Care farming e multifunzionalità, le nuove possibilità per gli agricoltori
Con la legge n. 141 del 2015 l’imprenditorialità agricola si coniuga con la responsabilità sociale, mettendo in evidenza le pratiche funzionali alla produzione di beni ed erogazione di servizi, gestite da operatori provenienti dal settore agricolo.
Cosa è il care farming?
Un ruolo multifunzionale dell’agricoltura impegnata nel campo dei servizi alla persona (care farming). Non si tratta, quindi, di interventi con una logica assistenziale. Si tratta di un “modo” di esercitare le attività agricole che si è sviluppato inizialmente nella società, arricchendosi progressivamente grazie alle iniziative, all’impegno ed alla sensibilità degli operatori agricoli nonostante l’assenza di uno specifico supporto legislativo e di una definizione normativa a livello europeo.
Già con il D.Lgs. n. 228 del 2001, ridefinendo il concetto di imprenditore agricolo e di attività connesse, si era rafforzata l’opportunità di svolgere agricoltura sociale, intesa come attività di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo.
La Legge 18 agosto 2015, n. 141 non fa altro che riconoscere e consolidare queste importanti esperienze di agricoltura e bioagricoltura sociali, introducendo fondamentali elementi di chiarezza.
Il tema della multifunzionalità è ulteriormente richiamato, all’intero del testo di legge, nella possibilità, data alle Regioni all’atto della predisposizione dei piani di sviluppo rurale, di realizzare programmi finalizzati allo sviluppo della multifunzionalità delle imprese agricole e basati su pratiche di progettazione integrata territoriale e di sviluppo dell’agricoltura sociale.
Si supera il concetto di “impresa mista” o “complessa” che effettua (parallelamente o contestualmente all’attività agricola principale) prestazioni di servizi a terzi, utilizzando le attrezzature normalmente impiegate nell’attività di coltivazione del fondo, del bosco o di allevamento.
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Le finalità della legge sull’ agricoltura sociale
L’art. 2, comma 1, lett. a), b), c), d), della Legge n. 141/2015 comprende nella definizione di “agricoltura sociale” le attività dirette a realizzare:
a) inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità e di lavoratori svantaggiati e di minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione e sostegno sociale;
b) prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali mediante l’utilizzazione delle risorse materiali e immateriali dell’agricoltura per promuovere, accompagnare e realizzare azioni volte allo sviluppo di abilità e di capacità, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e di servizi utili per la vita quotidiana;
c) prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative finalizzate a migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati anche attraverso l’ausilio di animali allevati e la coltivazione delle piante;
d) progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, alla salvaguardia della biodiversità nonché alla diffusione della conoscenza del territorio attraverso l’organizzazione di fattorie sociali e didattiche riconosciute a livello regionale, quali iniziative di accoglienza e soggiorno di bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica.
Le attività di agricoltura sociale previste
I locali destinati alle attività di agricoltura sociale mantengono il riconoscimento della ruralità e a queste attività si applicano, infine, i regimi fiscali previsti per gli imprenditori agricoli.
In sintesi, la Legge n. 141/2015 articola le attività di agricoltura sociale in due gruppi:
• attività agricole (riferibili all’art. 2135 c.c.); si tratta di attività agricole o di attività connesse che possono anche svolgersi con funzione sociale e che già dispongono di una disciplina, comprendente gli aspetti fiscali e tributari;
• attività di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo mediante l’utilizzazione di beni ed attrezzature impiegati nelle attività agricole. La legge consente che tali attività siano prevalenti rispetto allo svolgimento delle attività agricole. Dunque, nell’ambito dei servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, la legge ridefinisce il rapporto tra connessione con l’attività agricola e criterio di prevalenza, introducendo una norma indubbiamente innovativa ma con una forte potenzialità critica per il rischio di “snaturare” la vocazione tipica dell’azienda.
A chi si rivolge la legge sull’agricoltura sociale?
L’art. 2, comma 1, della Legge 18 agosto 2015, n. 141 riferisce ad “agricoltura sociale” le attività esercitate da:
a) imprenditori agricoli (art. 2135 c.c.), in forma singola o associata;
b) cooperative sociali (Legge 8 novembre 1991, n. 381):
• cooperative costituite come imprenditore agricolo, a norma dell’art. 2135 c.c.;
• cooperative il cui fatturato derivante dall’esercizio delle attività agricole svolte sia prevalente, ovvero superiore al 50% del totale;
• cooperative il cui fatturato derivante dall’esercizio delle attività agricole sia superiore al 30% di quello complessivo e che sono considerate operatori dell’agricoltura sociale in misura corrispondente al fatturato agricolo.
Al di sotto della soglia del 30% di fatturato derivante da attività agricole, le cooperative sociali non sono ammesse quali operatori dell’agricoltura sociale.
La legge, dunque, dispone che le attività di agricoltura sociale possano essere esercitate da operatori specifici e predeterminati, costituendo un “numero chiuso” sottoposto a norma imperativa, inderogabile.
La notazione assume rilevanza in tema di attività connesse, che possono essere esercitate solo dall’imprenditore agricolo, configurando un ulteriore sub-sistema chiuso relativamente alla qualificazione soggettiva dell’operatore di agricoltura sociale.
Gli operatori, inoltre, possono costituire organizzazioni di produttori per prodotti dell’agricoltura sociale e l’appartenenza ad una organizzazione di questo tipo consente l’accesso a possibili integrazioni, con finanziamenti pubblici, del rispettivo fondo di esercizio per la realizzazione dei programmi di commercializzazione della produzione e la possibilità di stipulare intese di filiera nell’ambito del Tavolo agroalimentare.
La facoltà di costituire organizzazioni di produttori è uno degli aspetti con maggiore rilievo della disciplina introdotta dalla Legge n. 141/2015.
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