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Nulla la delibera d’installazione di un cappotto termico che riduce il piano di calpestio dei balconi

Le esigenze di efficientamento energetico non possono in alcun caso compromettere il diritto di proprietà dei singoli
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Nulla la delibera d’installazione di un cappotto termico che riduce il piano di calpestio dei balconi

Il cappotto termico, ad oggi, rappresenta la tipologia d’intervento edìle probabilmente più diffusa nell’ambito di quelle che, dall’approvazione del Decreto Rilancio in poi, vengono realizzate sulle facciate degli edifici condominiali al fine di migliorarne le prestazioni energetiche, contenendo le dispersioni di calore ed accedendo, contestualmente, ai benefici fiscali della detrazione per le spese relative, nella misura di volta in volta prevista dalla legge, sulla base della tempistica di assunzione della delibera autorizzativa e del relativo deposito della necessaria Comunicazione di inizio lavori asseverata (c.d. CILAS).

Posto che esistono due tipologie di cappotto, ossia quello termico (costituito da pannelli isolanti sovrapposti ed installati direttamente sulle mura perimetrali dell’edificio, che possono essere intonacati dopo la loro posa in opera) e quello a parete ventilata (costituito sempre da pannelli isolanti, ma abbinati a una struttura distante alcuni centimetri dalla superficie dell’edificio, che, a sua volta, sostiene delle lastre in materiale ceramico, metallico o marmo, le quali, grazie al distanziamento dalla parete, formano un canale d’aria che isola ulteriormente gli ambienti interni), in entrambi i casi è ben possibile che, tecnicamente, in seguito alla sua installazione si riduca (in alcuni casi anche sensibilmente) il piano di calpestio dei balconi privati.

Analisi della delibera che autorizza il cappotto termico

Proprio in quanto nella pratica può verificarsi il caso concreto che la posa in opera di un cappotto termico, esistendone tipologie di diverso spessore, comporti la riduzione dei balconi e, dunque, la compressione del diritto di proprietà (privata) dei singoli, sacrificato rispetto alle esigenze di efficientamento energetico dell’intero fabbricato, la delibera che autorizza l’opera in oggetto, peraltro adottabile con maggioranze estremamente basse (voto favorevole della maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno un terzo del valore millesimale dell’edificio), è stata (ed è tuttora) al centro di attenta analisi da parte della giurisprudenza che, con opinioni invero piuttosto discordanti, la pone, inevitabilmente, in relazione ai principi sanciti in epoca relativamente recente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n.  9839 del 14 aprile 2021.

Dalla lettura dell’ultimo arresto richiamato, infatti, emerge con chiarezza che l’assemblea dei condòmini, attraverso la propria naturale espressione volitiva (la delibera, appunto) può determinarsi seguendo il principio maggioritario unicamente su tutte le materie che abbiano rilevanza comune e, per questo, siano di interesse condominiale.

Una delibera assembleare che, al contrario, riguardi, limitandolo, il diritto di proprietà di un singolo non è validamente assunta, ed è anzi nulla per impossibilità giuridica dell’oggetto (perseguendo finalità extracondominiali, comunque sottratte alla sua competenza funzionale), se non è supportata dalla necessaria natura pattizia, derivante dalla preventiva acquisizione del consenso espresso di tutti i condòmini, ed in specie dei proprietari delle parti private interessate, che subiscono pregiudizio dalla deliberazione.

Le differenti posizioni dei giudici di merito

Sulla scorta di queste considerazioni, in giurisprudenza si sono affermati due contrapposti orientamenti, in relazione alle deliberazioni aventi ad oggetto l’appalto dei lavori di efficientamento energetico, e nella specie, la realizzazione del cappotto termico, che sono riconducibili a due pronunce in particolare: quella del Tribunale di Roma, ossia la sentenza n. 17997 del 16 dicembre 2020 e quella, di segno divergente, consistente nell’ordinanza del Tribunale di Milano del 13 agosto 2021.

Mentre la prima, vale a dire quella del Tribunale di Roma, ha considerato nulla “tout court” la determinazione assembleare che ha approvato la realizzazione di un cappotto termico adottata senza il consenso espresso dei proprietari dei balconi la cui superficie utile veniva ridotta per effetto della posa in opera dei pannelli isolanti, la seconda è giunta alla conclusione opposta.

Il Tribunale di Milano, infatti, ha affermato il principio della piena legittimità di una determinazione analoga, ritenendo che il sacrificio imposto ai singoli condòmini dissenzienti, il cui balcone veniva pregiudicato dalla riduzione di pochi centimetri della superficie utile calpestabile, fosse ampiamente compensato e giustificato dal conseguimento del superiore interesse condominiale (e pubblicistico) dell’auspicato risparmio energetico.

La riduzione del piano di calpestio dei balconi

Di recente, la questione è stata oggetto di un nuovo intervento del Tribunale capitolino il quale, con la sentenza n. 11708 del 25 luglio 2023, ha ribadito l’orientamento già espresso dalla precedente pronuncia dello stesso giudicante sopra richiamata, ed ha, di conseguenza, dichiarato l’illegittimità della deliberazione assembleare che, approvando la realizzazione del cappotto termico, aveva di fatto ratificato impropriamente la riduzione della superficie del piano di calpestio delle proprietà private, senza il consenso dei soggetti direttamente interessati.

In realtà, la fattispecie è stata vagliata dal giudice del merito unicamente ai fini dell’applicazione, richiesta dalle parti, del principio della soccombenza virtuale, rilevante in relazione alla condanna alle spese, posto che la delibera originariamente impugnata dagli attori era stata successivamente sostituita da altra deliberazione, avente contenuto esattamente contrario ed incompatibile con la perdurante validità della stessa.

Nella seguente determinazione, infatti, l’assemblea dei condòmini, con ciò implicitamente riconoscendo la fondatezza della proposta impugnativa, aveva statuito che il cappotto termico dovesse essere stato installato, non più sui balconi dei privati, ma unicamente sulle parti comuni, proprio al fine di evitare la compromissione del diritto di proprietà.

Cessata materia del contendere, dunque, accertata e dichiarata giudizialmente, ma condanna alle spese del condominio convenuto, in applicazione dell’invocato principio della soccombenza virtuale, essendo effettivamente sussistente, al tempo della proposizione dell’impugnazione della delibera poi sostituita, un concreto interesse ad agire dell’originario attore, attesa la più che probabile fondatezza della domanda giudiziale da quest’ultimo spiegata (Corte di Cassazione, Ordinanza numero 1098/2021).

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