Sicurezza e Ambiente

L’Ecoindustrial designer: una professione rinnovata

I professionisti del design verde sono ancora poco conosciuti in Italia: chi è, di cosa si occupa e come si diventa ecoindustrial designer
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L’Ecoindustrial designer: una professione rinnovata

Ecoindustrial designer suggerisce subito l’idea di una nuova professione composita, nella quale integrare competenze ad altissimo livello tecnico. Conosciamo meglio questa figura professionale in ambito green e capiamo cosa serve per diventarlo.

Sommario

La nuova era green dell’economia

Le nuove istanze del mercato della green economy (domanda e offerta di beni a basso impatto ambientale, eco-sostenibili) ha richiesto un nuovo ventaglio di conoscenze e competenze al professionista che si occupa di design industriale, rinnovandone il ruolo rispetto al passato.

Oggi, infatti, la tutela (e la gestione) dell’ambiente, oltre ad essere diversamente incentivata e legiferata dal nostro legislatore (e, a monte, da quello comunitario) è diventata anche un aspetto irrinunciabile per una fetta sempre più consistente di consumatori, sempre più sensibili alle tematiche dell’ecosostenibilità.

E a questo mercato in espansione occorre rivolgersi, con:

  • servizi a basso impatto ambientale;
  • nuovi processi produttivi, in grado di consumare meno energia e meno risorse naturali possibili, pur sempre aumentando l’efficienza e l’efficacia dei prodotti;
  • nuovi prodotti che, opportunamente concepiti, possono trasformarsi alla fine del loro ciclo di vita, per cominciarne uno nuovo, sottraendosi alla logica dell’usa e getta e, quindi, dal problematico ciclo dei rifiuti.

Sintetizzando: occorre rivolgersi al mercato avendo ben presente il concetto di ciclo di vita.

Il ciclo di vita: Life Cycle Perspective e Life Cycle Assessment

Il ciclo di vita, che nella nuova versione della norma ISO 14001:2015 – relativa ai sistemi di gestione ambientale – ha assunto un ruolo decisamente più importante rispetto al passato, è un approccio concettuale e metodologico fondamentale (non solo) per lo sviluppo di un SGA.

Di fatto, con tale approccio si chiede all’impresa:

  • di considerare, in una visione e con una logica unitarie, tutti gli impatti ambientali connessi ai suoi prodotti/servizi lungo tutte le fasi della loro vita, nonché
  • di valutare e gestire correttamente i processi e le attività.

Alla base di tale nuova visione c’è la convinzione che un approccio improntato al “ciclo di vita” possa migliorare non solo (e non tanto) il SGA, ma anche (e soprattutto) consentire di apportare un contributo determinante allo sviluppo sostenibile e al successo durevole dell’impresa.

Quando si parla di “ciclo di vita”, occorre fare una precisazione, in merito a cosa si intende con l’espressione Life Cycle Assessment, da un lato, e con il concetto di Life Cycle Perspective, dall’altro.

Con il termine Life Cycle Assessment ci si riferisce ad una metodologia di calcolo dell’impronta ambientale di un prodotto/servizio nel suo Ciclo di Vita, basata su un processo oggettivo e puntuale di valutazione dei carichi ambientali connessi al prodotto/servizio considerato, attraverso l’identificazione e la quantificazione dell’energia, dei materiali usati e dei rifiuti prodotti, includendovi – appunto – l’intero Ciclo di Vita: dall’estrazione al trattamento delle materie prime, alla fabbricazione, al trasporto, alla distribuzione, per andare avanti con l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale (“full LCA”).

Assumere una Life Cycle Perspective nell’identificazione, valutazione e gestione dei propri aspetti ambientali significa adottare un approccio volto a considerare i processi produttivi e il loro impatto sull’ambiente in una prospettiva che trascende i ristretti confini del luogo ove si svolge la produzione in senso stretto, e prendere anche in esame tutte la fasi, a monte e a valle della produzione, dalla progettazione, alla distribuzione, al consumo, etc. fino al “fine vita” dei prodotti e servizi, indipendentemente dal luogo dove materialmente si svolgono tali fasi e dai soggetti cui fa capo principalmente la responsabilità di conduzione di tali attività (designer, trasportatori, retailer, smaltitori, etc.) che sono, nella gran parte dei casi, entità ben distinte dall’organizzazione che si certifica.

Cosa fa l’ecoindustrial designer

Questo è il contesto in cui si sono sviluppare nuove discipline come:

  • la Life Cycle Analysis (LCA), ovvero l’analisi del ciclo di vita dei prodotti e
  • il Sustainable Product Design (SPD), ossia la capacità dei progettisti di includere, nella creazione di nuovi prodotti, non solo gli aspetti ambientali ma anche quelli sociali ed etici.

Il settore in cui l’ecoindustrial designer opera è proprio quello della produzione di beni ad impatto ambientale progressivamente minore: stiamo parlando di oggetti destinati a essere prodotti in serie, dalle auto agli arredi fino agli elettrodomestici e ai gadget e che, proprio per i loro numeri, hanno un impatto notevole sull’ambiente.

Per questo, progettare beni prevedendo utilizzi futuri degli stessi, o facilitarne le modalità di recupero, non può che diminuirne l’impatto sull’ambiente, facilitando la sostenibilità.

Nelle varie fasi della progettazione di un bene di consumo, l’eco-industrial designer o disegnatore industriale sostenibile:

  • segue l’intera filiera del prodotto, dal bozzetto iniziale alla produzione e immissione sul mercato;
  • si occupa della scelta dei materiali da usare, dell’ergonomia e della loro sicurezza dei prodotti;
  • deve tenere conto del fatto che ciascuno di questi elementi oggi è sottoposto a norme di sicurezza ambientale;
  • si tiene informato sulla normativa di settore, in particolare quella concernente le varie etichettature;
  • cura il packaging del singolo prodotto (la riduzione degli imballi può ridurre i costi di trasporti, sia in termini di consumi di carburante che di spazio);
  • si interfaccia con il marketing: l’eco-industrial designer deve essere consapevole, infatti, che una buona parte del successo di un prodotto sul mercato è determinato dalla percezione che il pubblico ne ha.

Per questo risulta fondamentale far percepire il valore aggiunto, anche in termini di sostenibilità, del prodotto realizzato, attraverso un marketing e una comunicazione integrati.

Attitudini e formazione

Chi intende lavorare in questo settore deve necessariamente disporre di inventiva, fantasia e senso estetico.

I percorsi formativi sono diversi: è possibile infatti lavorare avendo conseguito il diploma da geometra, da perito meccanico, elettronico, elettrotecnico, grafico ecc. seguendo poi un corso di specializzazione in disegno tecnico al computer, oppure si può arricchire il proprio percorso formativo attraverso la laurea, preferibilmente in disegno industriale – anche se architettura e ingegneria possono offrire diversi e ulteriori livelli di preparazione.

La conoscenza delle tecniche di utilizzo del sistema CAD/CAM è indispensabile.

L’ecoindustrial designer o disegnatore industriale verde deve avere conoscenza del panorama normativo ambientale e dei diversi marchi di certificazione ed essere informato sulle innovazioni di prodotto e di processo relative alla sostenibilità ambientale.

In ogni caso, come avviene in quasi tutti i settori, oggigiorno, “la formazione professionale permanente è un requisito previsto dalla Legge 14 gennaio 2013, n. 4, per chi esercita una professione che non sia organizzata in un albo, come quella del designer.

Per un’associazione prevedere per i propri soci un programma obbligatorio di formazione permanente è un requisito indispensabile per far parte dell’elenco delle associazioni delle professioni non organizzate, pubblicato dal ministero dello Sviluppo Economico in base alla stessa legge, che dà all’associazione la piena rappresentanza professionale. L’ADI, nel suo Statuto (art. 3), prevede perciò l’obbligo della formazione continua e permanente per tutti i soci” (così si legge sul sito dell’ADI, l’Associazione per il Disegno Industriale).

Sbocchi professionali

La professione prevede diversi livelli di carriera e molteplici tipologie d’impresa a cui rivolgersi, dall’industria automobilistica alla fabbrica di gadget, svolgendo l’attività come dipendente o lavoratore autonomo.

Le prospettive di lavoro sono distribuite sul territorio in maniera favorevole laddove esistono distretti industriali a più elevato tasso di tecnologia.
In generale è una professione in crescita.

L’eco industrial designer lavora sia come libero professionista sia alle dipendenze di studi o aziende più grandi.

Ci sono infatti realtà produttive molto importanti che hanno al loro interno un intero gruppo di lavoro che si dedica al design industriale verde.
I settori maggiormente promettenti sono quelli legati alla moda, all’automobile, all’oggettistica per la casa.

Di recente anche piccole realtà artigianali si stanno rivolgendo a eco industrial designer per proporre qualcosa di nuovo che li aiuti a distinguerli su mercati altamente concorrenziali.

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