Sicurezza e Ambiente

Cos’è il rischio residuo e come si calcola?

Il rischio residuo è la probabilità di danno, in certe condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente. Vediamo come si calcola e da quali fattori dipende
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Cos’è il rischio residuo e come si calcola?

Il rischio residuo è la probabilità di danno, in certe condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure a causa di particolari combinazioni di fattori soggettivi e oggettivi, che rimane dopo aver attuato tutte le misure preventive e protettive attuate in seguito alla valutazione dei rischi.

Sommario

Il rischio zero non esiste. Qualsiasi attività umana, dalle faccende domestiche alle esplorazioni spaziali, è esposta al rischio, cioè alla probabilità di subire un danno a causa di un pericolo. Lo scopo della prevenzione è identificare i fattori di rischio e, possibilmente, eliminare la probabilità di danno o almeno ridurla al minimo e sottoporla a controllo.

Nell’ambito della sicurezza e salute negli ambienti di lavoro, il datore di lavoro ha l’obbligo fondamentale, penalmente sanzionato, di assicurare condizioni di lavoro sicure, cioè prive di rischi per quanto sia tecnicamente possibile, ma anche la legge riconosce un limite alla prevenzione: il cosiddetto rischio residuo, cioè la probabilità di danno in certe condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente (fisico, chimico o biologico) oppure a causa di particolari combinazioni di fattori soggettivi e oggettivi (la cd. interazione uomo-macchina-ambiente), che rimane dopo aver attuato tutte le misure preventive e protettive individuate come necessarie in un dato contesto per mezzo della valutazione dei rischi, il processo obbligatorio che tutti i datori di lavoro devono svolgere secondo le modalità indicate negli artt. 28 e 29 del dlgs n. 81/2008, il Testo unico della sicurezza sul lavoro (Tuls).

La valutazione dei rischi

La valutazione dei rischi è una valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività. A conclusione della valutazione dei rischi viene redatto il Documento di valutazione dei rischi (Dvr), dove sono indicati, oltre alle misure tassative previste dalla legge, anche il programma delle misure specifiche e autonomamente scelte dal datore di lavoro, per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza.

Il rischio residuo è quindi relativo a quelle situazioni in cui il pericolo non può essere eliminato completamente, ma la probabilità di danno può essere tendenzialmente ridotta al minimo, (rischio accettabile), utilizzando le opportune soluzioni organizzative o procedurali, coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica, adottate volontariamente e finalizzate al miglioramento delle condizioni di lavoro, soprattutto tramite il controllo delle condizioni ambientali e l’informazione e formazione dei lavoratori potenzialmente esposti.

Il rischio residuo è considerato accettabile quando permette lo svolgimento delle normali attività lavorative in sicurezza. Per calcolare l’accettabilità del rischio residuo occorre distinguere tra i rischi che richiedono una particolare gestione e quelli che non la richiedono. Nel considerare i costi/benefici relativi alla realizzazione di ulteriori misure aggiuntive che rendono il rischio residuo accettabile, occorre ricordare che la legge non ammette considerazioni di natura economica nella scelta delle misure da attuare, ma solo i limiti posti dalle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico.

I criteri per la riduzione del rischio

In via generale, i criteri che devono guidare la costante riduzione dei rischi – anche di quelli residui – sono:

  • programmare la prevenzione in modo che sia coerente e integrativa delle condizioni tecniche produttive dell’azienda, dell’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro;
  • privilegiare la riduzione dei rischi alla fonte, cioè intervenire sul pericolo;
  • dare la priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
  • sostituire ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
  • limitare al minimo il numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;
  • utilizzare in modo limitato gli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro;
  • rispettare i principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo;
  • assicurare la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza;
  • informare, formare e far partecipare attivamente i lavoratori al programma di prevenzione.

Metodi calcolo del rischio residuo

Vediamo di seguito quali sono i metodi di calcolo del rischio residuo.

La matrice di rischio

La matrice di rischio è una rappresentazione visiva del livello di accettabilità del rischio (relativo a una mansione, un’attrezzatura, un ambiente di lavoro), ricavato dal rapporto tra la possibile entità del danno e la probabilità che questo si verifichi.

La matrice del rischio è solitamente rappresentata con una tabella di sedici caselle, che indicano il rapporto tra 4 livelli di Probabilità (asse verticale delle ordinate) e 4 livelli di entità del Danno (asse orizzontale delle ascisse).
Il Rischio iniziale (Ri), ottenuto dalla valutazione P x D può assumere i valori da 1 a 16, distribuiti in quattro categorie: 1. Molto basso, 2. Basso, 3. Medio, 4. Alto.

Per la categoria 1 è sufficiente mantenere la situazione come è, mentre, all’opposto, per la categoria 4, occorre una radicale modifica, in assenza della quale non è consentito svolgere un’attività lavorativa. Le categorie 2 e 3 richiedono una gestione specifica, da inserire nel programma delle misure di prevenzione.

Come avviene la correzione della valutazione del rischio residuo?

L’attuazione di tutte le misure espressamente indicate dalla legge per eliminare/ridurre/controllare uno specifico rischio (ad es. esposizione a rumore o vibrazioni, cadute dall’alto, lesioni dorso-lombari dovute a movimentazione manuale dei carichi, schiacciamento da parti rotanti di macchine ecc.) porta a una correzione della valutazione, declassando i rischi nella categoria più bassa.

Il valore da dare alla correzione può essere stabilito a priori, assegnando un punteggio alle singole misure adottate, oppure è il risultato di una nuova valutazione dei rischi, basata su verifiche empiriche, sul campo. In ogni caso, la matrice finale mostrerà dove permane un rischio residuo accettabile (categoria 1: rischio molto basso) o da tenere sotto controllo (categoria 2: rischio basso). Un rischio residuo di categoria 3: medio non è accettabile e occorre intervenire con misure aggiuntive. Un rischio residuo di categoria 4: alto è una contraddizione in termini e implica l’impossibilità di svolgere un’attività che ne comporti l’esposizione.

Rischio residuo: che cos’è il principio ALARP?

Tutti i metodi di misurazione del rischio (e quindi anche quello residuo), come il principio ALARP (As Low As Reasonably Practicable), portano a una classificazione schematica tra:

  • rischio trascurabile, largamente accettato poiché vi si incorre nell’operatività di tutti i giorni;
  • rischio tollerabile, accettato in considerazione dei benefici che si ottengono accettandolo, a patto di tenerlo sotto controllo con misure aggiuntive;
  • rischio non accettabile, talmente alto che non si può correrlo perché le conseguenze negative sarebbero di gran lunga più rilevanti dei benefici che si otterrebbero nell’accettarlo e nel ricorrere a uno specifico trattamento nel tentativo di ridurlo.

La valutazione costi/benefici che caratterizza il principio ALARP non può essere accettata nella prevenzione dei rischi sul lavoro se riferita al puro dato economico, in quanto il valore della salute è costituzionalmente tutelato e preminente su quello della libertà d’impresa; tuttavia, è interessante utilizzare il metodo di indagine per la costruzione di uno studio ALARP. In sostanza, per ogni scenario di rischio oggetto di valutazione, occorre rispondere alle seguenti domande-chiave:

  • ci sono alternative sono disponibili per eliminare e ridurre al minimo il rischio residuo? Se sì, quali?
  • quali fattori determinano la praticabilità di ogni alternativa di mitigazione del rischio?
  • quanto la mitigazione del rischio è sostanzialmente raggiunta dalla misura?
  • quali risorse sono necessarie per realizzare la misura?
  • la misura dovrebbe essere realizzata anche in altre situazioni simili?
  • quanto tempo richiederebbe la realizzazione della misura?
  • qual è la disponibilità della misura?

La strategia di riduzione del livello di rischio

La strategia di riduzione del livello di rischio deve seguire una gerarchia nelle possibili opzioni, da quella più efficace a quella più complessa. In sostanza, più si interviene a monte, sulle cause primarie del pericolo, meglio è:

1. Eliminare il pericolo;
2. Ridurre il pericolo (e quindi la probabilità di rischio);
3. Controllare il pericolo attraverso misure aggiuntive sui fattori di rischio.

In definitiva, si torna al triplice livello rischio residuo:

  • non tollerabile, qualunque sia il beneficio portato dall’attività rischiosa; intervenire è essenziale, a qualsiasi costo;
  • intermedio, in cui vanno considerati i benefici attesi dalle misure aggiuntive, comparando opportunità e potenziali conseguenze;
  • inferiore, accettabile, non è necessario intervenire, ma occorre comunque un’azione di informazione.

Approccio numerico e approccio qualitativo

L’approccio numerico con cui si esprime la matrice del rischio è tipico di una analisi quantitativa, che misura il livello di severità delle conseguenze in rapporto alla frequenza di accadimento e all’efficienza delle misure di prevenzione, protezione e controllo. Tuttavia, la matrice di rischio può essere usata anche per analisi di tipo qualitativo, se la probabilità e la severità del danno sono espresse in termini qualitativi, condivisi dal gruppo di valutatori e dal management aziendale.

L’approccio qualitativo è particolarmente efficace nelle situazioni in cui l’attività lavorativa varia in funzione delle condizioni oggettive (meteorologiche, stagionali, giorno/notte) o soggettive (squadra, gruppo di lavoro, operatori di diverse imprese e/o di diversa competenza, presenza di giovani apprendisti, stranieri ecc.) o dal tipo di intervento (nuovo o comunque diverso dalla routine). Le variabili possono essere numerose ma solo chi conosce il contesto e gli attori (specialmente il fattore umano) può dare il giusto valore alla probabilità di accadimento di un evento dannoso.

E’ questo, probabilmente, l’aspetto più importante della valutazione dei rischi (anche residui): costruire modelli condivisi sulla base dell’esperienza degli operatori, della conoscenza del processo produttivo e delle buone prassi aziendali (e degli incidenti/infortuni accaduti). Il patrimonio di dati prodotti e registrati nel tempo dall’organizzazione aziendale può rendere più efficaci metodi e strumenti informatici che potrebbero, se applicati automaticamente senza la partecipazione critica degli attori della prevenzione, fornire visioni generiche, a volte di difficile comprensione da parte di chi ha l’obbligo di tradurle in azioni concrete e risultati duraturi.

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