Sicurezza antisismica e tecnologie innovative: intervista all’ingegnere Marco Peroni
Ingegneria
Sicurezza antisismica e tecnologie innovative: intervista all’ingegnere Marco Peroni
L’ingegnere faentino Marco Peroni, ci racconta, in occasione di una piccola mostra allestita dal suo studio professionale, la personale esperienza nello sviluppo di strutture e modelli innovativi per la sicurezza antisismica
Accanto alla sopraelevazione (e quindi alla costruzione di un nuovo piano abitato), quali interventi sono stati necessari per ottenere l’adeguamento sismico di tutto il fabbricato?
Il telaio esistente degli anni ’80 è stato consolidato solo dall’esterno. Abbiamo irrigidito i pilastri d’angolo ingrandendo verso l’esterno il loro spessore con un ulteriore getto in cemento armato collegato ai pilastri esistenti mediante innesti a resina distribuiti lungo l’altezza e passante anche attraverso i balconi che sono stati preventivamente forati in corrispondenza del passaggio degli ingrossamenti previsti. Il tutto è stato poi in parte rivestito con il nuovo cappotto termico, eseguito in occasione di questi lavori di adeguamento.
Le fondazioni invece non sono state toccate in quanto già ben dimensionate al momento della costruzione della casa originaria. La differenza di peso tra il coperto esistente (che era un solaio inclinato in laterocemento di grosso spessore, piuttosto pesante) e la nuova sopraelevazione leggera non ha comportato un significativo incremento di tensioni nel terreno, comunque rientranti nella tolleranza delle resistenze dello stesso.
Da un punto di vista tecnico ci spiega quali sono le applicazioni dei sistemi di smorzamento passivi chiamati Tuned Mass Dumpers (TMD) e come hanno influenzato le vostre ricerche?
Il sistema di smorzamento TMD, applicato principalmente nei grattacieli e nei ponti, è stato per la prima volta introdotto come concetto da Frahm nel 1909 per ridurre il rollio delle navi (famosa ed eclatante l’applicazione di un immenso tmd-giroscopio sul transatlantico italiano Principe di Savoia non del tutto funzionante), mentre la teoria matematica è stata sviluppata da Den Hartog nel 1940.
Nei grattacieli una prima applicazione famosa fu in cima al Citicorp di New York (il grattacielo tagliato a fetta di salame) ove per limitare i movimenti in sommità fu predisposta una grossa massa oscillante su molle e binari proprio nel locale sotto il grande taglio diagonale del coperto. Ricordiamo inoltre che, per schivare una costruzione alla base, fu necessario partire con il volume abitato da una quota di 35 metri dal suolo sostenendo la torre in elevazione su quattro grandi pilastri molto snelli. Allo stesso modo nel Taipei 101 (che fino al 2008 è stato il più alto grattacielo del mondo) fu posta, sempre sulla sommità, una grossa sfera formata da piatti di acciaio molto spessi dal peso totale di 660 t, sostenuta dall’alto con una serie di funi e bilanciata dal basso da enormi smorzatori idraulici che ne governano lo spostamento in caso di forti tifoni o sisma. La grande massa è visitabile al pubblico e un interessante video mostra il suo movimento proprio in occasione di un tifone. Un’applicazione più semplice che si può notare anche ad occhio nudo è quella delle ciminiere, nelle quali per ridurre le oscillazioni dovute al vento si posizionano anelli in acciaio sostenuti da tiranti e molle che controbilanciano i movimenti del camino.
I “TMD abitati” da noi proposti non sono invece altrettanto frequenti ed è per questo che la nostra applicazione risulta piuttosto innovativa, soprattutto se applicata ad un edificio esistente in occasione del suo adeguamento sismico. Una prima applicazione l’abbiamo riscontrata in una sopraelevazione di un edificio amministrativo a San Francisco nel 2007 mentre in Italia l’unico intervento a noi noto è la torre Eurosky di Roma, progettata dall’architetto Franco Purini e inaugurata nel 2013, in cui gli ultimi piani poggiano su isolatori sismici proprio per generare l’effetto TMD e limitarne le vibrazioni.
Nella sezione della mostra dedicata a idee, schizzi e riferimenti troviamo una serie di suggestioni proiettate verso costruzioni leggere o metodi innovativi che meglio reagiscono ai movimenti del terreno. Attraverso la sua personale esperienza, pensa che queste soluzioni possano essere valide alternative a quelle tradizionali, sia dal punto di vista architettonico che strutturale?
Le suggestioni che abbiamo esposto nella mostra fanno riferimento a studi per lo più americani o inglesi degli anni ’70 (per citare qualche nome Buckminster Fuller, gli Archigram o i Future Systems) che non hanno ricevuto grande seguito soprattutto in Italia, paese tradizionalmente conservatore in campo edilizio ed impostato sulla cultura massiva della pietra e del cemento armato piuttosto che dell’acciaio. Nel nostro paese, almeno a grandi livelli, solo l’architetto Renzo Piano ha da sempre perseguito l’idea della leggerezza nelle sue architetture, fin dalle prime abitazioni milanesi degli anni ’70.
Con la crisi dell’edilizia e la necessità quindi di soluzioni rapide ed economiche, la situazione sembra un po’ cambiata e proprio dal 2008-2010 abbiamo notato, anche dalle nostre parti, un proliferare di case in legno e di soluzioni in acciaio fino al container riciclato usato per la civile abitazione. L’unico punto che rimane ancora da risolvere, almeno secondo il mio punto di vista, è che il materiale costruttivo non emerge ancora nell’estetica della casa e viene quasi sempre camuffato con cappotti e rivestimenti che fanno sembrare la costruzione tradizionale, quasi ci si vergognasse di mostrare come essa sia stata costruita.
Dal canto nostro abbiamo realizzato, insieme agli architetti Ghetti e Venturini di Faenza, un’abitazione-showroom a Cento, tutta in struttura d’acciaio e tamponature a secco in cartongesso e isolante interno, con la parte della zona notte-wellness formata da un’originale struttura ad uovo sostenuta da quattro pilastri inclinati in acciaio (chiaramente visibili dall’esterno) che caratterizzano tutto l’intervento e lo rendono unico nel suo genere.
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