Il costo economico del climate change è noto, ma fingiamo di non vederlo
Dalla “mappa strutturale” di Going NUTS alla stima in tempo reale di Dry-roasted NUTS, l’econometria climatica europea mostra con precisione quanto il cambiamento climatico costi in termini di PIL, produttività e investimenti. Eppure, mentre la scienza misura e la BCE quantifica, la politica continua a rinviare.
Come nel film Don’t Look Up – dove un’intera società nega l’arrivo di una cometa in grado di distruggere il mondo – anche noi ignoriamo l’evidenza dei dati: il disastro è già qui, solo che preferiamo non guardarlo.
L’impatto regionale degli eventi climatici estremi nel medio termine e l’impazzimento generale…
È il (sotto)titolo di un recente report della BCE – di natura strutturale e retrospettiva – che getta le basi della nuova econometria climatica europea, con l’obiettivo di modellizzare il legame di fondo tra clima ed economia. Capire come siccità, alluvioni e ondate di calore incidano nel tempo sulla produttività, sugli investimenti e sul valore aggiunto delle regioni europee.
| In senso stretto, econometria è la branca dell’economia che usa strumenti statistici e modelli quantitativi per stimare relazioni causali tra variabili economiche (ad esempio tra reddito e consumi, o tra tassi d’interesse e investimenti). Quando questa metodologia viene applicata a dati climatici e ambientali, si parla — in modo ormai diffuso nella letteratura — di climate econometrics. Il suo obiettivo è misurare gli effetti economici del cambiamento climatico utilizzando approcci tipici dell’econometria: regressioni panel con effetti fissi per regioni o paesi; analisi di causalità e cointegrazione; modelli di impatto dinamico; stima di elasticità o “funzioni di risposta” tra variabili climatiche (temperatura, precipitazioni, siccità) e variabili economiche (PIL, produttività, occupazione, investimenti). |
Ma è il titolo ad essere indicativo, perché quel “Going NUTS” – che tecnicamente significa “andare a livello NUTS” (Nomenclature of Territorial Units for Statistics) – nello slang inglese significa impazzire, dare di matto…
Ed è in effetti quello che è accaduto – suo malgrado – al clima, negli ultimi anni…
Costi del cambiamento climatico: il sistema NUTS
| Il sistema NUTS (Nomenclature of Territorial Units for Statistics) è la classificazione europea delle regioni, ideata da Eurostat per raccogliere e confrontare dati socio-economici tra Paesi dell’UE. In vigore dal 2003, serve per analizzare fenomeni territoriali, attuare politiche di coesione e distribuire i fondi strutturali europei in base al livello di sviluppo delle regioni. Le unità NUTS non coincidono sempre con i confini amministrativi: sono definite secondo criteri demografici, economici e statistici per garantire omogeneità e confrontabilità dei dati. |
| Livello, Nome, Esempio (Italia), Popolazione media NUTS 1, Macroregioni, Italia Nord-occidentale, 3 –7 milioni NUTS 2, Regioni, Lombardia, 800 000 – 3 milioni NUTS 3, Province / aree locali, Milano, Bergamo, Brescia, 150.000 –800.000 |
Lo studio costruisce un modello causale che quantifica, in termini percentuali, la perdita media di attività economica a uno, tre e cinque anni di distanza da ciascun evento estremo. È dunque una ricerca “strutturale”, perché definisce le relazioni stabili tra le variabili, e “retrospettiva” perché le ricava osservando i dati del passato.
Gli effetti del cambiamento climatico e dei suoi costi
I risultati mostrano che gli effetti dei disastri naturali non si esauriscono nel momento dell’impatto, ma si accumulano e si amplificano nel medio periodo, con le siccità che risultano le più dannose in assoluto. Le regioni più povere o meno assicurate sono anche quelle più lente a recuperare, mentre le strategie di adattamento – pur attenuando i danni – generano costi aggiuntivi e riduzioni di produttività.
In sintesi, Going NUTS offre la mappa strutturale della vulnerabilità economica europea, traducendo la variabilità climatica in numeri, coefficienti e funzioni di risposta.
Ma, al di là dei modelli, il titolo rivela la verità più profonda: a “dare di matto” non è solo il clima – spinto oltre soglia dalle nostre emissioni e dalle nostre abitudini – ma anche l’uomo, che cerca disperatamente di misurare e correggere uno squilibrio di cui è causa prima e vittima finale.
Le (regioni) noccioline tostate
Se Going NUTS costruiva la mappa strutturale della vulnerabilità climatica ed economica europea, Dry-roasted NUTS ne è la prima applicazione pratica: un esercizio di “realtà aumentata” della ricerca economica, che traduce le relazioni teoriche in stime concrete, quasi in tempo reale.
Il report – firmato da Sehrish Usman, che aveva contribuito a curare anche il primo documento – aggiorna i dati del modello BCE con gli eventi estremi dell’estate 2025: ondate di calore, siccità e alluvioni, che hanno colpito, rispettivamente, 96, 195 e 53 regioni europee.
Il titolo, altrettanto ironico e amaro, spinge il gioco di parole un passo oltre: Dry-roasted NUTS significa “noccioline tostate a secco”, ma allude, questa volta senza troppi giri di parole, alle regioni europee “bruciate” dal caldo estremo. Fuor di metafora, quelle unità territoriali – le stesse NUTS del modello precedente – non sono più ora soltanto oggetti di analisi, ma territori reali sottoposti a stress fisico ed economico.
Le perdite – si sottolinea – non si esauriscono nell’anno dell’evento, ma si accumulano nel tempo ed investono molti settori diversi, come i sistemi sanitari, quelli alimentari e più in generale le supply chain. Il documento classifica gli impatti economici dei disastri naturali in otto categorie, e definisce gli eventi estremi come ondate di calore, siccità e alluvioni.
| Le otto diverse tipologie di costi degli eventi estremi Costi diretti (es. distruzione fisica di infrastrutture); Costi indiretti (es. effetti a catena sulle supply chain o catene del valore); Costi umani (mortalità, effetti sulla salute, educazione); Perdita di servizi ecosistemici (es. ridotta fertilità del suolo, inquinamento); Costi fiscali (riduzione entrate, aumento spesa pubblica); Inflazione (soprattutto alimentare); Costi di adattamento (es. investimenti per resilienza climatica); Spillover su altre regioni e paesi (es. via commercio), |
Le ricerche di tipo climate nowcasting: una foto in tempo reale del cambiamento climatico
La ricerca è innovativa perché è un esempio di “climate nowcasting” economico: un tentativo di collegare i dati climatici reali con la stima degli impatti economici regionali, offrendo una fotografia anticipata delle ferite che il cambiamento climatico sta già infliggendo all’economia europea — prima ancora che le statistiche ufficiali lo confermino.
| Nowcasting – neologismo che nasce dalla fusione di now (ora) e forecasting (previsione) – è stato introdotto negli anni ’70 dai servizi meteorologici per indicare previsioni a brevissimo termine (tipicamente da 0 a 6 ore) basate su osservazioni in tempo reale (radar, satelliti, stazioni meteo). Negli anni 2000, il termine è stato adottato anche in economia per stimare indicatori macroeconomici in tempo quasi reale (PIL, inflazione, occupazione) prima che i dati ufficiali siano pubblicati. Il climate nowcasting economico è lo strumento per misurare in tempo quasi reale gli effetti economici degli eventi climatici estremi: integra indicatori meteorologici (temperature, siccità, precipitazioni) con variabili economiche (PIL, produttività, occupazione, valore aggiunto), aggiornandoli costantemente per stimare le perdite ancora mentre l’evento è in corso o appena terminato. |
La finalità del lavoro è stimare in tempo quasi reale gli impatti economici regionali delle ondate di calore, siccità e alluvioni verificatesi in Europa nell’estate 2025, utilizzando i dati climatici recenti e i modelli stimati nello studio “Going NUTS”.
I costi del cambiamento climatico? Siamo fritti
In definitiva:
- “Going NUTS” dice cosa aspettarsi da un evento climatico estremo, nel medio termine, regione per regione, e quali sono i meccanismi economici in gioco (produttività, migrazioni, capitale, lavoro), ovvero che il sistema sta impazzendo,
- mentre “Dry-roasted NUTS” mostra cosa sta accadendo davvero in base agli eventi già verificatisi nel 2025 e fornisce stime di danno monetario concreto.
Accade che stiamo arrostendo o, per dirla all’italiana, che siamo fritti.
La conferma arriva da Bruxelles, dove – mentre gli studi economici mostrano con numeri sempre più precisi quanto costi il cambiamento e soprattutto l’inazione in ambito climatico – la politica sembra andare in direzione opposta.
Il Green Deal europeo, nato per fare dell’Europa il primo continente climaticamente neutrale entro il 2050, infatti, viene progressivamente smontato pezzo per pezzo: obblighi di rendicontazione ridotti, controlli ambientali rinviati, regole sulle emissioni ammorbidite.
Con la scusa della semplificazione, si allenta la transizione proprio mentre gli impatti economici del clima estremo si moltiplicano.
Così, mentre i modelli accademici misurano con rigore quanto stiamo perdendo, le istituzioni sembrano dimenticare che ogni deroga, ogni rinvio, ogni compromesso politico non è una soluzione, ma un moltiplicatore di rischio.
Perché il punto, ormai, non è più se il clima stia impazzendo, ma quanto a lungo potremo permetterci di restare lucidi noi, continuando a discutere di competitività mentre il Pianeta continua a friggere…
