I materiali lapidei naturali hanno sempre avuto un grandissimo fascino grazie alla loro molteplicità di colori, texture e venature.
Le varietà più ricercate erano ovviamente i marmi, porfidi, brecce, graniti e alabastri più esotici e pregiati, che i Romani importavano da tutte le provincie dell’impero facendone un vero e proprio status symbol per i ceti dominanti: alcuni, particolarmente rari e preziosi, vennero addirittura riservati alla famiglia imperiale e assunsero un significato simbolico preciso.
L’opus sectile nell’architettura romana e bizantina
Le principali applicazioni delle pietre ornamentali nell’architettura romana riguardavano l’esecuzione di rivestimenti parietali in grandi lastre; statue, colonne ed elementi architettonici quali trabeazioni, clipei o balaustre; l’impermeabilizzazione di vasche e fontane o la realizzazione di pavimenti intarsiati in opus sectile.
Questa tecnica è menzionata per la prima volta da Vitruvio, mentre Plinio il Vecchio ne data l’invenzione al IV secolo avanti Cristo. Si tratta di una lavorazione semplice ma che richiede una grande precisione: la pietra è infatti tagliata in sottili lastrine dalle forme prestabilite chiamate sectilia, che successivamente vengono accostate e fissate con la malta per comporre la decorazione desiderata. Il risultato è un pannello perfettamente piano e regolare al tatto, lucido e variopinto grazie al diverso orientamento delle venature e all’uso di varie qualità di marmo; per una maggiore ricchezza cromatica a volte si inserivano anche elementi di cotto o pasta vitrea.
Foto 1 – Lacerto di pavimento in opus sectile con esagoni regolari di colore nero su sfondo bianco: simili pavimenti erano ritenuti di poco pregio e perciò diffusi anche nelle domus più modeste
Foto 2 – Resti di un ricco pavimento in opus sectile a motivi geometrici: un tappeto centrale con un motivo a cubi prospettici bordato da un’alta fascia di quadrati concentrici
Foto 3 – Particolare del pavimento in opus sectile del tempio di Apollo di Pompei (II secolo a.C.), con un motivo di cubi prospettici bianchi, grigi e blu
Le tipiche decorazioni in opus sectile sono costitute da motivi geometrici come esagoni regolari (Foto 1), cerchi, stelle, losanghe, quadrati (Foto 2) o cubi prospettici (Foto 2 e 3).
La preziosità di questi pavimenti dipendeva dalla superficie complessiva, dalle dimensioni delle lastre e dal numero e varietà delle pietre utilizzate: negli edifici pubblici commissionati dall’imperatore (ad esempio le Terme di Caracalla) e nelle dimore dell’aristocrazia sono infatti attestati pavimenti in grandi lastre di molte varietà lapidee, mentre nelle case più modeste si ripiegava su marmi italiani e tasselli di piccolo formato.
Non era inoltre raro che all’opus sectile venisse riservato il solo emblema, cioè la porzione centrale della pavimentazione riccamente decorata con scene a mosaico o appunto tarsie in pietra e pasta vitrea.
Foto 4 – Pregevole pavimento a mosaico e opus sectile ritrovato in una ricca domus riminese: le due tecniche di esecuzione evidenziano le funzioni attribuite a ciascuna zona della stanza
Un altro effetto molto elegante prevede l’accostamento di mosaico e tarsie lapidee, di solito per evidenziare le diverse funzioni attribuite a ciascuna zona della stanza.
Di particolare pregio è ad esempio il pavimento di un ambiente di rappresentanza – probabilmente un oecus o un triclinio – ritrovato in una domus riminese (Foto 4): la fascia di bordo, destinata al passaggio o all’alloggiamento dei letti tricliniari, ostenta un semplice mosaico geometrico in bianco e nero, mentre il centro è impreziosito da un motivo di cerchi, ottagoni e losanghe inscritti in una maglia modulare di quadrati. Il tutto è realizzato con almeno cinque varietà di marmo e raccordato al mosaico con una bordura a treccia di esecuzione raffinata.
In epoca più tarda sono attestati anche esempi di pannelli in opus sectile con scene figurative, tra cui ad esempio le decorazioni provenienti dalla basilica di Giunio Basso (IV secolo dopo Cristo) con scene trionfali o mitologiche, elementi architettonici (clipei, tripodi e drappi di tessuto) e raffigurazioni di animali.
Le tarsie lapidee tardo-antiche e medievali
Con le invasioni barbariche e la caduta dell’impero romano l’importazione di marmi rari dalle provincie più lontane si interruppe.
Per procurarsi i materiali necessari alla costruzione delle chiese si cominciò perciò a spogliare sistematicamente gli edifici antichi abbandonati dei materiali ritenuti più preziosi: soprattutto statue, colonne, capitelli, lastre di pietre rare (Foto 5) e ovviamente i sectilia.
Foto 5 – Battistero Neoniano di Ravenna (metà del V secolo): nella vasca per i battesimi a immersione sono incastonate alcuni elementi architettonici di spoglio in porfido rosso
Compare inoltre una spiccata preferenza per due varietà di pietra:
– il porfido rosso (anticamente noto come lapis porphyrites o lithos romaion), di colore rosso intenso simile alla porpora imperiale;
– il porfido verde antico, proveniente da alcune cave vicine a Sparta e perciò chiamato lapis lacedemonius, caratterizzato da uno sfondo uniforme verde scuro con cristalli gialli o verde chiari grandi come chicchi di riso.
Questi materiali si trovano infatti abbinati in numerose decorazioni architettoniche ed è perciò probabile che simboleggiassero rispettivamente il potere temporale di re e imperatori (porfido rosso) e il potere spirituale della chiesa (porfido verde), ritenuti complementari fin dall’alto Medioevo.
Foto 6 – Battistero Neoniano di Ravenna (metà del V secolo): decorazione basamentale con lastre e rotae di porfido rosso e porfido verde antico di recupero
Foto 7 – Battistero Neoniano di Ravenna (metà del V secolo): particolare delle bordure delle lastre con motivi in madreperla ispirati alle decorazioni delle stoffe
Gli esiti qualitativi sono molto vari: nella parte basamentale del Battistero Neoniano di Ravenna (metà del V secolo) troviamo ad esempio una splendida decorazione in opus sectile di grandi lastre e rotae – dischi ottenuti segando una colonna – in porfido rosso e verde (Foto 6), circondati da raffinati bordi in madreperla ispirati alle decorazioni delle stoffe (Foto 7).
Nella facciata esterna della Basilica di Santo Stefano a Bologna (VIII-XI secolo) si nota invece una decorazione assai più rozza, sebbene dagli esiti visivi decisamente interessanti, formata da murature con tessitura a spina di pesce, dischi con motivi a stella e losanghe campite da scacchiere di piccoli quadrati. I materiali sono molto semplici: elementi in cotto rosso e giallo, lastrine di calcare bianco, tessere di pasta vitrea e un singolo, minuscolo frammento di porfido verde antico che – per non sprecare nulla – è stato inserito con i bordi non rettificati (Foto 8) (Foto 9).
Foto 8 – Basilica di Santo Stefano a Bologna (VIII-XI secolo): particolare della rozza decorazione di facciata con murature a spina di pesce, dischi di cotto rosso e giallo, sectilia di recupero e losanghe con scacchiere di frammenti in pietra
Foto 9 – Frammento di porfido verde antico nella decorazione della facciata della Basilica di Santo Stefano a Bologna, inserito con i bordi non rettificati per evitare sprechi
Le decorazioni architettoniche costituite da tarsie in pietra anche molto elaborate sono attestate su larga scala anche in alcune varianti regionali del romanico.
Sono ad esempio uno degli elementi caratterizzanti del romanico pisano, in cui compaiono sotto forma di quadrati, losanghe o rosoni con motivi geometrici oppure vegetali.
Una decorazione molto ricorrente – visibile ad esempio nel sopraluce del portale principale della chiesa di San Paolo all’Orto – è formata da una stella a molte punte entro una cornice circolare con una fuga di triangoli (Foto 10).
In altri casi come il Duomo troviamo invece vere e proprie epigrafi con la rappresentazione di animali, figure umane stilizzate e intrecci vegetali (Foto 11).
I materiali sono di reperimento assai comune: marmo bianco di Carrara, marmo verde di Prato, calcare rosso ammonitico ed elementi in cotto. Anche il metodo di esecuzione si differenzia nettamente dagli esempi antichi: a differenza dell’opus sectile propriamente detto, le decorazioni erano eseguite inserendo i tasselli colorati dentro gli incavi appositamente praticati in una lastra in marmo.
Foto 10 – Chiesa di San Paolo all’Orto di Pisa: particolare delle tarsie lapidee della facciata principale (foto di Alessandro Ticci)
Foto 11 – Particolare di un’epigrafe intarsiata e decorata con raffigurazioni di animali, figure umane stilizzate e intrecci vegetali sulla facciata principale del Duomo di Pisa (foto di Alessandro Ticci)
Foto 12 – Basilica di San Nicola a Bari: particolare di un motivo a stella su uno sfondo a mosaico con tessere di pietra, vetro e cotto
La stessa tecnica di esecuzione si nota anche in alcuni esempi di romanico pugliese come la chiesa di San Nicola a Bari, nelle cui murature esterne sono incastonate piccole formelle con stelle a otto punte sullo sfondo di un mosaico di piccole tessere in marmo bianco, cotto rosso e pasta vitrea blu (Foto 12).
Tipici del romanico pugliese sono inoltre alcuni pavimenti assai più semplici dei modelli antichi.
Si presentano come vaste superfici suddivise in pannelli quadrati o rettangolari campiti con piastrelle di piccolo formato con motivi modulari come scaglie, esagoni, petali di fiore, quadrati, cerchi, ottagoni e losanghe, il tutto in poche varietà di pietra di recupero o di origine locale (Foto 13 e 14).
Foto 13 e 14 – Particolari del pavimento in pietra della chiesa di Santa Maria del Buonconsiglio a Bari
Foto 13 e 14 – Particolari del pavimento in pietra della chiesa di Santa Maria del Buonconsiglio a Bari
I pavimenti cosmateschi sono invece assai più ricchi ed elaborati: tipici dell’architettura romana e laziale del XIII secolo, sono però attestati anche in altre zone tra cui Ravenna.
Il loro tratto più caratteristico è l’alternanza di grandi dischi, bordure di calcare bianco e zone con campiture formate da minuti elementi a triangolo, stella, esagono o losanga.
I motivi ornamentali ricorrenti sono tre:
– i quinconce, una composizione di cinque cerchi, uno grande centrale e quattro di dimensioni inferiori su ciascun lato (Foto 15);
– la guilloche, una serie di rondelle collegate da fasce e motivi a intreccio;
– le partizioni reticolari, formate da campiture quadrate o rettangolari con motivi di tappeti.
Queste decorazioni non sono casuali, ma dipendono strettamente dai materiali a disposizione: colonne antiche di granito o marmi rari che venivano tagliate in sottili dischi e lastre o sectilia di recupero da cui si ricavano i pezzi più minuti.
I materiali tendenzialmente sono perciò rari e preziosi: porfido rosso e verde, marmo giallo, brecce esotiche e granito (Foto 16).
Foto 15 – Un motivo a quinconce del pavimento in stile cosmatesco della Basilica di San Vitale a Ravenna
Foto 16 – Particolare del pavimento di ispirazione cosmatesca della Basilica di San Vitale a Ravenna: si noti l’uso di materiali rari come brecce, graniti, porfido rosso e verde e marmo giallo
Nel tardo medioevo su alcune murature compaiono decorazioni in grandi lastre a motivi modulari: scaglie e losanghe nelle porzioni più antiche della Basilica Palladiana di Vicenza (Foto 17) oppure quadrilobi e un reticolo quadrato in due chiese di Perugia (Foto 18 e 19). È uno stile semplice ma elegante che presuppone l’uso di pietre facilmente reperibili (ad esempio il calcare ammonitico bianco e rosa).
Foto 17 – Particolari delle decorazioni modulari sulle murature della porzione più antica della Basilica Palladiana di Vicenza
Foto 18 – Particolare della decorazione a maglie quadrate sulla facciata principale della chiesa di Sant’Agostino a Perugia (foto di Alessandro Ticci)
Foto 19 – Particolare della decorazione a quadrilobi sulla facciata laterale del Duomo di Perugia (foto di Alessandro Ticci)
Le decorazioni in pietra nel Rinascimento
L’uso della pietra nella decorazione architettonica prosegue anche nel XV secolo, al punto che Filippo Brunelleschi fece della bicromia bianco-grigia prodotta dall’accostamento tra l’intonaco e la pietra serena uno degli elementi distintivi dell’architettura rinascimentale fiorentina.
In questo periodo la pietra viene quindi utilizzata soprattutto per le membrature architettoniche come marcapiani e marcadavanzali, lesene e paraste, cornici delle finestre, timpani, lunette e bugnati.
Foto 20 – Palazzo Bentivoglio a Ferrara: si noti il motivo a denti sega tratto dal blasone di famiglia nel portale principale, nelle lunette delle finestre del piano terra e nel marcadavanzale del primo piano (foto di Alessandro Ticci)
Molto interessanti sono inoltre alcune applicazioni settoriali come l’uso di stemmi e temi araldici nelle decorazioni di facciata: ad esempio in vari punti della facciata principale del Palazzo Bentivoglio di Ferrara compare un motivo ornamentale a denti di sega bianchi e rossi ripreso blasone di famiglia (Foto 20).
Foto 21 – Castello del Buonconsiglio (Trento): decorazione di ispirazione umanistica e filosofica con clipeo in pietra nera, lastre di calcare ammonitico rosa e il famoso motto “conosci te stesso” scritto in greco e latino
Nel Castello del Buonconsiglio di Trento compare invece una decorazione di ispirazione umanistica e filosofico: un clipeo bombato in lucida pietra nera simile agli specchi convessi già diffusi nel tardo Medioevo (ne troviamo uno ad esempio ne Il ritratto dei coniugi Arnolfini dipinto da Jan van Eyck nel 1434) incastonato in un quadrato di calcare rosa e circondato da una fascia in pietra bianca con inciso il famoso motto greco e latino “γνῶθι σαυτόν/idest cognosce te ipsum” (conosci te stesso – Foto 21).
Bibliografia
– Pietre e marmi antichi. Natura, caratterizzazione, origine, storia d’uso, diffusione, collezionismo, a cura di Lorenzo Lazzarini, CEDAM