Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica finanzia con 115 milioni di euro settantacinque 
nuovi progetti di realizzazione di impianti di riciclo dei rifiuti plastici, compresi quelli recuperati dal mare.
Il Dipartimento Sviluppo Sostenibile del Ministero ha approvato infatti il 
decreto di concessione dei contributi ai progetti “faro” di Economia Circolare per il riciclo della plastica, specifica linea di intervento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Il progetto per il riciclo della plastica
Il provvedimento del Ministero, trasmesso alla Corte dei Conti per la registrazione, estende la platea dei beneficiari già individuati dal precedente decreto grazie alla rimodulazione delle risorse non utilizzate per altre linee. Di fatto, è stata aggiornata la lista dei soggetti beneficiari del contributo per complessivi 115 milioni. L’obiettivo è far crescere la filiera dell’innovazione, dando seguito all’impegno preso al G7 in Giappone.
Il finanziamento ai soggetti beneficiari, la cui lista è pubblicata sul sito del Ministero, consentirà la realizzazione di nuovi impianti di riciclo meccanico, chimico e i “plastic hubs”, anche per recuperare il cosiddetto “marine litter”.
Questo sarà reso possibile anche grazie ai 
fondi del PNRR, impiegati in interventi che vogliono far crescere nel Paese una filiera dell’innovazione sul dirimente problema della gestione dei rifiuti plastici.
Anche nel G7 in Giappone – ha spiegato il Ministro Giorgetti – l’impegno preso è stato molto chiaro: fissando come target lo stop a nuovi rifiuti plastici entro il 2040. In questo modo l’Italia vuole concretizzare l’impegno nel riciclo, puntando su progetti che favoriscano sempre di più l’economia circolare.
    
Perché nella gestione dei rifiuti la plastica rappresenta un problema
Verrebbe da chiedersi come mai, all’interno di un progetto di così grande portata (che abbraccia macro aree dell’economia circolare), come mai la plastica ha un ruolo così predominante.
Per rispondere, in realtà, basterebbe considerare la quantità di plastica giornaliera che ognuno di noi produce. A questo, inoltre, si aggiunge un altro problema, ovvero tutte le difficoltà legate al riciclo di questo materiale, recuperabile solo in minima parte (una quantità molto bassa se rapportata a quella consumata tutti i giorni).
Nel corso di decenni o addirittura secoli, gran parte di quella plastica buttata via, disseminata e gettata in discarica si è scomposta in 
minuscole particelle note come microplastiche, che continuano ancora oggi a contaminare il nostro cibo, l’aria e l’acqua. Si accumulano anche nei nostri corpi, aumentando potenzialmente i rischi di infiammazioni croniche e altri mali.
I prodotti in plastica sono spesso costituiti da miscele di 
molte sostanze chimiche, che possono ostacolare i processi di riciclaggio rendendo più difficile isolare un materiale di base per recuperarlo o riutilizzarlo.
Secondo gli esperti ci sono diversi modi per provare ad arginare il problema, per esempio – prima di tutto – riducendo l’uso della plastica nelle nostre vite, stando attendi quindi a cosa compriamo e come consumiamo. Poi è fondamentale il ruolo delle grandi aziende, che dovrebbero sempre di più puntare e essere incentivate nell’avvio di programmi di riciclaggio. Infine, e qui si inseriscono i progetti come quelli promossi dal MASE, è importante 
investire in strumenti e processi che assicurino che tutto ciò che buttiamo via venga effettivamente trasformato in qualcosa di utile.
Dal punto di vista ambientale, il modo migliore per contrastare gli effetti negativi dell’eccessivo consumo di plastica resta l’aumento del tasso di riciclaggio della stessa. Non basta quindi 
tenere la plastica fuori dalle discariche o dagli inceneritori, perché il valore e l’importanza del riciclo stanno sostituendo – in termini di vantaggio – la produzione, anche se si tratta di produzione di materiali sostenibili, perché la quantità di inquinamento generata durante la produzione di materiali cd. “vergini” resta maggiore di quella generata quando si utilizzano materiali recuperati.