Modelli e strategie

Capire il clima che cambia, fra impatti e disuguaglianze

Dalla distinzione fra meteo e clima alle previsioni del WMO: come leggere i dati e trasformarli in politiche di equità climatica
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Capire il clima che cambia, fra impatti e disuguaglianze

Il cambiamento climatico non è solo una questione di dati scientifici: è un processo che trasforma società ed economie, accentuando fragilità e creando nuove disuguaglianze. Le analisi del WMO mostrano temperature record, anomalie regionali e impatti sempre più gravi, che colpiscono in modo sproporzionato i Paesi privi di strumenti di adattamento. Con un ulteriore problema: comprendere e assimilare la differenza tra meteo e clima, per poi spostare l’attenzione sulle disuguaglianze che ne scaturiscono.

Per affrontare questa sfida, riduzione delle emissioni ed equità climatica devono procedere insieme, guidate da conoscenza solida e politiche lungimiranti.

Distinguere la differenza tra meteo e clima: la chiave per leggere il cambiamento globale

Da qualche tempo siamo costretti a convivere con le improvvise ondate di calore, e nostro malgrado sappiamo che i fenomeni atmosferici sempre più spesso degenerano e possono diventare molto pericolosi.

Tuttavia, immersi nell’«eterno presente» e sommersi dalle informazioni (e controinformazioni artefatte) che ci arrivano ogni minuto da ogni dove, facciamo molta fatica a cogliere il senso e la portata del cambiamento climatico su scala globale. Una difficoltà che nasce anche dalla scarsa consapevolezza della distinzione fra meteo e clima, che ci porta a confondere spesso l’evento meteorologico contingente con la tendenza climatica di lungo periodo nonostante la profonda differenza che intercorre tra i due.

Meteo e clima non sono la stessa cosa: la differenza in breve

Il meteo descrive le condizioni dell’atmosfera in un luogo e in un momento preciso: pioggia, sole, vento, temperature di oggi o dei prossimi giorni. Il clima, invece, riguarda l’andamento di lungo periodo, ricavato dalle medie e dalle variazioni osservate su decenni: quanti giorni di pioggia cadono in un anno, quanto si alzano in media le temperature, come cambiano le stagioni. In altre parole, il meteo è ciò che viviamo giorno per giorno, il clima è lo sfondo su cui si muovono questi eventi quotidiani. Possiamo avere una giornata fredda in un anno molto caldo: il singolo episodio appartiene al meteo, la tendenza di lungo periodo al clima.
L’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), organismo scientifico creato nel 1988 dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM) e dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), definisce il cambiamento climatico come una variazione dello stato del clima che persiste per un periodo prolungato, tipicamente decenni o più. Il superamento dei livelli di riscaldamento di 1,5 °C e 2,0 °C menzionati nell’Accordo di Parigi deve quindi essere inteso allo stesso modo, cioè come un superamento prolungato nel tempo, sebbene l’Accordo stesso non fornisca una definizione specifica.

Il clima ha un’altra logica: ciò che decidiamo oggi diventa visibile solo domani, e i suoi effetti si moltiplicano col tempo, tanto più velocemente quanto più restiamo inerti.

Le conseguenze del cambiamento climatico che viviamo nel nostro “qui e ora”, infatti, spesso derivano da fenomeni che hanno avuto origine tempo prima in aree lontane, variano enormemente a seconda che un evento estremo si abbatta su Paesi resilienti o fragili, e finiscono per condizionare i conflitti geopolitici legati alla lotta per le risorse e ai grandi movimenti migratori.

Le nuove previsioni del WMO: un quinquennio di temperature record e anomalie regionali

Le analisi del WMO (World Meteorological Organization) confermano che nel futuro prossimo il riscaldamento globale resterà vicino ai massimi storici, mentre la riduzione del ghiaccio marino artico, le anomalie nelle precipitazioni e l’intensificazione delle ondate di calore cambieranno in modo sempre più evidente le condizioni di vita in diverse regioni del mondo.

Il report “WMO Global Annual to Decadal Climate Update 2025-2029” fornisce una sintesi delle previsioni climatiche globali annuali e decennali prodotte dai Centri Globali di Produzione designati dal WMO e da altri centri di ricerca e monitoraggio.

L’edizione 2025–2029 segnala che la temperatura media globale resterà su valori record (tra +1,2 e +1,9 °C sopra i livelli preindustriali per ogni anno del quinquennio), e sottolinea che c’è un’alta probabilità che almeno un anno superi la soglia di +1,5 °C e che l’intero quinquennio risulti mediamente oltre tale valore, con l’80% di possibilità che si registri un anno più caldo del 2024, attualmente l’anno record.

Pur restando il riscaldamento di lungo periodo sotto la soglia di +1,5 °C, i superamenti temporanei saranno sempre più frequenti.
Le proiezioni regionali mostrano un’anomalia artica fortissima: nei prossimi cinque inverni le temperature saranno in media di +2,4 °C rispetto al trentennio 1991–2020.

Si prevede, inoltre, una nuova riduzione del ghiaccio marino e forti squilibri nelle precipitazioni: più piogge nel Sahel, nell’Europa settentrionale, in Alaska e in Siberia, mentre ci saranno condizioni più secche in Amazzonia.
In Asia meridionale continuerà la tendenza a stagioni monsoniche più umide, pur con oscillazioni da un anno all’altro.

La disuguaglianza climatica…

Le analisi del WMO non si limitano a registrare valori e tendenze, ma cercano anche di tradurre le previsioni in impatti concreti sugli ecosistemi e sulle società.
Ogni ulteriore frazione di grado di riscaldamento significa ondate di calore più intense, piogge estreme o siccità più gravi, con conseguenze a catena su ghiacci, oceani e livello del mare.
Questi effetti non si distribuiscono in modo uniforme: colpiscono con forza diversa a seconda delle caratteristiche delle regioni e delle società interessate.

Si chiama disuguaglianza climatica, quella condizione in cui lo stesso evento produce conseguenze molto diverse a seconda della capacità di risposta. I Paesi più fragili, privi di sistemi di allerta, infrastrutture resilienti e risorse economiche adeguate, subiscono i danni maggiori e faticano a riprendersi.

…e le sue conseguenze

Le conseguenze si sono viste con chiarezza già nel 2024, anno che ha segnato il nuovo record di temperatura media globale (+1,55 °C rispetto ai livelli preindustriali).

Gli eventi meteorologici estremi hanno colpito in tutto il mondo, ma con effetti radicalmente diversi a seconda del contesto.
Nelle società più fragili, prive di adeguati sistemi di allerta e di reti sanitarie efficienti, i danni sono stati devastanti: case distrutte, infrastrutture compromesse, risorse idriche e alimentari annientate. Le condizioni di vita, già precarie, sono peggiorate rapidamente, provocando massicci spostamenti di popolazioni.

Gli sfollamenti registrati nel 2024 sono stati i più numerosi dal 2008, con milioni di persone costrette a lasciare le proprie abitazioni.
La concomitanza di conflitti armati, siccità diffuse e prezzi alimentari in crescita ha aggravato le crisi alimentari in almeno 18 Paesi, con un aumento drammatico delle persone in grave insicurezza alimentare rispetto all’anno precedente. In particolare, in Africa australe le siccità legate a El Niño hanno compromesso la produzione di cereali, riducendo la resilienza economica e sociale delle comunità locali.

Meteo e clima, oltre la differenza: gli effetti sociali

Questi squilibri mostrano come il cambiamento climatico non sia mai un fenomeno neutro: amplifica vulnerabilità preesistenti e crea nuove linee di frattura sociale e geopolitica.
Per questo, accanto alle politiche di riduzione delle emissioni e di transizione ecologica, diventa indispensabile adottare misure di equità climatica, orientando risorse e strumenti di adattamento verso i Paesi e le popolazioni più esposte.

El Niño è forse il fenomeno climatico naturale più noto: si manifesta quando le acque superficiali del Pacifico centrale e orientale si riscaldano in modo anomalo e persistente, con conseguenze che vanno ben oltre l’area oceanica in cui nasce. L’indebolimento dei venti alisei e la modifica dei modelli di circolazione atmosferica determinano impatti globali: siccità in Australia, Indonesia e parte del sud-est asiatico, piogge intense e inondazioni lungo la costa occidentale del Sud America e negli Stati Uniti meridionali.

El Niño non è però un episodio isolato, bensì una delle due fasi dell’ENSO (El Niño–Southern Oscillation), un’oscillazione climatica naturale che rappresenta una delle principali sorgenti di variabilità del clima su scala globale.

L’altra fase è la La Niña, che si presenta quando le acque del Pacifico centrale e orientale si raffreddano più del normale. In questo caso i venti alisei si intensificano, la circolazione atmosferica si rafforza e gli effetti tendono a essere opposti a quelli di El Niño: precipitazioni più abbondanti in Australia, Indonesia e Filippine, siccità in Sud America occidentale e nel Corno d’Africa.
Entrambe le fasi di ENSO hanno un’influenza che si estende ben oltre il Pacifico, propagandosi attraverso “teleconnessioni” atmosferiche fino a regioni lontane come l’Africa orientale e il Sahel, l’India, il Mediterraneo e il Nord America.

Equità climatica: la sfida decisiva

Il cambiamento climatico, dunque, non è soltanto una questione di numeri, grafici e anomalie statistiche: è un fattore che ridisegna equilibri economici, sociali e geopolitici.
La sfida dell’equità climatica non consiste solo nel ridurre le emissioni, ma nel garantire che strumenti di adattamento, tecnologie e risorse finanziarie siano accessibili anche ai Paesi e alle comunità più vulnerabili. Senza questo riequilibrio, il divario tra chi dispone di mezzi per difendersi e chi ne è privo rischia di ampliarsi in modo irreversibile.

Ecco perché nell’ambito della COP 29 svoltasi a Dubai, e della prossima COP 30 in programma in Brasile dal 10 al 21 novembre 2025, le misure di equità climatica – cioè il sostegno concreto ai Paesi fragili nella lotta al cambiamento climatico – devono essere considerate cruciali tanto quanto le strategie per la transizione verso un’economia circolare. Solo un modello che tenga insieme riduzione delle emissioni, mitigazione degli impatti e giustizia sociale può dare risposte efficaci.

Ma per funzionare questo modello ha bisogno di basi solide: il monitoraggio costante del clima e la produzione di informazioni affidabili sono strumenti essenziali per guidare le decisioni politiche, valutare i progressi e correggere le rotte.
In questo senso, il WMO e gli organismi scientifici internazionali svolgono un ruolo insostituibile: senza conoscenza non può esserci né equità né resilienza.

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