Fase 2: il punto sulla gestione di ristoranti e spiagge
                                Cosa succederà nelle prossime settimane, e mesi, sul fronte della ristorazione e della gestione delle spiagge? Questa è una domanda che ci si pone da tempo, probabilmente fin dall’inizio dello scoppio della pandemia. Ed è un nodo che ancora si fa fatica a sciogliere, anche se le prospettive iniziano a diventare sempre più chiare.
D’altra parte, se si volesse ripercorrere la fitta ancorché breve cronologia degli eventi, che possano dare un’idea il più possibile fedele della pandemia da Covid19, si noterebbe come la trasformazione e l’evoluzione del contagio abbiano portato a un incessante lavoro di aggiornamento sul suo stato da parte degli organismi di controllo e delle autorità competenti.
A oggi molti dei documenti pubblicati hanno una valenza temporale breve. E soprattutto sempre soggetta a revisioni, laddove il succitato quadro evolutivo della pandemia differisca da quello del momento della pubblicazione e anche dalle possibili previsioni.
In data 10 maggio, con aggiornamento al 12, l’Istituto nazionale per l’Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) in collaborazione con l’Istituto superiore di Sanità (Iss) ha pubblicato due testi fondamentali per la “fase 2” nei settori della ristorazione e della balneazione.
Distanziamento sociale, una premessa
Al primo apparire dell’infezione da SarsCoV2 è stato univocamente accertato che la facilità di diffusione di questo nuovo coronavirus avrebbe avuto il suo impatto più evidente (oltre che sulle vite umane in pericolo) sulle dinamiche sociali e per certi versi culturali di tutti i popoli.
Se a questo si aggiungono l’estremo agio con cui ci si sposta per tutto il globo, nonché l’altrettanto estrema semplicità del contagio che avviene tramite le vie respiratorie, risulta abbastanza chiaro che l’unica misura di prevenzione (quale che sia il livello pandemico, e quale la capacità di risposta delle strutture sanitarie) sia – adesso, e sarà per lunghissimo tempo – il distanziamento sociale.
O, in estrema analisi per chi non dovesse essere nelle condizioni di applicarlo, l’utilizzo di una mascherina individuale. Misura che, vale la pena ribadirlo, non dovrebbe comunque sostituire il distanziamento.
Tener presente questo aspetto cruciale è la base dalla quale partire per ripensare e immaginare le possibili soluzioni per tutte quelle attività il cui nucleo filosofico fondativo è proprio quello di tenere insieme e vicine le persone.
La ristorazione
Il consumo pubblico di cibo è una di quelle circostanze in cui si integrano meglio gli aspetti di necessità, desiderio e piacere (caratteristici delle società industriali). E su cui poggia in modo solido e costante buona parte della vocazione economica di molti Paesi.
Una di quelle circostanze, appunto, in cui la dimensione plurale è tipica del compimento dell’esercizio e ogni contravvenzione appare irrituale.
È lampante, quindi, che il divieto di assembramenti della “fase 1” pur diventando un suggerimento sempre valido per la “fase 2” rappresenti un nodo difficile da sciogliere per dette circostanze.
A seguito delle analisi dettagliate nel Documento tecnico su ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive del contagio da SARS-CoV-2 nel settore della ristorazione dell’Inail gli esercizi pubblici di questo comparto rappresentano un rischio integrato medio-basso e un rischio di aggregazione medio-alto.
Le ripercussioni del lockdown, si legge nel documento, hanno avuto importanti numeri di un inevitabile (ma non per questo non allarmante) calo del fatturato. Questo anche al netto di soluzioni mediante la consegna di cibo a domicilio (delivery), che ha riguardato solo il 14,5 per cento degli esercenti, nel tentativo di reinventarsi il lavoro, magari avvalendosi per il trasporto dei dipendenti in forza.
Va da sé, quindi, che le misure organizzative per la ristorazione hanno come scopo precipuo la prevenzione e la protezione, e cercano di favorire tutte le soluzioni alternative (delivery, possibilità di usufruire spazi all’aperto, ecc.).
A patto di rispettare le linee guida per il rallentamento del contagio dell’Organizzazione mondiale della Sanità, al solo fine di preservare la salute sia dei lavoratori sia dei clienti.
Le attività ricreative di balneazione e nelle spiagge
Per il settore della balneazione valgono le premesse fatte in precedenza. Anche se il documento dell’Inail si limita all’analisi della situazione attuale e alla valutazione di eventuali misure di contenimento.
L’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di acque di balneazione, circa un quarto del totale di quelle europee (5.539 su 22.131 totali), di cui 4.871 marine e 668 interne. E è anchel’unico Paese europeo che non pone un limite alle spiagge in concessione, lasciando alle Regioni queste scelte.
Nelle 15 regioni bagnate dal mare, 644 comuni (8,1 per cento del totale del Paese) si collocano lungo la fascia costiera, con una popolazione del 28,4 per cento di poco più di 60 milioni di abitanti.
Benché in alcune regioni costiere la concentrazione di stabilimenti balneari di alcuni comuni raggiunga percentuali prossime ai 100 punti (Forte dei Marmi, 90 per cento), e in alcune zone il continuum di stabilimenti assuma vaste proporzioni (in Versilia sono presenti 683 stabilimenti sul totale di 1.291 dell’intera regione), sono le aree ad alta urbanizzazione costiera a rappresentare un punto di maggiore attenzione ai fini della prevenzione del rischio di aggregazione.
E le spiagge libere?
Da non sottovalutare, infine, l’aspetto delle cosiddette spiagge libere, presenti in una percentuale di poco inferiore ai 50 punti.
In virtù della specifica caratteristica di queste spiagge, della loro localizzazione e dei flussi non gestiti dei frequentatori, le misure di contenimento riportano necessariamente in vigore il divieto di assembramento, che non deve essere più un suggerimento.
Sono comunque al vaglio ipotesi di affidamento in gestione di questi spazi (a enti o ad associazioni di volontariato, ecc.). Con il fine di informare gli utenti sui comportamenti da seguire, nonché di assicurare le misure di distanziamento interpersonale in tutte le attività sull’arenile e in acqua.
L’analisi ragionata del rischio in tale settore, che ha portato alla pubblicazione del documento, rappresenta quindi un presupposto fondamentale per garantire la ripresa delle attività. Attività che presentano per loro stessa natura particolari criticità in merito al contenimento dell’epidemia. Collocando il comparto relativo tra quelli a rischio di aggregazione medio-alto.
Affrettarsi con lentezza
Come si diceva in apertura, la base dalla quale ripartire per poter mantenere un alto grado di prevenzione del (e protezione dal) contagio parte dal distanziamento sociale. Ritenuta al momento l’unica soluzione in grado di farne abbassare l’infectivity rate.
Purtroppo è un sistema con molti limiti, che soprattutto produce un rallentamento, quando non un’interruzione seppur temporanea, di molte attività.
Per questo motivo è necessario che qualsiasi pianificazione istituzionale che acceleri le iniziative per far ripartire comparti e settori, che maggiormente sono esposti a rischi anche economici, proceda con prudenza e preveda una stretta osservanza delle linee guida e delle misure di contenimento della diffusione del contagio.
È necessaria, inoltre, anche una precisa e inequivocabile campagna di comunicazione e sensibilizzazione da parte delle istituzioni. E che non solo faccia appello al senso civico ma favorisca anche comportamenti consapevoli, garantendo un alto grado di tutela e intervento.
                                    
