Edilizia e Urbanistica

La destinazione d’uso funzionale: cosa comporta?

Che cosa si intende per mutamento d’uso funzionale? Quali sono gli effetti? Ecco la guida sul tema
Condividi
La destinazione d’uso funzionale: cosa comporta?
Il mutamento di destinazione d’uso del patrimonio edilizio esistente, che si consegue senza la realizzazione di opere, può essere definito mutamento funzionale. In tal caso, il cambio destinazione uso può essere realizzato attraverso la semplice Segnalazione Certificata Inizio Attività. L’architetto Roberta Distinto, affronta il tema nel volume “Abusi edilizi”edito da Wolters Kluwer e in questa guida approfondisce il tema della destinazione d’uso funzionale. Il contenuto di seguito è tratto e rielaborato dal volume, già disponibile per l’acquisto su Shop.Wki.it. Per consultare l’indice o acquistare, clicca il box di seguito La nuova destinazione d’uso, anche se realizzata senza l’esecuzione di opere edilizie, deve essere consentita dagli strumenti urbanistici vigenti, per la zona territoriale omogenea, di cui al decreto interministeriale 1° aprile 1968, n. 1444 su cui insiste l’immobile oggetto di intervento. In linea di principio e fatte salve le eventuali normative regionali, il mutamento di destinazione d’uso assume rilevanza, sotto il profilo urbanistico ed edilizio, solo se collegato all’esecuzione di opere tese a rendere l’immobile strutturalmente idoneo a un uso differente dal precedente. Diversamente il mutamento d’uso cosiddetto funzionale deve ritenersi libero, ossia non soggetto ad alcun provvedimento concessorio o autorizzatorio. In altre parole, sempre che l’intervento non necessiti la realizzazione di opere edilizie, un fabbricato esistente può essere destinato a qualsiasi funzione, in via di fatto, senza richiedere il permesso dell’amministrazione comunale. Leggi l’articolo della stessa autrice “Il mutamento d’uso urbanisticamente rilevante”

Effetti del mutamento d’uso funzionale

Il mutamento funzionale produce un cambiamento tendenzialmente reversibile che non incide permanentemente sugli assetti edilizi dell’immobile né su quelli urbanistici, anche se almeno sul piano del fabbisogno degli standard non è del tutto privo di effetti. Si pensi ad esempio al fenomeno della terziarizzazione dei centri storici provocato dal cambio d’uso di interi fabbricati residenziali e alle ricadute sul fabbisogno quantitativo e qualitativo di attrezzature pubbliche e/o di uso pubblico che variano per tipologia e quantità. (Cons. Stato, V, 19 giugno 2006, n. 3586). Sempre ai sensi della recente giurisprudenza, sebbene il mutamento di destinazione d’uso senza opere non possa essere oggetto di concessione edilizia ovvero di autorizzazione (in difetto delle leggi regionali attuative), lo stesso deve essere comunque assoggettato al pagamento del contributo concessorio, nella misura pari alla differenza tra l’onere sopportato in sede di rilascio dell’originaria concessione edilizia e quello maggiore correlato alla destinazione introdotta. “La modifica della destinazione d’uso dell’immobile oggetto di costruzione comporta l’onere del pagamento del contributo di urbanizzazione, indipendentemente dalla realizzazione di nuove opere edilizie” (Consiglio di Stato, Sez. V, decreto n. 529 del 23 maggio 1997). Non risultano, invero, precedenti afferenti al caso in cui la nuova destinazione costi meno di quella originaria e, quindi, che considerino il diritto del concessionario di vedersi restituito l’onere pagato in esubero.

Zona omogenea in cui interviene il cambio d’uso

La destinazione d’uso caratterizza funzionalmente l’immobile ed è segnata dagli strumenti urbanistici di pianificazione o di attuazione della pianificazione, nell’ambito delle categorie generali di uso urbanistico previste dalle norme vigenti; pertanto la destinazione d’uso non è altro che la funzione a cui può assolvere un immobile e che viene consentita dal P.R.G. per ciascun ambito territoriale. I Comuni indicano, attraverso lo strumento urbanistico generale, le destinazioni d’uso non ammissibili rispetto a quelle principali di singole zone omogenee o immobili. In tutti gli altri casi il mutamento di destinazione d’uso è ammesso. Sempre a livello di piano regolatore, i Comuni saranno altresì tenuti a indicare in quali casi le trasformazioni con opere di aree e di edifici ammissibili attuati con opere edilizie comportino un aumento, ovvero una variazione del fabbisogno di standard. Per quanto riguarda i mutamenti di destinazioni d’uso ammissibili non comportanti la realizzazione di opere edilizie, le suddette indicazioni possono concernere esclusivamente i casi in cui le aree o gli edifici vengano adibiti a sede di esercizi commerciali non di vicinato (aventi superficie espositiva superiore a 150, ovvero a 250 mq, nei Comuni, rispettivamente, con popolazione inferiore e superiore a 10.000 abitanti).
Condividi

Potrebbero interessarti

Decreto Salva Casa

Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 124 del 29 maggio 2024 il Decreto Legge 29 maggio 2024, n. 69 recante “Disposizioni urgenti in materia di...

Nuovo Codice appalti

Un vero e proprio cambio di paradigma, mirato a ristabilire un equilibrio tra la necessità di velocizzare le procedure di appalto e...