Come verificare l’attendibilità del provvedimento di classamento nelle rendite catastali
                                La sezione tributaria della Corte di Cassazione, nell’Ordinanza n. 29732 del 19 novembre 2024, ha respinto il ricorso per la Cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania favorevole all’Agenzia delle Entrate, in una causa intentata contro il provvedimento di classamento, effettuato a seguito di denuncia di variazione proposta dal contribuente con procedura digitale DOCFA (DOcumenti Catasto FAbbricati), con cui era stata rettificata, in aumento, la rendita catastale dell’immobile di sua proprietà, a seguito della trasformazione di una unità immobiliare da servizi igienici a corredo dell’attività turistico ricettiva a civile abitazione.
Provvedimento di classamento: il ricorso
Tra i sei motivi del ricorso (tutti respinti), rileva quello che contestava il provvedimento di classamento per aver l’Agenzia delle entrate determinato la variazione della rendita catastale, “in mancanza di dati storici di riferimento della Zona”, secondo il metodo del costo di riproduzione deprezzato”, nonostante “la presenza del dato storico specifico costituito dalla sentenza della Commissione tributaria provinciale di Salerno, relativa al villaggio turistico oggetto di valutazione”.
La Commissione tributaria regionale aveva affermato, al riguardo, che “Risulta corretta la determinazione della rendita effettuata, applicando il saggio di capitalizzazione del 2% ai valori unitari degli immobili come determinati dall’Ufficio e non contestati dal contribuente”.
Secondo la Cassazione, la mancata contestazione da parte del ricorrente circa i criteri di stima applicati dall’Ufficio rende inammissibili le censure formulate nel ricorso, in quanto da ritenersi questioni nuove, mai formulate in precedenza, nei gradi di merito.
Un altro motivo di contestazione riguardava la rettifica, in aumento, della rendita catastale in funzione di una piscina di cui sarebbe stato dotato l’immobile, sebbene l’Agenzia non ne avesse fornito la relativa prova, ponendo a carico del contribuente tale onere.
La decisione della Cassazione
La sentenza della Cassazione chiarisce che “Nelle controversie riguardanti la verifica dell’attendibilità del provvedimento di classamento, emesso dall’Amministrazione in rettifica di quello proposto dal contribuente, a seguito di lavori di ristrutturazione di un immobile e a mezzo della procedura DOCFA, l’onere di provare nel contraddittorio con il contribuente gli elementi di fatto giustificativi della propria pretesa, nel quadro del parametro prescelto, spetta alla stessa Amministrazione, salva comunque la facoltà del contribuente di assumere su di sé l’onere di dimostrare l’infondatezza della pretesa di maggiore rendita catastale, avvalendosi dei criteri astratti utilizzabili per l’accertamento del classamento o del concreto raffronto con le unità immobiliari presenti nella stessa zona censuaria in cui è collocato l’immobile“.
“Al che consegue che il giudice del merito, dovendo verificare se la categoria e la classe attribuite all’immobile risultino adeguate secondo i dati presenti nella motivazione dell’atto, non può trarre tale prova positiva dall’insuccesso dell’onere probatorio assunto dal contribuente, in difetto dell’assolvimento dell’onere della prova posto a carico dell’Ufficio“.
Provvedimento di classamento: le motivazioni dell’impugnazione
Il ricorrente contestava inoltre il fatto che la Commissione tributaria regionale avesse ritenuto adeguatamente motivato l’atto impugnato relativamente all’esistenza di una piscina nell’immobile, sebbene l’Ufficio non avesse indicato “quale fosse l’atto da cui poter evincere l’esistenza della piscina, né lo (aveva) prodotto a norma della disposizione in disamina”.
Tale motivo è stato respinto perché “l’Agenzia delle entrate ha indicato con precisione gli elementi (tra i quali, la presenza della citata piscina), da cui ha dedotto la necessità di un aumento della rendita catastale dell’immobile del ricorrente“.
Sul punto, la sentenza della Cassazione sottolinea che “La motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa, mentre l’ufficio accertatore non può modificare e/o integrare il presupposto della propria pretesa originariamente contenuta nell’accertamento, poiché è solo tale motivazione che delimita i confini della lite, sicché il corrispondente obbligo deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e delle relative risultanze, mentre le questioni attinenti all’idoneità del criterio applicato in concreto attengono al diverso piano della prova della pretesa tributaria“.