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Codice dei contratti pubblici e Sblocca cantieri, la normativa rallenta gli investimenti

E’ quanto emerge da un’indagine condotta dalla Conferenza delle Regioni, Confindustria, Ance e Luiss. Ecco tutti i risultati
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Codice dei contratti pubblici e Sblocca cantieri, la normativa rallenta gli investimenti
Il Codice dei contratti pubblici del 2016? Ha rallentato la realizzazione degli investimenti pubblici, aumentando il peso della burocrazia. La normativa anticorruzione? Poco utile. Sono questi alcuni dei risultati che emergono da un’indagine condotta dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Confindustria, Ance e l’università Luiss. Ben 5.104 stazioni appaltanti e 217 operatori economici hanno fornito una vera e propria radiografia delle difficoltà del sistema dei contratti pubblici nel nostro Paese. I dati della ricerca sono stati presentati nel corso dell’evento on line Perché in Italia le opere pubbliche sono ferme? dal professor Bernardo Giorgio Mattarella, Ordinario di Diritto Amministrativo presso la Luiss.

Le principali criticità

Anche il decreto sblocca cantieri non sembra aver risolto le principali criticità normative preesistenti. A pensarlo è addirittura l’81% dei Responsabili unici del procedimento. Perplessità anche sulla normativa anticorruzione: solo il 13 % dei Rup che ha un ruolo dirigenziale la ritiene utile e rispondente ad esigenze di trasparenza. Rispetto al grado di criticità delle varie fasi del ciclo dei contratti pubblici l’attenzione dei Rup si concentra su gara e aggiudicazione. Tra le misure che potrebbero far funzionare meglio il sistema, vi sono la razionalizzazione del numero delle stazioni appaltanti ed un loro percorso di qualificazione e professionalizzazione.

Il parere degli esperti

Prendendo spunto proprio dai dati presentati, nel corso di una tavola rotonda a corredo dell’evento, Fulvio Bonavitacola (Commissione infrastrutture Conferenza delle Regioni) si è soffermato su alcuni aspetti critici, considerando il codice dei contratti e non solo. A cominciare dal processo di responsabilizzazione del dirigente pubblico, che ha generato il fenomeno diffuso della “paura della firma” ed una fuga dalla responsabilità. Per Stefan Pan (Confindustria) “l’uscita dalla crisi economica non può prescindere da un effettivo rilancio della politica infrastrutturale. Giocano un ruolo determinante l’efficienza dei processi decisionali, l’adeguamento professionale della pubblica amministrazione, una migliore qualità progettuale”. Infine, Edoardo Bianchi (Vicepresidente Ance) ha rimarcato che “da oltre venti anni il mercato dei lavori pubblici è afflitto da una schizoide ipertrofia normativa e da una progressiva carenza di risorse. In tutto il settore vige una presunzione di colpevolezza che lo ha definitivamente bloccato”.

Contratti pubblici e la “paura della firma”

Emergono altri dati interessanti dallo studio. L’espansione delle competenze regolative dell’Anac ha contribuito a garantire trasparenza e legalità soprattutto per i più giovani (65%). Una percentuale che cala al 51% tra i più maturi e al 42% tra i direttori/dirigenti apicali. Per la maggior parte degli interpellati, in ogni caso, l’azione dell’Autorità ha appesantito gli adempimenti burocratici. Il fenomeno della “paura della firma” è frutto del timore di incorrere in responsabilità penali, civili o amministrative. Un giudizio espresso da oltre il 50% degli intervistati. Tra le principali conseguenze, la rinuncia all’utilizzo di procedure d’acquisto, un’attenzione alla correttezza formale a danno del risultato finale del contrato. E ancora: il mancato utilizzo dei fondi europei in quanto sottoposti a ulteriori controlli.

Le stazioni appaltanti

Per far funzionare meglio le stazioni appaltanti, il loro numero dovrebbe essere ridimensionato. E secondo le 217 imprese è fondamentale la loro “qualificazione e professionalizzazione delle stazioni appaltanti”. Il cosiddetto “appalto integrato su progetto definitivo” piace soprattutto alle aziende con un volume d’affari notevole (71%). Meno a quelle medie (53%), e ancor meno a quelle che fatturano tra i 500 mila euro e il milione (43%).  Per quanto concerne le azioni necessarie per ridurre il contenzioso, il 67% delle aziende sopra i 20 milioni vota per il “ricorso alle centrali di committenza”. Una percentuale che crolla al 20% per quelle sotto il mezzo milione. Un consenso generalizzato si ha invece per i “termini perentori per l’accordo bonario”.

Centralizzazione della committenza

La “centralizzazione e aggregazione della committenza” gode del 69% dei consensi tra i Rup con meno di 35 anni, e scende al 50% fra chi ha più di 55 anni. Per quanto riguarda invece gli operatori economici interpellati, il 71% delle imprese sopra i 20 milioni è a favore della “centralizzazione e aggregazione delle committenze”, contro il 47% di quelle sotto i 500 mila euro. Infine, la digitalizzazione incontra il 92% dei consensi tra i Rup più giovani e scende al 78% tra i più anziani.
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