Modelli e strategie

La strategia Ue per una moda sostenibile

Si chiama EU Strategy for Sustainable and Circular Textiles il piano della Commisione europea per controllare la filiera del tessile, da tempo lasciata in un pantano dal quale ha sempre faticato a uscire, e renderla davvero sostenibile
Condividi
La strategia Ue per una moda sostenibile

Qualcosa, finora, non è andato nel verso giusto nel binomio tra sostenibilità e moda.

Il greenwashing (o, come l’ha ribattezzato Duncan Autin, “greenwishing”) sta impegnando tutto il settore tessile facendo la spola (mai metafora fu più azzeccata) tra la militanza della volontà e l’effettiva impossibilità a raggiungere a fondo l’obiettivo.

In effetti, parlare di moda sostenibile sembra più un’utopia che un programma concretamente attuabile.

Un obbligo morale

Investito da un obbligo quasi morale, che gli scucisse di dosso l’aura di superficialità, il mondo della moda – più di altri – sta spingendo sull’acceleratore di una visione più green ormai da tempo.

Prodotti che vanno dai costumi da bagno agli abiti da sposa sono commercializzati come carbon-free, organici, vegani, realizzati con funghi, alghe; scarpe da ginnastica realizzate dagli scarti della frutta, dalla canna da zucchero.

Nuovi modelli di business tra cui riciclaggio, rivendita, noleggio, riutilizzo e riparazione vengono spacciati come salvavita ambientali.

Un’innovazione che non funziona

Tuttavia, questa sperimentazione, nonché presunta “innovazione”, nell’industria della moda negli ultimi 25 anni non è riuscita a ridurne l’impatto planetario.

Le ragioni del fallimento della sostenibilità del settore sono complicate, e non solo per l’inesausta pressione per una crescita inesorabile sommata alla domanda dei consumatori di fast fashion.

In sostanza, la moda sostenibile è tutt’altro che sostenibile.

E una filiera non tracciabile

Il problema più grande resta l’impossibilità della tracciabilità della filiera, una catena di approvvigionamento a più livelli che rimane complessa e opaca.

Pochissimi marchi possiedono gli asset delle loro fabbriche a monte e la maggior parte delle aziende esternalizza la produzione finale.

Questa complessità e mancanza di trasparenza significa che le stime dell’impatto di CO2 del settore vanno dal 4% (McKinsey, Global Fashion Agenda) al 10% (dati 2018, ONU) delle emissioni globali di carbonio complessive.

Quantità vs qualità

Il modello economico che regola il settore tessile è un sistema semplice, basato sulla crescita.

Questa incessante ricerca del “di più” guida strategie specifiche per l’industria della moda, tra le quali preferire il cambiamento al miglioramento.

Per motivare il consumo si mette in atto una catena che opti per la quantità anziché per la qualità, quindi si spinge al cambiamento, l’impulso a perseguire ciò che è diverso, più economico o più veloce, contando proprio sulla caratteristica genetica del settore legata al desiderio, che domina il mondo della moda.

Il vortice edonistico

E, in questa velocità, il vortice edonistico che investe i consumatori continua ad aumentare sempre più i suoi giri.

I colossi del fast fashion, pur in tempi di pandemia, continuano a sfornare fino a 24 collezioni all’anno, con diretti competitor cinesi a un passo dal doppiarli.

Una delle conseguenze più evidenti, ad esempio, è che il consumo di poliestere (fibra sintetica per eccellenza, rapida e più facilmente ottenibile rispetto a quelle naturali, nonché derivato da risorse non rinnovabili, che richiedono una grande quantità di energia per l’estrazione e la lavorazione rilasciando sottoprodotti non smaltibili) è cresciuto fino a rappresentare più della metà di tutta la produzione mondiale di fibre.

Le prospettive

Davvero allora la moda è il capro espiatorio da condannare per non essere riuscita a prendere il governo di una nave e portarla in porti migliori?

L’Unione Europea dice di no, ma il sopracciglio si inarca.

Lo scorso 30 marzo, con il suo programma EU Strategy for Sustainable and Circular Textiles (figlio del piano di economia circolare varato esattamente due anni prima, poco prima che il mondo venisse investito dalla pandemia Covid19), ha fissato alcuni punti che costringeranno le industrie di settore ad adeguarsi a determinati parametri per la loro sopravvivenza.

La strategia

La strategia europea mira a creare un settore più green, più competitivo e più resistente agli shock globali. Entro il 2030 la Commissione per i tessili si prefigge di:

  • immettere sul mercato tessili che siano durevoli, riparabili e riciclabili, in gran parte realizzati con fibre riciclate, privi di sostanze pericolose, prodotti nel rispetto dei diritti sociali e dell’ambiente;
  • mettere al bando il fast fashion garantendo ai consumatori materiali di alta qualità a prezzi accessibili;
  • rendere facilmente disponibili e proficui servizi di riciclaggio, riutilizzo e riparazione;
  • consentire al settore di avvalersi in casa delle capacità sufficienti per il riciclaggio e l’incenerimento e il conferimento in discarica col minimo impatto.

Gli interventi

Sono previsti in questo senso concreti interventi per aiutare l’industria

  • stabilendo requisiti di progettazione per i tessuti per farli durare più a lungo, più facili da riparare e riciclare;
  • introducendo informazioni più chiare sui tessili e un passaporto digitale del prodotto
  • responsabilizzando e invitando i consumatori ad avere un approccio più green vigilando strettamente l’accuratezza delle affermazioni ecologiche delle aziende;
  • imponendo il divieto di sovrapproduzione e il consumo eccessivo, e scoraggiando la distruzione dei tessuti invenduti o restituiti;
  • portando le regole dell’Extended Producer Responsibility (EPR) anche all’interno del settore tessile con incentivi economici per rendere i prodotti più sostenibili;
  • aiutando a smaltire il rilascio involontario di microplastiche da tessuti sintetici;
  • garantendo entro il 2023 un sistema efficace che controlli i rischi derivanti dall’esportazione di rifiuti tessili e che prevenga ed elimini il fenomeno dalla contraffazione.

La situazione oltreoceano

Non meno ambizioso (né meno “zoppicante”) il disegno di legge americano, che sotto il nome di Fashion Sustainability and Social Accountability Act (o semplicemente Fashion Act) sta cercando di legare indissolubilmente il concetto di sostenibilità a quello di moda prodotta (o che fa affari) negli Stati Uniti.

Il Fashion Act nasce legislamente nello Stato di New York per volontà della senatrice Alessandra Biaggi e del membro dell’assemblea di New York Anna R. Kelles, e si applicherebbe alle aziende globali di abbigliamento e calzature con oltre 100 milioni di dollari di fatturato.

Lo scopo è regolamentare un’industria, a lungo un bersaglio degli attivisti ambientali (che giustamente ne denunciavano l’eccessiva liberalizzazione, senza alcun tipo di controllo), agendo sulla conversione di molte strutture che un tempo operavano come impianti di tintura e finissaggio dei tessuti, ed entrate negli anni nell’elenco delle priorità nazionali del Superfund.

Tempo di cambiare

Le conseguenze della ‘riscrittura’ di queste regole sono poche chiare, così come non è prevedibile l’impatto effettivo che avranno nel medio e nel lungo termine sull’industria di settore.

Un sistema di tassazione, ad esempio, sui consumi e gli smaltimenti dei materiali immaginato come una pistola alla tempia degli imprenditori potrebbe davvero affossare un’economia a corto d’ossigeno (chiedere ai consumatori di far andare di pari passo le loro intenzioni di acquisto con il consumo di moda sostenibile e più costosa non funziona).

Negli ultimi 25 anni moda e sostenibilità non si sono mai davvero incontrate, è tempo di cambiare, di rimescolare le carte con un approccio inventivo che porti a un consumo più consapevole.

Più green meno wish

Chiedere ai consumatori di spendere di più, di vagliare affermazioni, etichette e complessità, di diventare i vigili della moda è troppo.

Allo stesso tempo, è una pia illusione sperare che gli investitori, con i loro orizzonti temporali brevi e gli obiettivi di performance basati su indici, facciano pressione sulle aziende affinché rispettino i problemi del pianeta.

Da sempre la moda è stata investita del ruolo di specchio dei tempi, ma qualche volta li ha anche determinati, e adesso – se è vero che questo periodo storico è confuso più che mai – è il momento di dimostrarlo mettendo in campo tutta la creatività per immaginare un tempo davvero sostenibile.

Condividi

Potrebbero interessarti

Condominio

Dalla costituzione del condominio alla gestione delle tabelle millesimali, dalle delibere assembleari ai lavori edilizi e ai titoli abilitativi:...

Decreto Salva Casa

Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 124 del 29 maggio 2024 il Decreto Legge 29 maggio 2024, n. 69 recante “Disposizioni urgenti in materia di...

Nuovo Codice appalti

Un vero e proprio cambio di paradigma, mirato a ristabilire un equilibrio tra la necessità di velocizzare le procedure di appalto e...

Il MASE aggiorna i c.d. CAM strade

Andrea Castelli
Andrea Castelli - Avvocato
Marco Loche
Il MASE interviene in maniera specifica su alcune parti del precedente Provvedimento 5 agosto 2024, dato che è emersa la necessità di correggere...