ceduti costituiscono, ad un tempo, prodotto e profitto del reato, suscettibili perciò di ablazione, dovendosi escludere la buona fede della ricorrente che non aveva effettuato i doverosi controlli prima del loro acquisto.
Quindi, nel caso in esame i crediti sequestrati ai ricorrenti devono essere considerati cosa pertinente al reato, cioè cosa indirettamente legata alla fattispecie criminosa, essendo non condivisibile la tesi secondo cui il credito ceduto è sempre “garantito” dallo Stato a tutela del cessionario, anche di fronte ad un assoluto difetto di presupposti.
Superbonus e cessione del credito: opzioni e derivazioni
Il meccanismo del Superbonus è stato costruito dal legislatore su percorsi alternativi, sebbene evidentemente legati nei presupposti e sostenuti dall’identica finalità di incentivare gli interventi indicati: all’utilizzo diretto della detrazione fiscale spettante, previsto come ipotesi ordinaria, sono state infatti aggiunte le due opzioni, che – rimesse alla scelta dell’unico beneficiario (colui che ha sostenuto le spese) – costituiscono un’evidente derivazione della prima, utile per ottenere un’immediata monetizzazione del proprio diritto, senza dover attendere cinque anni per la complessiva detrazione.
Con particolare riguardo alla cessione del credito, il beneficiario si spoglia dunque del proprio diritto alla detrazione, che assume la veste – nell’identico contenuto patrimoniale – di un credito suscettibile di circolare nei termini indicati dalla legge, e che viene contestualmente ceduto. Il credito, dunque, deriva proprio dall’originario diritto alla detrazione, senza alcuna vicenda estintivo-costitutiva, conservando di questo non solo il valore economico, ma anche le modalità di esercizio, qualora – non nuovamente ceduto – utilizzato in compensazione. Le disposizioni dell’art. 121, commi 4, 5 e 6 del decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio) non introducono affatto una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo.
Il vincolo impeditivo implica soltanto l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede; ne deriva, allora, che non rileva in questa sede l’eventuale responsabilità del terzo cessionario (quale la ricorrente, peraltro persona offesa del reato di truffa aggravata), né i presupposti oggettivi o soggettivi di questa, occorrendo soltanto verificare, piuttosto, se la libera disponibilità della res – anche in capo allo stesso terzo – sia idonea a costituire un pericolo.
L’interpretazione della Corte di Cassazione
La possibilità che il terzo fornitore ed il cessionario siano chiamati a rispondere in caso di concorso, evidenzia ulteriormente il nesso derivativo che il credito ceduto ha rispetto all’originario diritto alla detrazione stessa, non ravvisandosi presupposti, diversamente, per un “recupero” anche nei confronti di questi dell’importo corrispondente alla detrazione medesima.
Infine, l’art. 28, comma 3, del decreto legge n. 4 del 2022, che stabilisce la ipotesi di nullità dei “contratti di cessione”, quando conclusi in violazione delle disposizioni, conferma ulteriormente il carattere derivativo dell’istituto e, dunque, la corretta interpretazione contenuta nell’ordinanza impugnata.
La sentenza n. 40865 del 28 ottobre 2022 della Corte di Cassazione è qui disponibile in free download.