Modelli e strategie

L’economia circolare rallenta, nonostante sia diventata mainstream

Nonostante l’economia circolare abbia raggiunto lo status di «megatrend», i discorsi e gli obiettivi nobili non si stanno ancora traducendo in azioni sul campo e impatti misurabili
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L’economia circolare rallenta, nonostante sia diventata mainstream

Non si fa che parlare di economia circolare, di transizione ecologica, di futuro green. Il problema è che lo si fa (lo si continua a fare, soltanto) a “livello strategico”: parole, parole, parole. Mai niente di significativamente operativo. E se l’anno scorso la Corte dei Conti europea lamentava il lento incedere della transizione, oggi la “Circle economy foundation” parla addirittura di declino dell’economia circolare.

I «ma» e il «nonostante»
I dati e le raccomandazioni
Il declino diseguale dell’economia circolare
Cambiare le regole del gioco
Combattere il declino dell’economia circolare, come: insieme (basterà?)

I «ma» e il «nonostante»

Nonostante l’azione dell’UE, la transizione negli Stati Membri procede lentamente.
Si tratta della sintesi definitiva della relazione speciale della Corte dei conti europea, che nell’estate scorsa ha pubblicato il lungo report dell’audit (relativo al periodo 2014-2022) volto a valutare se i piani d’azione della Commissione per l’economia circolare, e in particolare le azioni relative alla progettazione circolare dei prodotti e dei processi produttivi, siano stati (finora?) efficaci nell’influenzare le attività di economia circolare negli Stati membri.

In particolare, gli auditor della Corte hanno verificato se:

  • le attività di economia circolare siano aumentate negli Stati membri a partire dal 2015;
  • le misure abilitanti del CEAP 1 (il Piano d’azione della Commissione europea per l’economia circolare, COM (2015) 614) sulla progettazione circolare siano state efficaci nel promuovere la transizione verso l’economia circolare negli Stati membri e se
  • la Commissione abbia mobilitato efficacemente i fondi UE per favorire il conseguimento degli obiettivi CEAP, in particolare quelli relativi alla progettazione e alla produzione.

Dopo aver ricordato i vantaggi dell’economia circolare rispetto a quella dell’usa e getta (economia lineare) e della progettazione circolare, ed aver ripercorso i passi più significativi effettuati della Commissione UE per un utilizzo più efficiente delle risorse, la Corte dei conti europea ha tratto le sue conclusioni sull’indagine volta a valutare se l’azione della Commissione sia stata efficace nell’influenzare le attività di economia circolare negli Stati membri.

Un’economia circolare, invece, preserva quanto più a lungo possibile il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse e riduce al minimo i rifiuti. Per i cittadini, ciò si traduce in prodotti che durano più a lungo e/o sono più facili da riparare, aggiornare, rifabbricare, riutilizzare o riciclare. A livello di imprese, tale approccio garantisce una maggiore efficienza delle risorse.
La progettazione di un prodotto determina circa l’80 % del relativo impatto ambientale. Al fine di ridurre al minimo detto impatto ambientale, i prodotti e i processi produttivi devono essere riprogettati in base ai principi di economia circolare, in linea con la priorità dell’UE di prevenire la produzione dei rifiuti.

La Corte si è concentrata “sulle azioni relative alla progettazione e alla produzione intraprese dalla Commissione a partire dal primo piano d’azione del 2015. […] Ha esaminato il ritmo con cui gli Stati membri hanno attuato la transizione verso l’economia circolare, l’efficacia delle misure abilitanti della Commissione volte a sostenere tale transizione e la mobilitazione dei fondi UE da molteplici fonti a favore dell’economia circolare”.

I risultati dell’analisi sono impietosi: “Vi sono scarsi elementi probatori che confermino che i piani d’azione per l’economia circolare, e in particolare le azioni relative alla progettazione circolare dei prodotti e dei processi produttivi, abbiano influito sulle attività di economia circolare negli Stati membri”.

Per carità: si registrano aspetti positivi, come il fatto che, dalla pubblicazione del primo piano d’azione, “vi è stato un incremento delle attività di economia circolare da parte dei governi degli Stati membri”, ma…

Ma i progressi appaiono tuttavia ancora troppo lenti.
Ma mancano specifici indicatori relativi alla progettazione circolare dei prodotti, che rendono difficile il monitoraggio.
Ma non si fa ancora un “uso accorto degli investimenti UE, attribuendo la priorità alla prevenzione dei rifiuti”.
Ma non è ancora (!) possibile individuare l’obsolescenza programmata, la pratica di limitare artificiosamente la vita utile di un prodotto fin dalla fase di progettazione, in modo che diventi obsoleto dopo un periodo di tempo prestabilito (la sostituzione di tali prodotti comporta il consumo di ulteriori risorse, energia ecc.).
Ma, nonostante la disponibilità dei fondi UE e il sostegno complessivo all’economia circolare, “la Commissione e gli Stati membri non hanno utilizzato i finanziamenti in maniera mirata ed efficace per investimenti nella progettazione circolare dei prodotti e dei processi produttivi”, ma soltanto per la gestione dei rifiuti, il cui contributo alla riduzione dell’impatto ambientale è meno efficace.

I dati e le raccomandazioni

Dalla pubblicazione del primo CEAP, nel 2015, è stato osservato – conclude la Corte – “un incremento delle attività di economia circolare intraprese dalle amministrazioni degli Stati membri. Al momento dell’audit, quasi tutti gli Stati membri dell’UE avevano elaborato o stavano elaborando una strategia nazionale di economia circolare che faceva riferimento al CEAP e alle politiche UE correlate e includeva in una certa qual misura la progettazione circolare”.

Tuttavia, e nonostante la legislazione europea tesa a incentivare i finanziamenti UE per l’economia circolare, il tasso di circolarità è aumentato soltanto di 0,4 punti percentuali tra il 2015 e il 2021: un po’ pochino, per usare un eufemismo. E per di più, con grandi diseguaglianze fra Stato e Stato.

Per questo (e per tanto altro) la Corte dei conti europea raccomanda di:

  • migliorare entro il 2024 il monitoraggio della transizione degli Stati membri verso l’economia circolare (tradotto in termini operativi questo significa che la Commissione dovrebbe analizzare come tener meglio conto degli aspetti fondamentali dell’economia circolare, in particolare, la progettazione circolare dei prodotti, per migliorare il monitoraggio dei progressi realizzati dagli Stati membri nella transizione verso un’economia circolare e agevolare l’adozione di decisioni informate relative alle nuove politiche, iniziative e azioni);
  • analizzare i motivi per cui i finanziamenti UE per la progettazione circolare sono stati scarsamente utilizzati, e valutare come incentivarla ulteriormente.

Il declino diseguale dell’economia circolare

A sei mesi di distanza, la situazione non sembra migliorata.
Anzi.

Il “Circularity GAP report 2024 – A circular economy to live within the safe limits of the planet”, pubblicato dalla “Circle economy foundation”, ha messo fin dalle prime parole le cose in chiaro: “Nonostante l’economia circolare sia diventata mainstream, la circolarità globale è ancora in declino”.

Declino.
Non: crescita (troppo) lenta.
No: declino.

Negli ultimi cinque anni, infatti, “il volume di discussioni, dibattiti e articoli che affrontano questo argomento è quasi triplicato, riflettendo una maggiore consapevolezza e interesse per la circolarità”, ma…
Ma:

  • la stragrande maggioranza dei materiali estratti che entrano nell’economia sono vergini”, con la quota di materiali secondari in costante calo da quando il Circularity Gap Report ha iniziato a misurarla: dal 9,1% nel 2018 al 7,2% solo cinque anni dopo, nel 2023;
  • il consumo di materiali da parte dell’economia globale, nel frattempo, continua ad aumentare.
Solo negli ultimi sei anni abbiamo consumato oltre mezzo trilione di tonnellate di materiali, quasi quanto nell’intero XX secolo.

Freddi numeri, queste statistiche mostrano la fredda e dura verità: “Nonostante l’economia circolare abbia raggiunto lo status di «megatrend», i discorsi e gli obiettivi nobili non si stanno ancora traducendo in azioni sul campo e impatti misurabili”.

Il report Circularity Gap 2024, come quelli che lo hanno preceduto, fornisce analisi e teorie cruciali sullo stato globale della circolarità dal 2019, ed evidenzia (!) che è venuto il momento di passare dalle parole ai fatti, tramite un “approccio di pensiero sistemico nelle applicazioni della vita reale dell’economia circolare, sia perché il cambiamento sistemico deve soddisfare i bisogni delle persone sia perché le persone e le loro competenze sono necessarie per implementare le soluzioni stesse”.

Non si può spingere solo, e sempre, sull’acceleratore, perché abbiamo ormai raggiunto un punto unico nella storia: quello nel quale la continua accelerazione – nei paesi ad alto reddito – non garantisce più aumenti del benessere umano.

Non si può pretendere lo stesso sforzo da tutti i Paesi, nello stesso tempo e con la stessa velocità: “La distribuzione ineguale della ricchezza e dei materiali destabilizza enormemente la società e mette a dura prova i sistemi di supporto vitale della Terra”.

Per questo:

  • le nazioni più ricche del mondo non possono più usare il progresso come scusa per un consumo materiale senza restrizioni”;
  • l’economia globale deve adottare principi circolari per promuovere lo sviluppo e la resilienza e salvaguardare il benessere delle persone in questo momento di incertezza e transizione”;
  • i governi e l’industria devono liberarsi da modelli di sviluppo imperfetti che continuano ad alimentare industrie e pratiche note per essere sfruttatrici a livello sociale e ambientale”.

Cambiare le regole del gioco

A tale scopo, i governi e il settore industriale possono “sbloccare capitali, attuare politiche coraggiose e adeguate al contesto, e colmare il divario di competenze sostenibili e circolari”. Ognuno con le proprie forze, le proprie capacità, il proprio ritmo e la propria velocità, anche in base al relativo punto di partenza.

La novità presente nel report 2024 è rappresentata dal fatto che i redattori sono passati “dall’esplorazione del cosa al come”: dal dire al (dire) come fare.
Cambiando, sostanzialmente, le regole del gioco, per creare una serie di condizioni che scoraggino il perpetrarsi dei comportamenti che ci hanno condotto fin a qui.

Obiettivo: creare un “sistema a prova di futuro, consapevole del ruolo di ciascun componente, della necessità di una collaborazione costruttiva, dell’imprescindibilità di individuare “soluzioni circolari trasformative” dei tre sistemi chiave.

  1. Il primo è quello alimentare, grande fonte di inquinamento, sprechi e perdita di biodiversità.
  2. Il secondo è quello relativo al consumo di suolo: l’ambiente edificato, essenziale per la nostra sussistenza, è tuttavia fuori controllo (l’estrazione dei minerali utilizzati per produrre materiali da costruzione è responsabile di un quarto del cambiamento globale dell’uso del suolo; circa il 40% delle emissioni globali di gas serra può essere attribuito alla costruzione, all’uso e alla demolizione degli edifici; i processi di costruzione e demolizione rappresentano quasi un terzo di tutto il consumo di materiali).
  3. L’ultimo – la manifattura – si basa ancora prevalentemente sui combustibili fossili, sono energivori, induce la produzione di notevoli quantità di rifiuti industriali pericolosi e disperde sostanze chimiche nell’ambiente.

Cambiare le regole del gioco significa, in estrema sintesi:

  • creare condizioni politiche di parità (“stabilire le «regole del gioco» attraverso politiche e quadri giuridici che incentivano le pratiche sostenibili e circolari penalizzando quelle dannose, modellando così la natura e la portata delle attività economiche tra settori e nazioni”);
  • gestire l’economia nel modo giusto (in altri termini: adeguare le politiche fiscali e sfruttare gli investimenti pubblici per creare prezzi reali e garantire che le soluzioni circolari diventino strumenti più preziosi e inizino a sostituire le norme lineari);
  • costruire competenze e competenze circolari, ovvero “garantire che le persone siano qualificate e formate per garantire una transizione giusta in cui opportunità e mezzi di sussistenza dignitosi siano equamente distribuiti tra e all’interno delle società”.

Combattere il declino dell’economia circolare, come: insieme (basterà?)

Nessun attore può stimolare il cambiamento da solo.
Sono quattro le tipologie di “consigli” che il report dà ai diversi attori.

  1. Primo: spostare (più in là? Ma come: temporalmente, e quindi procrastinando, o “oltre”, e quindi alzando l’asticella?) gli obiettivi: “indicatori olistici” per superare il semplice concetto di PIL e gli altri parametri economici tradizionali per incorporare indicatori che misurano ciò che conta per le persone.
  2. Secondo: lavorare insieme per riformare l’architettura finanziaria e commerciale internazionale in modo da garantire che tutte le nazioni abbiano i mezzi per investire nello sviluppo sostenibile; aumentare la possibilità di un accesso equo alle innovazioni tecnologiche circolari a prezzi accessibili; avviare misure per la cancellazione e l’alleggerimento del debito (la cancellazione e la riduzione del debito per i paesi “Build and Grow” sono essenziali perché consente loro di investire nella transizione all’economia circolare).
  3. Terzo: ridisegnare il sistema finanziario, riprogettando la tassazione, smantellando gli incentivi dannosi e introducendo “nuovi meccanismi per integrare e rafforzare una migliore fissazione dei prezzi, con l’obiettivo finale di limitare l’inflazione e promuovere il sostegno sociale”.
  4. Ultimo, ma non meno importante: garantire che la transizione verso l’economia circolare sia incentrata sulle persone.

Lavorare per una transizione giusta significa, innanzitutto, non lasciare indietro nessuno.

Tutto molto bello, ma difficile: ma quanto non avvenuto nella COP28, così come in quelle che l’hanno preceduta, non è di buon auspicio…
Nonostante i buoni propositi, le belle parole, l’impegno di tanti.
Nonostante tutto.

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