Cause di esclusione dalla gara, esiste un limite temporale?
                                Con la sentenza del 07/09/2021, n. 6233, la quinta sezione del Consiglio di Stato, ha stabilito in tre anni il limite temporale delle cause di esclusione dalle gare d’appalto pubbliche, quando il fatto contestato costituisce un grave illecito professionale. La necessità di stabilire un termine di esclusione dalla gara discende dal principio di proporzionalità, e il limite di tre anni si ricava facendo applicazione diretta dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE.
Il caso
Una società che aveva partecipato ad una procedura di gara per l’affidamento di lavori relativi ad un impianto di illuminazione e si era collocata al primo posto della graduatoria provvisoria, si era vista poi esclusa dalla gara perché il socio unico della società era stato condannato, con sentenza non ancora passata in giudicato, per il reato di omicidio colposo connesso ad infortunio sul lavoro.
La società aveva impugnato il provvedimento di esclusione e quello di aggiudicazione della gara ad altra società concorrente. Lamentando che l’infortunio per il quale era intervenuta la condanna del socio unico risaliva a tredici anni prima.
Le condanne rilevanti per la esclusione dalla gara
La difesa della ricorrente aveva sostenuto la violazione dell’art. 80 commi 5, 10 e 10 bis del Codice dei contratti pubblici, perché la causa di esclusione superava il termine di rilevanza triennale previsto dalle norme invocate.
Il TAR aveva rigettato il ricorso ritenendo invece che l’art 80 comma 5 lett. c) non prevederebbe in maniera espressa dei limiti cronologici alla rilevanza di fatti che costituiscono gravi illeciti professionali.
Ribaltando la decisione di primo grado, il Consiglio di Stato ha condiviso l’impostazione difensiva.
Secondo il costante orientamento del Consiglio di Stato infatti, “è irrilevante il fatto costitutivo di una delle cause di esclusione di cui all’art. 80 comma 5, cit., che sia stato commesso oltre tre anni prima della indizione della procedura di gara.”
L’orientamento giurisprudenziale, ripreso dalla quinta sezione del Consiglio di Stato nella sentenza in commento, si fonda su due forti argomenti.
Principio di proporzionalità
In primo luogo, depone a favore del termine triennale il rispetto del principio generale di proporzionalità. Fatti risalenti oltre un determinato limite temporale non rappresentano più un indice su cui misurare l’affidabilità professionale dell’operatore economico. Sarebbe in contrasto con il principio di proporzionalità consentire alla stazione appaltante di escludere un concorrente dando rilievo a motivi risalenti nel tempo, che non dicono più nulla sull’affidabilità dell’impresa.
Di conseguenza, “un siffatto generalizzato obbligo dichiarativo, senza la individuazione di un generale limite di operatività “potrebbe rilevarsi eccessivamente onerosa per gli operatori economici imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa.”
Applicazione diretta del termine previsto dall’art. 57 Direttiva 2014/24 UE
In secondo luogo, chiarisce il Supremo Collegio, l’art. 80 comma 10 bis del Codice degli appalti deve essere interpretato alla luce dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE , “il quale ha previsto, in termini generali, che il periodo di esclusione per i motivi di cui al paragrafo 4 (all’interno del quale rientrano sia la causa di esclusione dei gravi illeciti professionali lett. c), sia quella delle “false dichiarazioni … richieste per verificare l’assenza di motivi di esclusione” lett. h)) non può essere superiore a “tre anni dalla data del fatto in questione”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ritenuto di dare applicazione diretta (“verticale”) all’art. 57 della direttiva 2014/24/UE nell’ordinamento interno. Il termine di tre anni previsto dall’art. 57 è dunque immediatamente applicabile dal giudice, senza necessità di un recepimento da parte del legislatore. L’applicabilità diretta della norma europea è stata confermata anche dalla Corte di giustizia dell’UE, (Sezione IV, 24 ottobre 2018, C-124/17), per la quale “ai sensi dell’art. 57, paragrafo 7, della direttiva 2014/24, gli Stati membri determinano il periodo massimo di esclusione… detto periodo non può, se il periodo di esclusione non è stato fissato con sentenza definitiva, nei casi di esclusione di cui all’articolo 57, paragrafo 4, di tale direttiva, superare i tre anni dalla data del fatto in questione”.
                                    
