Inquinamento

Giornata della Terra 2025: dalla prima presa di coscienza al cambiamento climatico, un excursus

Dal Grande Smog di Londra all'incendio del fiume Cuyahoga, fino alla presa di coscienza del 22 aprile 1970, com'è nata la Giornata della Terra?
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Giornata della Terra 2025: dalla prima presa di coscienza al cambiamento climatico, un excursus

C’è stato un tempo in cui la parola “ambiente” non faceva parte del lessico quotidiano. Si produceva, si costruiva, ci si espandeva. Il progresso aveva una sola direzione, e l’impatto su ciò che ci circondava era un danno collaterale, accettabile, inevitabile. Ma la terra aveva cominciato a lanciare segnali. Forti, precisi, inequivocabili. Oggi si celebra la Giornata della Terra 2025, vediamo come è nata questa data e quale dovrebbe essere il suo significato più profondo e perché è importante.

Quando la terra si ammalò

Nel 1952, una nube densa e velenosa calò su Londra per giorni. Lo chiamarono “Il Grande Smog”: provocò circa 4.000 morti immediate e oltre 100.000 casi di malattie respiratorie. Studi successivi stimarono fino a 12.000 decessi complessivi, considerando le complicazioni nei mesi successivi. Era solo nebbia, dicevano. Nel 1962, un libro cambiò il modo in cui milioni di persone guardavano ai pesticidi. Silent Spring – primavera silenziosa – di Rachel Carson, raccontava un mondo in cui la primavera poteva arrivare senza il canto degli uccelli. Una denuncia precisa contro l’uso indiscriminato del DDT e degli agenti chimici, ma anche contro l’arroganza del dominio umano sulla natura.

L’incendio del fiume Cuyahoga

Negli Stati Uniti, il fiume Cuyahoga prese fuoco nel 1969. Le sue acque erano talmente impregnate di sostanze infiammabili da trasformarsi in una miccia. Non era il primo incendio, ci sono notizie di almeno altri dodici eventi del genere, ma quella volta finì sui giornali. E la miccia accese qualcosa anche nell’opinione pubblica. Nello stesso periodo, l’incidente a Love Canal – un quartiere costruito sopra oltre 21.000 tonnellate di rifiuti chimici industriali interrati – mostrava gli effetti reali e quotidiani dell’inquinamento: oltre 800 famiglie furono evacuate, centinaia di casi di malattie, tumori e nascite con difetti congeniti furono segnalati.

Questi eventi, e molti altri ancora, segnarono un punto di svolta: l’opinione pubblica comprese che non era più possibile ignorarli. L’aria, l’acqua, la terra non erano risorse infinite. Erano fragili, vulnerabili, e sotto attacco. Ed è da quella fragilità, finalmente vista, che prese forma una coscienza collettiva. La terra, per la prima volta, smetteva di essere solo uno sfondo. E diventava una protagonista.

22 aprile 1970: la prima sveglia collettiva e la nascita della Giornata della Terra

La sveglia collettiva suonò il 22 aprile 1970, e a farla suonare fu il senatore statunitense Gaylord Nelson, che propose di dedicare una giornata alla consapevolezza ambientale. Nessuno immaginava davvero cosa sarebbe successo. Non era una ricorrenza da calendario, non c’erano sponsor, né celebrazioni ufficiali.

Eppure, quel giorno, venti milioni di americani scesero in strada. Studenti, insegnanti, attivisti, cittadini comuni. Era la più grande manifestazione pubblica mai organizzata fino ad allora negli Stati Uniti. Una protesta senza bandiere, ma con un obiettivo chiaro: dire basta alla devastazione ambientale.

Non fu solo una marcia, fu un punto di svolta. Le immagini fecero il giro del mondo. I temi ecologici, fino ad allora confinati tra gli addetti ai lavori, entrarono nel dibattito pubblico. Il linguaggio cambiò, così come le priorità. Poco dopo, nacque l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA), vennero approvate leggi fondamentali sulla qualità dell’aria e delle acque, si posero i primi limiti alle industrie.

L’ambiente diventa una questione politica

L’ambiente diventava una questione politica. E anche culturale. Perché ciò che colpisce, oggi come allora, è la forza dell’azione collettiva. Nessun algoritmo, nessun piano quinquennale, nessuna previsione scientifica riuscì a smuovere le coscienze quanto quella giornata di primavera. Il potere non stava nei numeri, ma nel gesto: milioni di persone che, senza violenza, fermavano il tempo per dire alla terra – e a se stessi – che era ora di cambiare.

Il 22 aprile 1970 non fu solo l’inizio della Giornata della Terra. Fu la prova che una coscienza ambientale esisteva, ed era pronta a farsi sentire. Una sveglia collettiva, nata da una stagione di crisi, ma guidata dalla speranza.

Le ombre del presente: l’alluvione in Romagna, la Dana di Valencia e gli incendi in Grecia

Nel maggio del 2023, la Romagna è andata sott’acqua. Piogge incessanti, fiumi esondati, paesi evacuati, campagne devastate. Non era un uragano tropicale, era un’alluvione in una delle regioni più organizzate d’Europa. Eppure, in pochi giorni, tutto è crollato: strade, argini, certezze.

Nella zona di Valencia, piogge torrenziali e allagamenti hanno colpito più di 50.000 persone, danneggiando migliaia di ettari di coltivazioni.

In Grecia, gli incendi boschivi hanno bruciato più di 150.000 ettari, causando evacuazioni e distruggendo case e riserve naturali. In Portogallo, oltre 120.000 ettari sono andati in fumo, con centinaia di sfollati.

Gli incendi in Canada e California

In Canada, l’estate del 2023 ha registrato la peggiore stagione di incendi della storia: oltre 18 milioni di ettari bruciati, migliaia di evacuati, una colonna di fumo visibile dallo spazio. In California, più di 1.500 incendi hanno devastato foreste e abitazioni, con costi miliardari in danni.

La deforestazione in Amazzonia e le alluvioni in Pakistan e Bangladesh

In Amazzonia, la deforestazione e i roghi illegali hanno generato più di 50.000 focolai attivi solo tra giugno e agosto, con conseguenze drammatiche sulla biodiversità. In Pakistan, nel 2022, un terzo del paese è finito sott’acqua: più di 33 milioni di persone colpite, un numero che fa fatica a entrare nella mente. In Africa orientale, la siccità ha distrutto mezzi di sussistenza millenari. In Bangladesh, l’innalzamento del livello del mare costringe comunità intere a spostarsi, a vivere sull’acqua, a lottare per esistere. Gli eventi estremi non sono più titoli da prima pagina: sono cronaca ordinaria.

Una risposta lenta e contraddittoria agli eventi climatici estremi

Eppure, la risposta resta lenta, diluita, contraddittoria. Sappiamo cosa non funziona. Abbiamo identificato le cause, fatto promesse, sottoscritto impegni. Gli Accordi di Parigi, la COP28, gli obiettivi di neutralità climatica, i piani per la transizione energetica. Ma basta un rallentamento economico, una crisi geopolitica, una fiammata dei prezzi per farci abbassare lo sguardo. E rinviare. Ancora una volta. Ogni obiettivo diventa flessibile, ogni scadenza negoziabile, ogni parola riscritta.

Un’emergenza permanente

La politica si rifugia nella gestione dell’emergenza, mentre l’emergenza diventa permanente. Tant’è che questi eventi, per quanto gravi, hanno smesso quasi di fare notizia. Mentre scrivo queste righe, il Piemonte, l’Emilia, la Lombardia e il Veneto sono sotto l’acqua: allagamenti, fiumi che esondano, strade interrotte, migliaia di persone coinvolte. Fenomeni che un tempo avrebbero aperto i notiziari, oggi passano in secondo piano. Ormai l’anomalia fosse diventata la norma.

E gli impegni mondiali, invece di rafforzarsi, vengono aggiornati con prudenza, corretti con cautela, svuotati di urgenza. Per ogni passo avanti – una legge, un fondo, una regolamentazione – ce ne sono due indietro, fatti di deroghe, proroghe, eccezioni. Come se ci fosse sempre tempo. Come se il tempo non stesse già finendo.

Intanto, le fratture sociali si aggravano. I più colpiti sono i più poveri, i più esposti, i meno tutelati. Chi vive vicino ai fiumi, chi lavora nei campi, chi non può permettersi l’aria condizionata né fuggire altrove. La crisi climatica non colpisce tutti allo stesso modo. È anche una crisi di giustizia. E ogni volta che un evento ci scuote, ci si chiede per qualche giorno cosa si sarebbe potuto fare. Poi il tempo passa, e torna il silenzio. Ma la terra no, non smette di parlare. E non aspetterà all’infinito.

Un’altra occasione?

Nel 1970, la Giornata della Terra nacque per dire che un altro mondo era possibile. Si arrivò sull’orlo del disastro, ma ci si riuscì a fermare. Furono fatti programmi per chiudere fabbriche inquinanti, vennero bandite sostanze tossiche, si salvarono fiumi, si ripensarono le città. E, soprattutto, i cittadini maturarono la convinzione che era doveroso che i governi legiferassero per proteggerli. La tutela dell’ambiente non era più solo una richiesta idealistica, ma una necessità collettiva, urgente, concreta. Non tutto, certo. Ma qualcosa sì. E quel qualcosa ha fatto la differenza per intere generazioni.

Ma oggi siamo di nuovo su quell’orlo, e questa volta la scala del problema è globale. Il riscaldamento non colpisce una valle o una città, ma l’intero pianeta. La terra ha già iniziato a reagire con forza, mentre noi fatichiamo a tenere il passo. Eppure disponiamo di conoscenze che prima mancavano: abbiamo tecnologie avanzate, dati precisi, strumenti efficaci, reti di collaborazione globale. Sappiamo cosa fare, sappiamo come farlo. Ma ciò che ancora manca è la volontà di scegliere davvero quella strada.

Giornata della Terra 2025: il coraggio di scegliere una transizione che sia giusta

La Giornata della Terra dovrebbe essere questo: un momento per smettere di fare finta. Per rimettere in fila le priorità. Per chiedere conto delle promesse, e trasformarle in impegni reali. Per uscire dalla nostalgia, dalla retorica, e tornare a fare. Non abbiamo bisogno di nuovi slogan, ma di coraggio. Il coraggio di scegliere una transizione che sia giusta, non solo efficiente. Il coraggio di smettere di fingere che ci sarà sempre tempo. Il coraggio di guardare i nostri figli negli occhi, e sapere di aver fatto tutto il possibile.

La volta scorsa ci siamo salvati per un soffio. Questa volta, lo sappiamo, non ci sarà un’altra occasione.

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