Agricoltura e agroalimentare

Grano duro, la penuria si batte con la ricerca

ENEA e Università della Tuscia al lavoro con gli enti di ricerca del Mediterraneo per testare sementi naturalmente resistenti
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Grano duro, la penuria si batte con la ricerca

Il grano duro, fondamentale nella catena alimentare e protagonista della Dieta Mediterranea, scarseggia a causa del conflitto in Ucraina. E in questo momento storico così complesso la ricerca di alternative al grano proveniente dall’est Europa è fondamentale: in questo solco si inserisce naturalmente la ricerca e il miglioramento dei processi di produzione. L’ENEA insieme all’Università della Tuscia è al lavoro insieme ad altre istituzioni dell’area del nord Africa e della Turchia al progetto  IMPRESA.

Grano duro, il ruolo dell’ingegneria genetica

Grazie all’impiego di strategie di ingegneria cromosomica non-OGM è stato possibile sviluppare linee ricombinanti in cui sono state trasferite quantità variabili del corredo genetico di specie selvatiche tolleranti agli stress ambientali, come ad esempio le specie perenni Thinopyrum ponticum e Thinopyrum elongatum. Queste linee sono state messe a disposizione del team internazionale che ha già iniziato a testarle per selezionare quelle maggiormente resilienti. “Siamo già partiti con i primi test che ci permetteranno di valutare la capacità di resilienza a siccità – spiega la coordinatrice del progetto, Carla Ceoloni dell’Università della Tuscia – alte temperature e salinità del suolo di queste nuove combinazioni di frumento duro e graminacee selvatiche sia in condizioni controllate sia in campo, nei vari ambienti pedo-climatici presenti nei Paesi che hanno aderito al progetto. Questa è una fase fondamentale che ci ‘traghetterà’ a quella successiva, quando trasferiremo le nuove caratteristiche di adattamento a varietà di frumento duro meglio rispondenti alle esigenze di coltivazione dei diversi ambienti e degli utenti finali, come agricoltori e aziende sementiere e di trasformazione”.

Il lavoro dell’ENEA nel progetto IMPRESA

I ricercatori ENEA monitorano in serra e quini in condizioni controllate nelle prime fasi di sviluppo della pianta, la risposta allo stress salino di alcune linee ricombinanti di frumento duro/graminacee selvatiche, valutandone la crescita sia in termini di sviluppo della pianta che di proliferazione cellulare. “I risultati ottenuti finora sono molto positivi: la presenza di materiale genetico ‘alieno’, proveniente in particolare dalle specie selvatiche del genere Thinopyrum, nel genoma del frumento duro conferisce alla pianta un vantaggio – spiega Debora Giorgi, ricercatrice ENEA del Laboratorio Biotecnologie e responsabile del progetto – con differenze statisticamente significative rispetto ai controlli, in termini di tolleranza alla salinità e anche agli altri tipi di stress ambientali. Ma, oltre allo sviluppo di nuove linee e di future varietà di grano duro stiamo cercando di identificare anche i fattori chiave, come geni, proteine e metaboliti, alla base della risposta del frumento duro e delle graminacee selvatiche alle diverse condizioni di stress”.

Dal frumento tenero al grano duro: la traslazione delle esperienze tecniche

Per le attività di studio e monitoraggio ENEA ha messo in campo competenze e tecniche originali sviluppate nel corso degli anni per affrontare la grande sfida posta dall’analisi dei genomi vegetali, prima di tutto quello del frumento tenero, sei volte più grande di quello umano. “Stiamo utilizzando una tecnica che abbiamo messo a punto nei nostri laboratori e applicato già su specie vegetali complesse come il grano tenero – ricorda la Giorgi – l’avena e la segale. L’uso di questo approccio ci ha permesso di separare ed isolare i singoli cromosomi contenenti la cromatina “aliena” da tutto il resto del genoma del frumento, così da identificare in modo più mirato la presenza di quei geni e di quelle sequenze di DNA che ci consentiranno di sviluppare varietà resilienti, ecosostenibili ed efficienti nell’uso delle risorse naturali disponibili”.

Il progetto IMPRESA punta anche ad attivare approcci partecipativi, valorizzando le esperienze locali in conservazione, utilizzazione e gestione delle risorse genetiche vegetali. Come ad esempio saggiare i materiali genetici anche in sistemi di ‘agricoltura conservativa’ diffusi in Algeria e in Turchia e di crescente interesse per gli operatori cerealicoli dell’Italia meridionale.

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