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Barriere architettoniche: quando l’inaccessibilità degli edifici rientra nella discriminazione

Barriere architettoniche, discriminazione e tutela dei diritti: cosa dice la Corte di Cassazione?
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Barriere architettoniche: quando l’inaccessibilità degli edifici rientra nella discriminazione

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo 212/2023, noto come “decreto salva Superbonus“, si sono introdotte significative modificazioni all’articolo 119-ter del decreto legislativo 34/2020. Queste nuove disposizioni si concentrano principalmente sul rafforzamento dell’utilizzo del bonus per l’eliminazione delle barriere architettoniche, mirando a garantirne un’applicazione più mirata e corretta. Si stabilisce in particolare quando e se l’inaccessibilità degli edifici, provocata dalle barriere architettoniche, genera discriminazione della disabilità.

In sintesi, il decreto legislativo 212/2023 mira a ottimizzare l’impiego del bonus per l’eliminazione delle barriere architettoniche, assicurando un suo utilizzo più responsabile e mirato. Queste modifiche rappresentano un passo importante verso un utilizzo più efficiente delle risorse pubbliche. Pur tuttavia, è importante monitorare l’implementazione di queste nuove disposizioni per valutarne l’impatto effettivo sul settore edilizio e immobiliare. Non a caso, una recente sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, ha sottolineato quanto sia importate gestire con molta attenzione il bonus barriere architettoniche.

Barriere architettoniche e discriminazione: il caso

Una persona con disabilità, beneficiaria dell’indennità di accompagnamento, ha intentato un’azione legale contro un Comune e una società gestionale per il mancato rispetto della legge 13/1989, in merito alla presenza di barriere architettoniche negli edifici privati che impediva all’interessato di accedere all’abitazione della sorella per oltre un decennio, configurando una situazione di discriminazione.

Il Tribunale e la Corte d’Appello hanno riconosciuto la legittimità della richiesta di risarcimento, condannando il Comune e la società gestionale. Il Comune decide di ricorrere alla Corte di Cassazione, evidenziando la cattiva applicazione dell’articolo 2 della legge 67/2006, che potrebbe essere interpretata come una valutazione errata da parte dei giudici di merito riguardo la configurazione di un comportamento discriminatorio nei confronti della persona con disabilità.

La decisione della Corte di Cassazione

I giudici, con sentenza n. 17138/2023, evidenziano come la Legge n. 67 del 2006 rappresenta un caposaldo nella tutela dei diritti delle persone con disabilità in Italia, integrando e ampliando le preesistenti leggi (Legge n. 104 del 1992 e il dlgs. n. 216 del 2003). La legge 67/2006 è stata concepita per fornire una protezione giurisdizionale estesa alle persone con disabilità, non solo nei contesti lavorativi ma anche in ambiti più ampi della vita sociale.

Il fulcro di questa legislazione è il divieto di discriminazione nei confronti delle persone disabili, che si estende sia ai rapporti pubblici che privati. Nel dettaglio, la legge distingue tra diverse forme di discriminazione.

  • discriminazione diretta: si verifica quando una persona disabile è trattata in modo diverso rispetto a una non disabile, sia in termini legali che di fatto;
  • discriminazione indiretta si manifesta quando norme, criteri o pratiche apparentemente neutrali mettono le persone disabili in una posizione di svantaggio rispetto agli altri.

La discriminazione indiretta è caratterizzata dallo svantaggio imposto al soggetto con disabilità, ma l’identificazione di tale svantaggio richiede un’analisi attenta della connessione tra la condotta denunciata e l’effetto discriminante che ne deriva.

Barriere architettoniche e discriminazione indiretta: un esempio rilevante

La questione delle barriere architettoniche è un esempio rilevante di come la discriminazione indiretta possa manifestarsi. La legge considera l’eliminazione delle barriere architettoniche come un obbligo immediatamente applicabile, sottolineando l’importanza dell’accessibilità fisica come condizione necessaria per l’inclusione sociale.

Per quanto riguarda la difesa dei diritti e i risarcimenti, la legge consente ai soggetti discriminati di richiedere non solo il risarcimento del danno, ma anche l’adozione di provvedimenti per rimuovere gli effetti della discriminazione. Tuttavia, il soggetto discriminato deve fornire elementi che rendano plausibile l’esistenza della discriminazione.

In conclusione la Corte afferma che l’inaccessibilità degli edifici rientra nella discriminazione della disabilità, ma la componente discriminatoria va individuata e provata. Pertanto, il soggetto discriminato deve fornire elementi fattuali che devono rendere plausibile l’esistenza della discriminazione.

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