Il vincolo di destinazione d’uso alberghiero non è assoluto
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 143 del 7 ottobre 2025, chiarisce che il vincolo di mantenimento della destinazione d’uso alberghiero non può essere assoluto ma deve essere proporzionato e fondato su una valutazione concreta di fattibilità economica. Se è comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva, la richiesta di svincolo e la trasformazione ad altra destinazione d’uso va valutata tenendo presente le ripercussioni negative della prosecuzione dell’attività alberghiera e la libertà d’iniziativa economica privata.
Destinazione d’uso alberghiero e illegittimità costituzionale
La sentenza accoglie la questione di illegittimità costituzionale sollevata dal Tar Liguria in merito all’articolo 2, comma 2, della legge regionale Liguria n. 1/2008, come sostituito dall’art. 2, comma 4, della legge n. 4/2013. La norma regionale è stata ritenuta lesiva degli articoli 3 e 41 della Costituzione, poiché ostacola la rimozione del vincolo alberghiero e disconosce la rilevanza della sostenibilità economica dell’impresa, con il risultato di compromettere la tutela degli interessi pubblici e la libertà di iniziativa economica privata.
La legge della Regione Liguria n. 1 del 7 febbraio 2008, modificata dalla legge della Regione Liguria n. 4 del 18 marzo 2013, contiene “Misure per la salvaguardia e la valorizzazione degli alberghi e disposizioni relative alla disciplina e alla programmazione dell’offerta turistico-ricettiva negli strumenti urbanistici comunali“. La norma dichiarata incostituzionale non consente lo svincolo dalla destinazione alberghiera anche quando la prosecuzione dell’attività non sia più compatibile con lo scopo, tipico dell’impresa, di conseguimento del profitto.
Il caso
Tale il caso di un’impresa alberghiera che aveva proposto ricorso contro il provvedimento del responsabile dello Sportello unico per le attività produttive (SUAP) di un Comune ligure, che aveva respinto l’istanza di svincolo dalla destinazione alberghiera dell’immobile di proprietà della ricorrente.
In base alla norma regionale, i proprietari degli immobili assoggettati al vincolo di destinazione d’uso ad albergo, possono presentare in qualsiasi momento, in forma individuale e/o aggregata, al Comune territorialmente competente, motivata e documentata istanza di svincolo, corredata dall’indicazione della destinazione d’uso che si intende insediare. Ma per ottenere lo svincolo, occorre rispettare condizioni che pongono “limiti irragionevoli e sproporzionati alla libertà d’iniziativa economica, impedendo all’imprenditore di compiere le scelte organizzative fondamentali e subordinando la facoltà di rimuovere il vincolo a presupposti quanto mai rigidi, senza alcuna valutazione dei possibili usi alternativi dell’immobile“.
L’inadeguatezza della struttura ricettiva
Lo svincolo, infatti, presuppone la “sopravvenuta inadeguatezza della struttura ricettiva rispetto alle esigenze del mercato, riconducibile ad almeno uno dei seguenti fattori:
- oggettiva impossibilità a realizzare interventi di adeguamento complessivo dell’immobile, a causa dell’esistenza di vincoli monumentali, paesaggistici, architettonici od urbanistico-edilizi non superabili, al livello di qualità degli standard alberghieri e/o alla normativa in materia di sicurezza (quali accessi, vie di fuga, scale antincendio e simili) e/o di abbattimento delle barriere architettoniche;
- collocazione della struttura in ambiti territoriali inidonei allo svolgimento dell’attività alberghiera, con esclusione comunque di quelli storici, di quelli in ambito urbano a prevalente destinazione residenziale e degli immobili collocati nella fascia entro 300 metri dalla costa“.
Tali limitazioni contrastano con gli artt. 42, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto implicano “una compressione considerevole delle facoltà di godimento del bene” e violano la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia “ordinamento civile”. La disciplina regionale, infatti, configura, per un tempo indefinito, un vincolo sostanzialmente espropriativo, violando anche le garanzie sancite dall’art. 42, terzo comma, Cost. e travalica i limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, confliggendo, pertanto, con gli artt. 3, 42, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU.
La non convenienza economico-produttiva
La Corte Costituzionale ricorda che il vincolo di destinazione alberghiera mira a tutelare il settore turistico, strategico per l’economia nazionale e per l’occupazione, e salvaguarda la funzione di immobili essenziali per un equilibrato sviluppo del mercato. Lo scopo del vincolo è la conservazione e la tutela del patrimonio ricettivo, “in quanto rispondente alle finalità di pubblico interesse e della utilità sociale“.
Una costante giurisprudenza afferma che “ben può il legislatore apporre restrizioni di carattere generale alla libertà di iniziativa economica privata, a condizione che tali limiti corrispondano all’utilità sociale e alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana e non si traducano in misure arbitrarie ed incongrue. Il vincolo di destinazione, proprio per le finalità che persegue, non si può risolvere nella prosecuzione coattiva di un’attività economica, anche quando tale attività cessi di essere vantaggiosa“.
Gli obiettivi di salvaguardia dell’integrità del patrimonio turistico-ricettivo e dei livelli occupazionali del settore, pur prioritari per la collettività, non possono, dunque, “escludere qualunque rilevanza alla circostanza che sia venuta meno la convenienza economico-produttiva dell’impresa alberghiera“.
Destinazione d’uso alberghiero: quale equilibrio tra i diversi interessi
Il legislatore statale, nella disciplina organica dettata dalla legge n. 217 del 1983, ha identificato il punto di equilibrio nella definizione di presupposti tassativi, legati alla comprovata “non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva” (art. 8, quinto comma). Pertanto, nell’indispensabile valutazione in concreto delle giustificazioni sottese all’istanza di svincolo, non si possono non ponderare le possibili ripercussioni negative della prosecuzione dell’attività alberghiera.
La disposizione della legge regionale dichiarata incostituzionale, pur ammettendo la rimozione del vincolo nell’ipotesi di “sopravvenuta inadeguatezza della struttura ricettiva rispetto alle esigenze del mercato“, la condiziona a requisiti che ne rendono difficilmente praticabile l’attuazione, poiché non includono tutte le ipotesi di carente convenienza economico-produttiva. L’obbligo di proseguire l’attività, anche quando sia gravata da perdite e da oneri esorbitanti, pregiudica l’interesse del singolo operatore economico e non apporta alcun vantaggio alla collettività.
Un vincolo così restrittivo rischia di frustrare le finalità che ne giustificano l’introduzione e di produrre conseguenze antitetiche, distogliendo gli imprenditori dal mercato turistico-ricettivo e disperdendo quel patrimonio di valori che una razionale espansione del turismo aggrega e rafforza.
Le limitazioni sancite dal legislatore regionale contravvengono, infine, al canone del “minimo mezzo“, che prescrive di privilegiare, tra tutte le misure, quelle idonee a determinare il minor sacrificio degli interessi contrapposti. Un vincolo di destinazione, concepito come tendenzialmente immutabile, non incide su profili circoscritti e secondari della libertà d’iniziativa economica privata, ma ne sacrifica il nucleo essenziale, in quanto preclude all’imprenditore la facoltà di adottare scelte organizzative qualificanti.