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Balcone trasformato in veranda chiusa: condono possibile o demolizione obbligata?

Il TAR Puglia fa chiarezza su uno dei temi più controversi in edilizia residenziale: la chiusura del balcone può essere sanata oppure va abbattuta?
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Balcone trasformato in veranda chiusa: condono possibile o demolizione obbligata?

Un caso particolare è stato recentemente affrontato dal Tar Puglia con la sentenza numero 584 del 24 aprile 2025, vicenda che ha avuto ad oggetto la trasformazione di un balcone in box-window.

Che cos’è una box-window

Preliminarmente occorre capire che con l’espressione box-window si indica una struttura vetrata che avvolge un balcone o una loggia, sporgendo dal filo di facciata e chiudendolo su tre lati con elementi trasparenti. Il piano di calpestio rimane quello originario e l’opera, se realizzata con pannellature amovibili e priva di collegamenti impiantistici, svolge funzioni meramente protettive (riparo dagli agenti atmosferici, miglioramento del comfort acustico-termico), senza trasformare in modo stabile lo spazio esterno.

In questa configurazione recentemente il legislatore, con il Salva Casa, ha ricondotto le box-window nel novero delle VEPA vetrate panoramiche amovibili –, qualificandole come interventi realizzabili di edilizia libera ex articolo 6, comma 1, lett. b-bis, del Testo Unico Edilizia, purché non determinino nuova volumetria né spazi stabilmente chiusi.

Da un punto di vista pratico, tale nuova classificazione permette da un lato di non avere bisogno di un titolo edilizio preventivo, dall’altro lato che, in sede di sanatoria/condono, l’opera può essere valutata come “superficie di servizi ed accessori” ai sensi del D.M. n. 801/1977, con oneri ridotti rispetto ad un vano abitabile.

Demolizione box-window: il caso deciso dal TAR Puglia

Nel caso in esame, le ricorrenti avevano trasformato, nel 2003-2004, il loro balcone in una veranda box-window e presentato tempestiva domanda di condono ex art. 32 Legge 326/2003 (c.d. terzo condono), versando l’oblazione dovuta.

Solo nel 2016 il Comune di Bari inviava (con raccomandata poi risultata irregolarmente notificata) una richiesta di integrazione sia documentale sia economica, ricalcolando il contributo come se la struttura avesse creato superficie “utile” e non “accessoria”.

Nel 2024 l’amministrazione, ritenendo insoddisfatta la richiesta, negava il condono e, in pari data, emanava ordinanza di demolizione e sanzione pecuniaria. Le proprietarie impugnavano entrambi gli atti: il TAR, dopo fase cautelare con ordine di remand istruttorio, ha accolto il ricorso e annullato i provvedimenti.

L’onere probatorio sulla regolare notifica grava sempre sull’amministrazione

Il Collegio ha ricordato il principio, consolidato anche da una precedente pronuncia della Cassazione (la numero 6725 del 2018), secondo cui, se il destinatario contesta di aver ricevuto la raccomandata, spetta al mittente dare prova dell’avvenuta consegna. Nel caso concreto la “cartolina con avviso di ricevimento” recava solo una sigla illeggibile, priva di firma riconducibile al destinatario e senza indicazione di eventuale consegna a convivente. Da ciò l’inefficacia della diffida e la mancata interruzione della prescrizione triennale previsto dall’articolo 32, comma 36, della legge sul terzo condono (Legge n. 326/2003).

Completezza della domanda e dovere di istruttoria

Poiché la pretesa economica del Comune è stata comunicata (se e in quanto comunicata) oltre 12 anni dopo la domanda di condono, il diritto al conguaglio risultava in ogni caso prescritto, rendendo illegittimo il diniego fondato sul “mancato pagamento” di somme ormai non più esigibili.

Come previsto dalla legge sul terzo condono, il Comune ha 36 mesi per chiedere integrazioni obbligatorie. Decorso il termine, l’istanza si considera completa e pertanto eventuali richieste tardive non sospendono il termine prescrizionale e non giustificano il diniego.

A ciò si aggiunga che la parte ricorrente aveva a suo tempo depositato planimetrie, rettifiche catastali e quietanze, così che il Comune avrebbe avuto tutto il tempo di integrare d’ufficio i documenti ex art. 43 d.P.R. 445/2000. La motivazione del diniego – limitata alla formula “carenza documentale” – è stata quindi censurata per difetto assoluto di istruttoria e violazione degli artt. 3, 10 e 10-bis della Legge 241/1990.

Il TAR, da ultimo, ha anche valorizzato la nuova normativa introdotta con il Salva Casa, affermando che, ai sensi dell’articolo 3, comma 2, della Legge n. 105/2024 (quella cioè di conversione del Salva Casa), si consente di riqualificare box-window datate come difformità minori, accedendo di conseguenza alla sanatoria semplificata.

Conclusioni

La decisione del TAR Puglia si inserisce in un solco giurisprudenziale che spinge ad allineare l’interpretazione degli abusi “leggeri” all’attuale assetto normativo. Non è pertanto più sostenibile presumere sempre la creazione di volumetria per la mera presenza di vetri su un balcone.

La giurisprudenza sta quindi spostando l’attenzione dal parametro geometrico (chiusura = volume) al parametro funzionale (uso temporaneo, rimovibilità, assenza d’impianti).

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