Immobiliare

Decoro architettonico, i limiti alle modifiche condominiali

Corte di Cassazione: ciascun condomino ha il potere di apportare una modifica della cosa comune, a condizione che non impedisca l'altrui paritario uso, non pregiudichi la sicurezza dell'edificio, né alteri il decoro architettonico
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Decoro architettonico, i limiti alle modifiche condominiali
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25790 del 13 novembre 2020, interviene sul decoro architettonico dell’edificio in un caso riguardante l’installazione di una canna fumaria sulla facciata posteriore di un condominio. Secondo i giudici, “l’appoggio di una canna fumaria al muro comune di un edificio condominiale comporta una modifica della cosa comune che ciascun condomino ha il potere di apportare, a condizione che non impedisca l’altrui paritario uso e non rechi pregiudizio alla sicurezza dell’edificio, né alteri il decoro architettonico, come accadrebbe nell’ipotesi in cui la nuova opera pregiudichi l’armonico aspetto dello stabile. Questo a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio”.

Il fatto: una canna fumaria su facciata condominiale deturpa l’architettura del fabbricato

Un condomino aveva fatto opposizione all’installazione di una condotta di aspirazione imposta dall’amministrazione sanitaria. E destinata a servizio dell’attività commerciale di ristorazione svolta nell’unità  immobiliare di proprietà di una società. La società aveva proposto ricorso sostenendo che la canna fumaria non ledesse il decoro architettonico, giacché inserita in una facciata condominiale posteriore, già  caratterizzata dalla presenza di altri manufatti. Il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso, ritenendo che la canna fumaria sulla facciata retrostante dell’edificio deturpasse l’architettura del fabbricato. La Corte d’Appello aveva confermato tale pronuncia, evidenziando che la canna fumaria o condotta di aspirazione, con relativa tubazione, avrebbe leso la linearità dell’edificio ed avrebbe avuto un impatto significativo su di una facciata avente mensole, ringhiere, travetti ed altri elementi di dimensioni “esili”, per ottenere la “leggerezza ricercata dal progettista per l’involucro del fabbricato”. Inoltre, “l’installazione causerebbe (a parte le emissioni di odori e la costituzione di un precedente) aspetti pregiudizievoli nei confronti dell’edificio per quanto attiene il superamento della linda, che non risulta fattibile se non con interventi ulteriormente impattivi dal punto di vista del decoro architettonico”.

La sentenza: l’art. 1102 c.c. pone un limite all’uso particolare del bene comune

Alla base della pronuncia della Corte di Cassazione vi è il principio per cui “l’utilizzazione con impianti destinati a servizio esclusivo di un’unità  immobiliare di proprietà  individuale di parti comuni dell’edificio condominiale esige il rispetto delle regole dettate dall’art. 1102 c.c., che pone come limite all’uso particolare del bene comune il pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio condominiale. In particolare, l’appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale è una modifica della cosa comune che, seppur conforme alla destinazione della stessa, ciascun condomino può apportare a sue cure e spese. Sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità  ed alla sicurezza dell’edificio e non ne alteri il decoro architettonico.

L’alterazione del decoro architettonico

Tale fenomeno – si legge nella sentenza – si verifica non già  quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull’insieme dell’armonico aspetto dello stabile. A prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio e dal grado di visibilità  delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell’edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate. Nei limiti dettati dall’art. 1102 c.c., senza bisogno del consenso degli altri partecipanti, ciascun condomino può servirsi dei muri perimetrali comuni dell’edificio ed appoggiarvi tubi, fili, condutture, targhe, tende e altri manufatti analoghi. Ma con divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato.

La nozione di decoro architettonico

Il ‘decoro architettonico’ è nozione giuridica generica, che richiede di essere specificata in sede interpretativa, mediante l’accertamento della concreta ricorrenza, nella vicenda dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo, ponendosi sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. La nozione di decoro architettonico, sottesa anche ai limiti di uso della cosa comune, ha una portata diversa da quella di ‘aspetto architettonico’. E attiene a tutto ciò che si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia estetica ed armonica, che contribuisce a dare ad esso una sua specifica identità.

Alcune importanti specifiche

Riguardo alla tutela del decoro architettonico dell’edificio condominiale non rileva che:
  • il fabbricato abbia un particolare pregio artistico,
  • tale fisionomia sia stata già gravemente ed evidentemente compromessa da precedenti interventi sull’immobile,
  • il valore economico sia diminuito in correlazione alla modifica,
  • si tratti della facciata principale o di una facciata secondaria dell’edificio. In quanto la facciata rappresenta l’immagine stessa dell’edificio, la sua sagoma esterna e visibile, nella quale rientrano, senza differenza, sia la parte anteriore, frontale e principale, che gli altri lati dello stabile.
Nemmeno conta l’essenzialità della installazione della canna fumaria per consentire lo svolgimento di un’attività  di ristorazione all’interno di un edificio condominiale. È vero che, agli effetti dell’art. 1102 c.c., con particolare riguardo proprio al muro perimetrale del fabbricato, bisogna ritenere che vada preservato l’uso potenziale, spettante a tutti i condomini, di collocarvi gli impianti che possano considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità  dei rispettivi appartamenti, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene. Non può, però, con gli stessi argomenti giustificarsi l’esigenza di un condomino di trarre dal bene comune una utilità  aggiuntiva e più intensa, sia pure in spregio al decoro architettonico dell’edificio, per consentirgli lo svolgimento di un’attività commerciale o industriale.

Le soluzioni alternative in sede di giudizio di merito

Respinti con queste argomentazioni i motivi del ricorso, la sentenza ne accoglie però un altro, quello che contesta alla Corte di Appello di essersi limitata ad affermare che le soluzioni alternative proposte nel corso del giudizio di appello non potessero trovare ‘sfogo’ in quella fase. Ma avrebbero potuto, invece, ‘essere offerte dall’appellante al Condominio’. Secondo i giudici della Cassazione, la Corte d’appello avrebbe invece dovuto verificare se accogliere la domanda di accertamento del diritto della ricorrente di servirsi della cosa comune, nei limiti di cui all’art. 1102 c.c., operando le modificazioni di consistenza e struttura ulteriormente specificate in sede di gravame. Pertanto, la sentenza impugnata è stata cassata. E la causa rinviata alla Corte d’appello in diversa composizione.
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