Per il sequestro preventivo dei crediti superbonus 110% serve una puntuale valutazione
                                Il superbonus 110% è stata, senza ombra di dubbio, la misura più importante degli ultimi decenni nel panorama delle agevolazioni fiscali in campo edilizio. L’obiettivo dell’ammodernamento del patrimonio immobiliare italiano, in piena sintonia con la spinta europeista dell’efficientamento energetico, pareva essere davvero la panacea di tutti i mali, visto il periodo, quello della pandemia, nel quale era stata concepita. Ma i problemi non mancano: qui ne affrontiamo uno, illustrando come si deve procedere per il sequestro preventivo dei crediti per il superbonus.
Una misura importante, ma con tante criticità
Purtroppo, a ormai 4 anni dalla nascita del superbonus 110%, si sono infatti evidenziati numerosi profili di criticità. I valori degli appalti sono stati gonfiati per poter fare cassa attraverso il meccanismo dei crediti fiscali. I prezzi dei materiali ed anche della manodopera sono aumentati a dismisura. Le banche sono corse ai ripari non accettando più i crediti d’imposta.
A cercare di porre un argine a questa situazione ormai fuori controllo, decretando di fatto la morte della misura, è stato poi il decreto legge n. 11 del 16 febbraio 2023, che ha posto il divieto sulla possibilità di utilizzare sia il meccanismo della cessione del credito sia quello dello sconto in fattura. Tutto ciò ha portato con sé degli importanti strascichi, tanto che si è creato un vero e proprio filone relativo al “contenzioso superbonus 110%”.
In questo panorama così frastagliato non sono infatti tardati i ricorsi e le prime sentenze in ambito sia civile che penale. La pronuncia in commento analizza la delicata questione del sequestro dei crediti del Superbonus fornendo una importante contributo su questo tema ed in particolare dando indicazioni cruciali sui limiti e le motivazioni di questa procedura. La sentenza di riferimento è la n. 7021 dello scorso 15 febbraio ed è stata pronunciata dalla sesta sezione penale della Cassazione.
Le tappe del superbonus 110%
In via preliminare, appare utile ricostruire sinteticamente la normativa relativa al c.d. superbonus, introdotta nel 2020 con il decreto “Rilancio”. La misura prevedeva per talune categorie di contribuenti, una detrazione pari al 110% delle spese relative a specifici interventi di efficienza energetica e di misure antisismiche sugli edifici. L’articolo 121, co. 1, del medesimo decreto consentiva, inoltre, la possibilità di optare, in luogo della fruizione diretta di tale agevolazione fiscale, per un contributo anticipato sotto forma di sconto dai fornitori dei beni o servizi (cd. sconto in fattura) o, in alternativa, per la cessione del credito corrispondente alla detrazione spettante.
Per quanto interessa in questa sede, in merito alle tempistiche della fruizione dei benefici, la norma prevedeva che la detrazione del 110% spettasse anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023. La condizione era che alla data del 30 settembre 2022 fossero stati effettuati lavori per almeno il 30% dell’intervento complessivo. In questo computo potevano essere compresi anche i lavori non agevolati ai sensi del presente articolo.
Sequestro preventivo dei crediti superbonus: la vicenda
Così ricostruita a grandi linee la misura del superbonus è possibile comprendere meglio le motivazioni che hanno spinto la Cassazione ad accogliere il ricorso dell’impresa così da sbloccare gli oltre 4 milioni di euro presenti nel suo cassetto fiscale. Così facendo si è pertanto stabilito un principio di tutela a favore di chi è sospettato di avere movimentato crediti legati a ristrutturazioni inesistenti.
La vicenda riguardava un caso di presunto comportamento fraudolento, reato previsto e punito dall’art. 316-ter c.p., legato al mancato completamento di interventi di efficientamento energetico, entro la scadenza prevista, da parte di un’impresa di impianti elettrici. A seguito del tentativo della predetta società di cedere il credito derivante dagli interventi, il GIP aveva provveduto a congelare, attraverso la misura del sequestro preventivo, l’intero cassetto fiscale il cui valore superava i 4 milioni di euro.
Per la Cassazione il sequestro è stata un’azione sproporzionata
La società impugnava il provvedimento del GIP dinanzi al Tribunale, il quale però confermava la correttezza della misura adottata. Alla luce della conferma della misura cautelare anche da parte del Tribunale, la società decideva pertanto di proporre ricorso in Cassazione.
I giudici del Palazzaccio hanno ritenuto fondate tutte le doglianze articolate nel ricorso sia in relazione al fumus del reato di cui all’art. 316-ter c.p. che alla proporzionalità della misura cautelare disposta.
L’errore in cui sono incorsi i due giudici precedenti è consistito nell’assenza di una motivazione chiara e dettagliata del nesso di pertinenza tra i crediti sequestrati e le condotte fraudolente riscontrate.
L’ordinanza di sequestro impugnata dalla società ricorrente si è limitata a considerare “assorbenti” rispetto alle questioni dedotte dai ricorrenti le circostanze emergenti dai verbali di sommarie informazioni di alcuni committenti in merito alla mancata esecuzione dei lavori nelle rispettive proprietà o, in ogni caso, al mancato completamento del 30% delle opere alla data del 30 settembre 2022.
Che cosa occorre per procedere al sequestro preventivo dei crediti Superbonus
Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione con la propria decisione ha ribadito che il sequestro dei crediti Superbonus deve essere giustificato dalla presenza di prove concrete di comportamenti fraudolenti correlati a tali crediti. In altre parole, è possibile che nel cassetto fiscale della società possano coesistere crediti legittimi e crediti illeciti e pertanto non è lecito sequestrare l’intero cassetto fiscale senza una specifica correlazione tra tutti i crediti oggetto di sequestro e le irregolarità accertate.
Nel caso in esame dovevano essere debitamente valorizzati alcuni elementi processuali che avrebbero portato il giudice ad essere più prudente.
In particolare i proprietari escussi a sommarie informazioni rappresenterebbero solo una parte dei cantieri ove avrebbe dovuto operare la società, rappresentando circa il ¼ di tutti i cantieri in cui operavano.
Le ulteriori lacune rilevate dalla Cassazione
Il Tribunale ha, inoltre, omesso di esaminare il motivo di appello concernente la irrilevanza, ai fini del fumus del reato di cui all’art. 316-ter c.p., dei crediti “rinunciati”, oggetto delle note di credito emesse dalla società stessa per lavori non eseguiti, e di quelli “rifiutati” dalla medesima società.
Altra lacuna motivazionale attiene, infine, alla ritenuta mancata esecuzione del 30% dei lavori commissionati, genericamente esclusa sulla sola base delle dichiarazioni rese da alcuni dei committenti e del citato parere della Commissione consultiva per il monitoraggio del D.M. 58/2017, senza alcuna valutazione delle deduzioni difensive relative alle diverse attività effettuate nei singoli cantieri, della possibile rilevanza delle attività non agevolate (ai sensi del comma 8-bis del citato art. 119) documentate dai ricorrenti e, soprattutto, delle asseverazioni sottoscritte dai direttori dei lavori, assertivamente reputate false sulla base della loro iscrizione nel registro degli indagati.
Alla luce quindi di tutti questi elementi non debitamente considerati, la Cassazione ha annullato l’ordinanza di sequestro e ha disposto un riesame di tutti i crediti presenti nel cassetto fiscale.