Il Tar Salerno, con la
sentenza n. 984 del 1° agosto 2020, ha chiarito che un
intervento edilizio di sopraelevazione sul tetto di un condominio deve ritenersi consentito anche senza l’assenso degli altri condomini se non altera la funzione di copertura dell’edificio.
Il fatto: ristrutturazione del sottotetto senza assenso condominiale
La proprietaria di unità immobiliari ai piani quarto e quinto (sottotetto) di un condominio sottoposto a vincolo storico-architettonico, impugnava, chiedendone l’annullamento, il provvedimento col quale lo Sportello Unico per l’Edilizia (Sue), su impulso del condominio in questione, aveva inibito la prosecuzione dei lavori contemplati dalla Scia, che consistevano nella
ristrutturazione della copertura del sottotetto dell’edificio condominiale e in
interventi sugli intonaci interni ed esterni a causa del distacco degli stessi, assentiti con permesso di costruire.
Il Comune e il Condominio controinteressato resistevano, insistendo sulla
obbligatorietà dell’assenso condominiale per l’esecuzione di opere su una parte comune dell’edificio quale il tetto di copertura, tenuto conto del previsto
inserimento di due finestre, incidente sull’assetto esteriore di quest’ultimo.
La sentenza: il proprietario dell’ultimo piano può modificare una porzione del tetto
Il Tar Salerno giudicava fondato il ricorso, ricordando una consolidata giurisprudenza amministrativa in base alla quale
il proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale può legittimamente modificare una porzione del sovrastante tetto di copertura, trasformandola in terrazza a proprio uso esclusivo. A condizione che
l’intervento non comporti modifiche significative della consistenza del bene comune e, mediante opere adeguate, bisogna salvaguardare la funzione di copertura e protezione svolta in precedenza dal tetto preesistente.
I giudici amministrativi citano, in particolare, la
sentenza n. 395/2013 del Tar Trentino Alto Adige, Trento:
“la destinazione della cosa comune, di cui è vietata l’alterazione, è da intendersi in una
prospettiva dinamica del bene medesimo. In particolare, per destinazione della cosa, deve intendersi la complessiva destinazione di essa, che deve essere
salvaguardata in relazione alla funzione del bene, e non alla sua immodificabile consistenza materiale.” La
soppressione di una piccola parte del tetto, se ne viene salvaguardata la funzione di copertura e si realizza al contempo un uso più intenso da parte del condomino,
non può essere intesa come alterazione della destinazione“.
In altri termini, “un intervento sul tetto di copertura non va considerato precluso al singolo proprietario dell’ultimo piano dall’inclusione della struttura nel novero delle parti comuni dell’edificio o indefettibilmente subordinato all’assenso dell’assemblea condominiale, purché l’intervento in parola non comporti un’alterazione significativa, sotto il
profilo costruttivo, plano-volumetrico, morfologico o funzionale, al punto da privare la struttura della sua stessa natura di parte comune”.
Un’opera ritenuta strettamente pertinenziale
Più in generale – ricorda la sentenza in esame – il singolo condomino, per realizzare u
n’opera strettamente pertinenziale alla propria unità immobiliare, anche sulle parti comuni dell’edificio, non ha bisogno di richiedere il previo assenso degli altri condomini; egli agisce infatti in virtù del combinato disposto degli artt. 1102 (facoltà del comunista di servirsi delle cose comuni), 1105 (concorso di tutti i condomini alla cosa comune) e 1122 (divieto al condomino di realizzare opere che danneggino le cose comuni) del Codice Civile.
Il singolo condomino può, in ipotesi,
ottenere a proprio nome anche un permesso di costruire, sempreché si tratti di opere:
a) strettamente pertinenziali all’unità immobiliare, nel senso civilistico della sussistenza di un vincolo di destinazione a servizio o ad ornamento di essa;
b) insuscettibili di comportare, per la relativa portata, limitazioni all’uso comune o di stravolgere l’assetto funzionale dei beni condominiali.
Il diritto di sopraelevazione
Il diritto di sopraelevare (art. 1127 cod.civ.) spetta ex lege al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio condominiale o al proprietario esclusivo del lastrico solare, e
non necessita di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini. Tale diritto, ricomprendente sia l’esecuzione di nuovi piani sia la trasformazione di locali preesistenti con aumento delle superfici e delle volumetrie, spetta anche se l’ultimo piano appartiene pro diviso a più proprietari e a ciascuno di essi nei limiti della propria porzione di piano, con utilizzazione dello spazio aereo sovrastante la stessa.
I
limiti al diritto di sopraelevazione, previsti nel secondo e terzo comma dell’art. 1127 cod. civ., assumono carattere assoluto solo per quanto concerne il
profilo statico dell’edificio, residuando la possibilità di eventuali opposizioni dei condomini per le diverse ragioni di ordine architettonico o di notevole diminuzione di aria o di luce ai piani sottostanti.
Nel caso in esame, il rifacimento della copertura preesistente, senza alcuna alterazione significativa dell’originaria traccia costruttiva, plano-volumetrica, morfologica o funzionale, senza arrecare alcun pregiudizio alla statica complessiva dell’immobile, senza modificare la sagoma dell’edificio e senza sottrarre il tetto alla sua funzione condivisa di copertura,
non può “debordare nella sfera intangibile delle prerogative condominiali, tanto da necessitare il consenso assembleare predicato dall’amministrazione comunale resistente”.
Le finestre sul tetto non incidono sull’assetto esteriore dell’edificio
La legittimazione a edificare non viene meno per l’inserimento di due finestre nella copertura ristrutturata, poiché tali aperture risultano
già assentite in forza del valido ed efficace permesso di costruire e si rivelano inidonee a incidere sostanzialmente sul complessivo assetto esteriore dell’edificio condominiale. Infatti “l’apertura delle finestre comporterebbe, al più, una diminuzione della superficie del tetto limitata, nel mentre il posizionamento delle stesse e la non ragionevole praticabilità della parte di copertura interessata, costituiscono altrettanti e concorrenti profili idonei ad escludere l’evenienza di un percepibile sacrificio subito dagli altri condomini. Infine, va escluso che la modestia dell’intervento licenziato possa costituire un’alterazione del decoro architettonico. La lesione del valore estetico, peraltro, dovrebbe anche tradursi in un pregiudizio economico tale da comportare un deprezzamento dell’intero fabbricato e delle singole porzioni in esso ricomprese.”
Il rilascio di titoli edilizi abilitativi non deve essere condizionato da controversie privatistiche
I giudici del Tar Salerno aggiungono una netta considerazione generale sulla condotta dell’amministrazione locale: “il controllo amministrativo sulla legittimazione al conseguimento di un titolo edilizio non può sospingersi sino al punto di tradursi in
strumento surrettizio di risoluzione di controversie privatistiche, quale, nella specie, il pregiudizio arrecabile dal progettato rifacimento della copertura all’uso comune dell’edificio condominiale.
“Deve assolutamente
censurarsi quella prassi amministrativa che subordina il rilascio di titoli edilizi abilitativi al consenso dei titolari di diritti reali confinanti ovvero di diritti reali di comunione; invero, i rapporti tra l’istante e i vicini, siano essi titolari di diritti reali individuali ovvero in comunione,
hanno natura e rilevanza privatistica e non devono interessare l’amministrazione locale. E’ pertanto illegittimo il provvedimento con cui si rifiuta l’adozione di un atto amministrativo abilitativo in assenza di un atto di consenso di natura privatistica ed attinente ai rapporti di diritto privato tra le parti,
non previsto e non richiesto dalla legge, ove la realizzazione di opere interessino anche il condominio. il mancato assenso di quest’ultimo, la cui porzione immobiliare inerisce, concerne esclusivamente tematiche privatistiche, cui resta estranea l’amministrazione in sede di esame della denuncia medesima e, di conseguenza, risulta illegittima la sospensione dei lavori motivata dal mancato intervento di una autorizzazione condominiale.
Autotutela e Scia
In caso di Scia edilizia, decorso il termine di 30 giorni dalla relativa presentazione, l’amministrazione può assumere determinazioni
soltanto nel rispetto delle condizioni prescritte per l’esercizio dei poteri di autotutela.
La Scia, una volta perfezionatasi, costituisce, infatti, un
titolo abilitativo valido ed efficace che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa,
solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria. Ne consegue l’
illegittimità del provvedimento inibitorio avente ad oggetto lavori, come quelli in esame, risultano oggetto della Scia già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela.
Nel caso in esame,
il Comune ha omesso di comunicare all’interessata l’avvio del procedimento di interdizione dei lavori, e di svolgere ed esternare una compiuta valutazione circa il preminente interesse pubblico all’arresto delle attività edilizie in corso rispetto a quello antagonistico del privato alla loro prosecuzione, nonostante si trattasse di interventi finalizzati a rimediare in via definitiva e risolutiva alle problematiche di stabilità del tetto di copertura dell’immobile, e di connesso pericolo per la pubblica e privata incolumità.
Per questi motivi, il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), ha accolto il ricorso e annullato il provvedimento di sospensione dei lavori di sopraelevazione.