Nuove norme Euro 7, come impatta sui cittadini il tira e molla tra istituzioni e case produttrici?
                                Le nuove norme europee sui veicoli Euro 7 saranno meno ambiziose di quanto inizialmente previsto, a seguito di una mediazione tra Parlamento Europeo, Consiglio Europeo, Stati Membri (tra cui il Governo Italiano, che ha fatto particolare pressione al pari di quello tedesco) e case automobilistiche.
Con 329 voti favorevoli, 230 contrari e 41 astensioni, il Parlamento Europeo ha approvato la posizione negoziale sull’Euro 7. Qui la proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo sull’omologazione di veicoli a motore definiti Euro 7.
L’attuazione delle norme sui veicoli Euro 7 con motore a scoppio è stata ripianificata a non prima del 2026 per le autovetture e del 2027 per gli autocarri, con la possibilità di slittare ancora più avanti (si parla di 2030-2031 per i veicoli pesanti), a differenza dell’obiettivo iniziale del 2025 proposto dalla Commissione. Le pressioni delle case automobilistiche per il ritardo hanno avuto successo: i gruppi industriali hanno segnalato come le tempistiche per un riassetto di questa portata fossero strette e i costi ingenti, anche considerando l’obbligo di produrre solo auto elettriche entro il 2035, che sta già portando a un ripensamento completo della filiera.
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Cosa prevede il regolamento Euro 7?
Il regolamento sugli Euro 7 introduce nuove misure finalizzate a ridurre le emissioni provenienti dai veicoli a motore. Questi i punti salienti:
- Aggiornamento dei limiti di emissione: limiti alle emissioni di scarico più rigorosi per tutti i tipi di veicoli, sia a motore a combustione interna che elettrici.
 - Misure per le emissioni da pneumatici e freni: riduzione delle emissioni causate da pneumatici e freni, grazie all’adozione di pneumatici con minore attrito e sistemi di frenatura più efficienti.
 - Aumento della durata della batteria per i veicoli elettrici: le batterie dei veicoli elettrici dovranno avere una durata di almeno 8 anni o 160.000 km.
 
I nuovi modelli di auto e furgoni dovranno conformarsi alle nuove regole 24 mesi dopo l’entrata in vigore del regolamento, mentre i nuovi autobus e autocarri con un peso superiore a 3,5 tonnellate avranno 48 mesi di tempo.
La proposta della Commissione sui limiti all’inquinamento provocato dalle automobili, compresi gli ossidi di azoto (NOx), il particolato e il monossido di carbonio, non si discosta troppo nettamente dai limiti di Euro 6, ma include per la prima volta limiti sulle emissioni di particolato da freni e pneumatici.
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Visioni contrapposte
Come presumibile, le opinioni in merito all’accordo sugli Euro 7 si dividono più o meno equamente tra favorevoli e contrari. Stellantis è stata tra gli operatori automobilistici più esposti nel cercare di smorzare i limiti, reputati troppo stringenti, segnati dalla prima versione dell’accordo. Nelle parole di Carlos Tavares, CEO della holding olandese-italiana-francese-americana:
“Se vogliamo restrizioni all’uso delle auto, allora non chiedeteci di aumentare la produzione. Stessa cosa se non vogliamo uccidere modelli che fanno parte dello stile di vita italiano, come la Panda, o se vogliamo auto che il ceto medio possa permettersi”.
Anche il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha giudicato positivamente l’approccio più graduale alla messa in pratica della normativa:
“L’Euro 7 non aveva industrialmente molto senso perché sarebbe stata una normativa di breve respiro. Se ci sarà lo stop ai motori endotermici al 2035, allora le regole avrebbero chiesto solo un investimento molto forte alle case automobilistiche e avrebbero generato prezzi elevati per un prodotto, per delle auto, che avrebbero avuto con vita molto breve. Vedo con piacere che il Parlamento Europeo ha deciso di allinearsi a quelle che sono state le considerazioni del Consiglio dei Ministri Europeo dell’Energia che ha diluito la questione”.
La direttrice generale di Acea-Associazione Europea, Sigrid de Vries, ha commentato:
“Resta il fatto che Euro 7 rappresenta un investimento significativo per i produttori di veicoli, oltre ai loro enormi sforzi di decarbonizzazione. Si presenta anche in un contesto geopolitico ed economico straordinariamente impegnativo, caratterizzato dall’impennata dei prezzi dell’energia, dalla carenza della catena di approvvigionamento, dalle pressioni inflazionistiche e dal rallentamento della domanda dei consumatori. L’Europa ha bisogno di un Euro 7 proporzionato, che bilanci le preoccupazioni ambientali e la competitività industriale”.
Sul versante opposto, le ONG ambientaliste e i Verdi in UE hanno citato più volte gli studi sulle morti premature in Europa a causa della scarsa qualità dell’aria, sostenendo il diritto alla salute di tutti i cittadini e quello di respirare aria pulita. Secondo il gruppo politico ambientalista, la decisione del Parlamento rappresenta un passo indietro significativo nel tentativo di ridurre il numero di decessi in Europa derivati dall’inquinamento veicolare, che si stima provochi 70.000 morti all’anno. La delusione dei Verdi si riflette anche nell’opportunità non colta per permettere all’Unione Europea di porsi come pioniera nelle tecnologie green del futuro, come sottolineato dal deputato Bas Eickhout.
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L’impatto sui cittadini
Risulta evidente come un tema complesso quale quello del riassetto della filiera produttiva del mercato automobilistico nel contesto di una transizione ecologica e con una concomitante crisi geopolitica-degli approvvigionamenti di materie prime, esca inevitabilmente appiattito da visioni massimaliste, interessi di settore o personali, schiacciamento sul presente con ridotta visione prospettica.
Della posizione dell’industria automobilistica è condivisibile il pragmatismo: un cambiamento subitaneo delle abitudini di vita, lavoro e acquisto della totalità dei cittadini europei non è praticabile, mentre la gradualità permette anche un’informazione corretta e puntuale. Al contempo le industrie, già in sofferenza per la crisi delle materie prime e per la riqualificazione in chiave elettrica della filiera, evitano il sobbarcarsi di un altro grosso e immediato peso, smorzandone il gravame. Le posizioni “ideologicamente produttive” però paiono miopi: chi, dietro a formule di circostanza, parla di produzione a oltranza senza “se e ma”, di fatturato sopra a bene comune e impatto ambientale, esercita un interesse lobbystico che non può non avere impatti disastrosi sul medio-lungo periodo (per le stesse industrie, se i consumatori dovessero perdere fiducia).
Al contempo le associazioni ambientaliste pongono giuste questioni etiche e sottolineano la necessità di provvedimenti immediati per migliorare la qualità dell’aria, per limitare il riscaldamento climatico globale e in generale per portare la società occidentale verso stili di vita più sani, meno impattanti e più sostenibili. Anche in questo caso le estremizzazioni ideologiche paiono fuori luogo, dato che non tengono conto della pluralità di contesti, congiunture socioeconomiche e interessi coinvolti. Non si può fare la transizione ecologica con la bacchetta magica: servono dialogo, informazione, intermediazione, confronto proattivo tra visioni.
Intanto i cittadini europei e italiani, stretti nella morsa di inflazione, diminuzione del potere d’acquisto, continuo assetto emergenziale (prima la pandemia, ora le guerre, nel contesto di crisi economiche plurime), cercano innanzitutto un orizzonte mentale di stabilità. Il cambiamento delle abitudini di vita, che tenderanno sempre più verso minori consumi, è praticabile, di nuovo, in un contesto in cui le istituzioni non facciano da banderuola per poteri privati o non taglino le normative con l’accetta. Altrimenti, anche con la creazione di nuove sacche di marginalizzazione e povertà, a fare le spese degli scontri tra Governi, Europa e gruppi industriali sarà sempre il singolo cittadino.
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