Dall’informativa alla divulgazione: come sta cambiando il mondo della comunicazione ambientale
Modelli e strategie
Dall’informativa alla divulgazione: come sta cambiando il mondo della comunicazione ambientale
Analisi dell'impostazione comune ai diversi standards ambientali presi in considerazione per misurare il rating della sostenibilità all'interno delle aziende.
Il rating delle sostenibilità: come misurare il futuro delle aziende
Nell’immaginario comune per molto, troppo tempo la sostenibilità è stata vista come un bene immateriale, un principio filosofico, in quanto tale impossibile da misurare.
Oggi le sostenibilità (sostenibilità, infatti, è un concetto che deve essere declinato al plurale: quindi si deve considerare, accanto a quella ambientale, la sostenibilità economica e sociale, innanzitutto, ma anche quella digitale, di governance, culturale, solo per fare qualche esempio) sono l’argomento chiave per immaginare un futuro migliore: ciò nonostante, è ancora diffusa, sia pure con dimensioni inferiori a quelle di soltanto qualche anno fa, la convinzione che la sostenibilità non possa essere quantificata.
Non è così: esistono strumenti e criteri precisi per poter misurare la sostenibilità (esiste una stretta correlazione fra le performance ambientali e sociali, da un lato, e quelle economico/finanziarie, dall’altro), ormai fattore imprescindibile per qualsiasi realtà che proponga prodotti o servizi.
Un valore.
Anzi, un insieme di valori.
I consumatori (e gli investitori) sono sempre più orientati verso prodotti e servizi sostenibili, esigono trasparenza nelle informazioni, sono sensibili ai comportamenti sostenibili delle aziende sui temi ambientali, sociali e di governance.
Gli strumenti per misurare le sostenibilità: da quelli classici…
Per misurare le sostenibilità occorre avere uno o più punti di riferimento, che utilizzino un linguaggio condiviso, riconosciuto e accreditato a livello internazionale, al fine di applicare dei parametri minimi differenziati per settore.
I principali sono gli SDGs e gli ESG, acronimo di Environmental, Social, Governance:
Gli SDGs si sono sviluppati a valle del programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU: l’Agenza 2030 per lo sviluppo sostenibile, che ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs, per l’appunto – in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi.
Parametri che vengono utilizzati in ambito economico/finanziario per indicare tutte quelle attività legate all’investimento responsabile (IR) che perseguono gli obiettivi tipici della gestione finanziaria tenendo in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance: gli ESG sono coerenti e connessi con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
…a quelli moderni
Accanto a questi strumenti, di recente l’UE ha introdotto nel sistema normativo comunitario un regolamento – “regolamento 2020/852 […] relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili”, conosciuto come la Taxonomy Regulation (TR) – che disciplina la tassonomia delle attività economiche eco-compatibili: una classificazione delle attività che possono essere considerate sostenibili in base all’allineamento agli obiettivi ambientali dell’Unione Europea e al rispetto di alcune clausole di carattere sociale.
Il Regolamento si colloca in un contesto più ampio di normative integrate volte – ognuna con le proprie peculiarità – a favorire lo sviluppo di una finanza sostenibile, in grado di contribuire all’implementazione delle sostenibilità.
I nuovi adempimenti rientrano nel processo definito “non-financial reporting”, che:
fornisce le c.d. ESG (Enviromental, Social, Governance), ovvero le informazioni ambientali, sociali e di governance che integrano gli elementi economici e finanziari contenuti nel bilancio d’esercizio, e
ha lo scopo di offrire a tutti gli stakeholders dell’impresa quelle informazioni che – come evidenzia anche il GRI (Global Reporting Initiative), il quale promuove l’uso del reporting di sostenibilità come strumento per consentire alle imprese e alle organizzazioni di diventare più sostenibili e contribuire alla sostenibilità dell’economia globale e che di recente ha pubblicato le “Linee guida per il reporting della sostenibilità” GRI – G4 – hanno lo scopo di assicurare la comprensione da parte degli stakeholders dell’attività d’impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa generato nei contesti ambientali, sociali, del personale, dei diritti umani e della lotta alla corruzione attiva e passiva, che vengono considerate rilevanti rispetto alle attività e alle caratteristiche specifiche dell’impresa.
SFRD
Il Regolamento:
richiede agli operatori e ai consulenti finanziari di comunicare come tengono in considerazione rischi e impatti ambientali, sociali e di governance (ESG) a livello di soggetto e a livello di prodotto;
– impone specifici requisiti di disclosure per i prodotti che promuovono caratteristiche ambientali o sociali e per i prodotti che hanno come obiettivo investimenti sostenibili;
richiede ai prodotti che investono in attività che hanno obiettivi ambientali di fornire informazioni sulla percentuale di allineamento degli investimenti alla tassonomia.
TR
Le imprese soggette alla Direttiva sulla rendicontazione non-finanziaria (NFRD e, successivamente, CSRD) devono pubblicare informazioni sull’allineamento delle attività alla tassonomia.
CSRD
Ampliamento del campo di applicazione della NFRD (tutte le imprese con sede in Europa con più di 250 dipendenti e tutte le PMI quotate sui mercati europei).
I dati dovranno essere riportati sulla base di standard comuni di reporting, che saranno sviluppati dall’EFRAG, European Financial Reporting Advisory Group, e adottati dalla Commissione UE con due atti delegati.
I tredici standards di sostenibilità: i principi generali
Poche settimane fa l’EFRAG, l’European Financial Reporting Advisory Group, ha aperto alla consultazione pubblica la bozza degli standard di sostenibilità (ESRS, EU Sustainability Reporting Standards).
Nella parte generale si stabiliscono i concetti e i principi obbligatori da applicare per la preparazione delle dichiarazioni di sostenibilità, quando si divulgano politiche, obiettivi, azioni e piani d’azione e risorse o si preparano/presentano informazioni sulla sostenibilità.
Per quanto concerne, nello specifico, la parte ambientale, i cinque standards presi in considerazione riguardano il climate change, l’inquinamento, l’acqua e le risorse marine, la biodiversità e gli ecosistemi, l’economia circolare.
Gli standards ambientali in pillole
Non è questa la sede per addentrarsi nell’analisi dettagliata delle 145 pagine dell’Exposure Draft sugli standards di sostenibilità ambientali, ma vale la pena soffermarsi su alcuni aspetti fondamentali, che rappresentano i refrain di questo meticoloso lavoro.
Sono sei i punti che accomunano i diversi standards ambientali presi in considerazione.
Il primo riguarda il “come”.
In che modo – ci si deve chiedere, e si deve informare/comunicare/divulgare – l’impresa incide su queste (in senso lato) “matrici ambientali” (aria, risorse idriche, biodiversità) e/o sugli effetti delle proprie attività (utilizzo dell’ambiente e delle materie prime), “in termini di effetti materiali positivi e negativi effettivi o potenziali”?
Il riferimento agli aspetti negativi, ma anche positivi, ci conduce all’analisi di altri due punti chiave dell’analisi, che riguardano la natura di tali impatti e la relativa magnitudo(e, sullo sfondo, il come vengono gestiti):
quali sono (è la domanda) la natura, il tipo e l’entità dei rischi e delle opportunità sostanziali dell’impresa che derivano dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento, dalla gestione delle risorse e degli ecosistemi? E come influisce il sistema di gestione utilizzato (il “come”, ovvero il ruolo che gioca la singola impresa nell’Environmental Management system globale)?
quali sono le conseguenze di tali rischi e di tali opportunità sullo sviluppo, sui risultati, sulle prestazioni e sulla posizione dell’impresa nel breve, medio e lungo termine e quindi sulla sua capacità di creare valore per l’impresa?
Il quarto passaggio fondamentale concerne “qualsiasi altra azione intrapresa”, e il risultato di tali azioni, per prevenire, mitigare o rimediare a effetti negativi effettivi o potenziali (con specifiche modalità, in funzione dello standard preso in considerazione: ad esempio, in relazione all’utilizzo delle risorse e all’economia circolare si fa un richiamo puntuale alla necessità di misure volte a “disaccoppiare la crescita dall’estrazione di risorse naturali”): se volete, il “tocco di originalità” che ogni impresa mette in campo, rispetto a quanto previsto dagli standards, per dimostrare concretamente il proprio impegno nelle (e per le) sostenibilità.
La pianificazione rappresenta il quinto tassello imprescindibile degli ESRS: quali sono i piani e qual è la capacità dell’impresa di adattare modelli di business /operazioni/strategie in linea con la transizione verso un’economia sostenibile in linea alle esigenze di sostenibilità?
Ultimo, ma non meno importante: quali sono gli sforzi (il miglioramento continuo) di mitigazione, “passati, attuali e futuri” per contribuire al raggiungimento degli obiettivi ambientali, alle “ambizioni del Green Deal europeo” e ai propositi pianificatori?
Dall’informativa alla divulgazione
Nel mondo odierno si parla spesso di “informazione ambientale”, un modo di dire dietro il quale si può celare tutto, e anche il suo contrario, a causa della vaghezza del termine.
Nel leggere le pagine degli standards, l’idea che è emersa è quella di un percorso informativo dinamico, non statico/burocratico, ma “in-formazione”: che si sta facendo strada, che si sta formando, che sta crescendo, non solo e non tanto dal punto di vista anagrafico, ma sostanziale.
Un sistema, per dirla in altri termini, in grado di passare:
dall’informativa (quella generica comunicazione – un flusso di dati – finora utilizzata e spacciata per conoscenza)
all’informazione (con un maggior dettaglio non solo del contenuto, ma anche dei collegamenti fra le differenti “notizie”), quindi
alla comunicazione (che aggiunge un valore e una consistenza sociale ed economica a quelle informazioni: completa le sostenibilità) per passare
alla divulgazione, l’ultimo tassello di una presa di consapevolezza, da parte di tutti gli stakeholders, dell’importanza di ogni singolo comportamento. Di tutti.
Solo in questo modo si può ipotizzare un cambiamento.
Solo in questo modo si può pensare ad un futuro, degno di questo nome.