Architettura

Il trattamento delle lacune nelle superfici di architettura

Metodi operativi e criteri base per la reintegrazione di lacune e mancanze nella decorazione architettonica
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Il trattamento delle lacune nelle superfici di architettura

La norma UNI 11182 sulla classificazione del degrado dei materiali lapidei naturali e artificiali definisce le lacune come “perdita di continuità di superfici” relativa a elementi bidimensionali o decorati come affreschi, mosaici, rivestimenti in opus sectile, tarsie in legno o pietra, pavimenti e così via. Con il termine mancanza si intende invece una “perdita di elementi tridimensionali”: ad esempio il braccio di una statua, la porzione di una modanatura di intonaco sagomato oppure di un fregio o bassorilievo in stucco o cotto.
Si tratta dunque di concetti affini ma non sovrapponibili.

Lacune e mancanze sono un grave ostacolo per la conservazione e fruizione di un edificio storico o un’opera d’arte, perché costituiscono una via preferenziale per la penetrazione di acqua, vegetazione ed elementi patogeni con conseguente aumento del degrado; inoltre compromettono seriamente la lettura e comprensione delle superfici decorate, con una perdita parziale del loro significato originario.

Il “problema delle lacune”, uno dei temi fondamentali del restauro

Il corretto trattamento di lacune e mancanze è perciò uno dei temi più ricorrenti nel restauro architettonico a livello sia teorico che pratico.
Dal punto di vista teorico è stato infatti uno dei problemi più dibattuti da generazioni di critici d’arte e teorici del restauro, arrivando a influenzare i principi fondamentali di questa disciplina attualmente condivisi (compatibilità, reversibilità, minimo intervento e riconoscibilità). Dal punto di vista pratico le scelte progettuali sulla reintegrazione delle lacune sono invece uno degli aspetti caratterizzanti di qualsiasi intervento.

Non esiste un metodo standardizzato valido per ciascun caso, perché la decisione se e come risarcire le lacune dipende strettamente da diversi fattori tra cui la loro forma ed estensione, i materiali, la tecnica di esecuzione della superficie, l’epoca e lo stile di riferimento e soprattutto la tipologia della decorazione.
Le lacune di un affresco con una scena figurativa molto dettagliata sono infatti assai più difficili da trattare rispetto a quelle di una decorazione geometrica o di un partito architettonico simmetrico, mentre le lacune piccole pongono meno problemi rispetto a quelle estese e articolate.

Il trattamento delle lacune e i principi del restauro

Il trattamento delle lacune, come qualsiasi altra operazione, deve inoltre rispettare i principi del restauro.
La sarcitura di una lacuna dev’essere infatti compatibile con l’opera dal punto di vista chimico, fisico ed estetico. Vanno quindi evitati sia i materiali incompatibili con le tecniche costruttive tradizionali come il cemento e il cemento armato, sia gli interventi di ripristino troppo spinti che possono restituire immagini fuorvianti: un esempio famoso sono gli affreschi della reggia di Cnosso ricostruiti da Evans sulla base di piccoli frammenti (Foto 1).

Foto 1 – Le strutture architettoniche e le decorazioni interne della reggia di Cnosso (Creta) sono state “reintegrate” – o meglio praticamente ricostruite ex novo – da Arthur Evans sulla base di pochi resti, restituendo un’immagine fuorviante che ci appare come un vero e proprio falso

L’integrazione dev’essere anche reversibile, cioè rimovibile senza danneggiare le porzioni conservate. Si tratta di un obiettivo complesso che si cera di raggiungere con l’uso di tecniche “leggere” come la pittura ad acquerello.
Sono poi fondamentali i concetti di minimo intervento con l’uso di soluzioni poco invasive e la riconoscibilità dell’integrazione, che dev’essere chiaramente distinguibile dalle parti originali.
Si tratta di due principi strettamente correlati che meritano alcune riflessioni: in teoria sarebbero entrambi soddisfatti semplicemente risarcendo le lacune con un intonaco grezzo.

Foto 2 – Finte tappezzerie e fregi di epoca medievale del Castello di Avio (Trento) con ampie lacune non reintegrate, che disturbano notevolmente la lettura dei dipinti: in questi casi, poiché i motivi a base modulare sono facilmente ricostruibili, sarebbe forse risultata più opportuna la reintegrazione con colori sottotono e semplificazione del disegno

Foto 3 – Finte tappezzerie e fregi di epoca medievale del Castello di Avio (Trento) con ampie lacune non reintegrate, che disturbano notevolmente la lettura dei dipinti: in questi casi, poiché i motivi a base modulare sono facilmente ricostruibili, sarebbe forse risultata più opportuna la reintegrazione con colori sottotono e semplificazione del disegno

Foto 4 – Finte tappezzerie e fregi di epoca medievale del Castello di Avio (Trento) con ampie lacune non reintegrate, che disturbano notevolmente la lettura dei dipinti: in questi casi, poiché i motivi a base modulare sono facilmente ricostruibili, sarebbe forse risultata più opportuna la reintegrazione con colori sottotono e semplificazione del disegno

E in effetti – come vedremo nel prossimo paragrafo – questo è uno dei metodi comunemente utilizzati, tuttavia con risultati spesso deludenti per tre motivi:

  1. si abbassa il valore percettivo del dipinto, che tende a diventare un semplice sfondo per le lacune, spesso la prima cosa ad essere notata;
  2. si compromette la leggibilità dell’opera, soprattutto nel caso di scene figurative molto frammentate (un tipico caso è ad esempio un personaggio a figura intera di cui si è perduta la porzione centrale del corpo), decorazioni modulari come le finte tappezzerie dipinte (Foto 2 e 3), fregi (Foto 4) o elementi architettonici dipinti a trompe l’oeil;
  3. si perde l’originario valore architettonico dell’edificio, quasi sempre strettamente correlato alle sue decorazioni come nel caso delle facciate affrescate o delle finte architetture dipinte sulla parete del cortile opposta all’ingresso principale dei palazzi gentilizi per dilatare lo spazio.

I metodi più comuni per l’integrazione delle lacune pittoriche

Ciò premesso, esistono numerosi metodi per la reintegrazione delle lacune pittoriche, ciascuno dei quali risulta particolarmente adatto in alcune situazioni.
Rigatino – Inventato dai professionisti dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma, prevede l’esecuzione di un fitto tratteggio di sottili linee verticali (da cui il nome) che assicura il collegamento cromatico tra la lacuna e le porzioni circostanti, ricostruendo se necessario la decorazione.
Selezione cromatica – Molto simile alla tecnica pittorica del puntinismo, consiste nella progressiva stesura di piccoli tratti o puntini di colori puri, che, sovrapposti e osservati da una certa distanza, danno vita al colore desiderato. É molto diffusa nell’integrazione delle superfici dorate applicando in successione un tratteggio di colore giallo, rosso e verde (selezione effetto oro).
Si tratta dunque di due tecniche simili, che danno luogo a integrazioni impercettibili da lontano ma chiaramente identificabili a un’osservazione ravvicinata.
Reintegrazione con colori sottotono – Prevede la sarcitura della lacuna riprendendo fedelmente il motivo originario con colori volutamente più chiari. Inoltre, per agevolare il lavoro del restauratore e rendere più riconoscibile l’intervento le porzioni ricostruite vengono generalmente semplificate con l’omissione dei ricami delle vesti, delle sfumature e dei particolari più minuti (Foto 5 e 6).
Un metodo affine, ma a mio parere ormai poco comune, consiste nel ridisegnare le porzioni perdute con semplici tratti neri, con un risultato finale simile a una sinopia (Foto 7).

Foto 5 – Finta tappezzeria rinascimentale con due diversi trattamenti delle lacune: le lacune dell’intonaco sono state volutamente lasciate prive di integrazione, mentre quelle della pellicola pittorica sono state risarcite con l’uso di colori sottotono e l’omissione dei motivi damascati

Foto 6 – Finta tappezzeria medievale con motivi araldici e fitomorfi: la reintegrazione delle lacune con colori leggermente in sottotono e la semplificazione del motivo mediante l’omissione del leopardo centrale rende la decorazione perfettamente comprensibile

Foto 7 – Fregio rinascimentale con piccole lacune reintegrate mediante il ripristino del disegno con spessi tratti di colore nero: l’effetto finale è simile a una sinopia

Reintegrazione imitativa – Consiste nella fedele ricostruzione delle porzioni perdute senza alcuna differenziazione dalle parti originali: è un metodo da valutare con prudenza perché contraddice il principio della riconoscibilità dell’intervento (Foto 8).

Foto 8 – Finta tappezzeria medievale a soggetto araldico con reintegrazione imitativa delle lacune: il riconoscimento delle parti originali è difficile

Astrazione cromatica – Presuppone il collegamento esclusivamente cromatico alle porzioni circostanti del dipinto con stesure progressive e sovrapposte di colore puro. A differenza del rigatino e della selezione cromatica non si tenta la ricostruzione del disegno ma si individua una cromia che riprenda i toni dominanti del dipinto per attenuare la visibilità delle lacune. Si utilizza generalmente per lacune estese e tali da non consentire la ricostruzione certa del motivo.

Reintegrazione a neutro – Sarcitura di lacune con un intonaco grezzo o velature di colori uniformi in toni neutri come bianco o beige, usata soprattutto per lacune molto estese o dipinti di cui si conservano lacerti. L’integrazione può essere in sottosquadro per evidenziare lo spessore dell’intonaco (Foto 9) oppure a raso (Foto 10) con la pellicola pittorica superficiale.

Foto 9 – Affresco medievale a soggetto militare con sarcitura delle lacune a neutro in sottosquadro

Foto 10 – Lacerti di un intonaco affrescato del XV secolo con integrazione delle lacune a neutro mediante velatura a raso con la pellicola pittorica superficiale

Esistono alcuni criteri base per stabilire il giusto grado di integrazione e la tecnica più adatta per ciascun caso:
1) Il rigatino e la selezione cromatica si prestano all’integrazione di piccole lacune perché di esecuzione molto lunga e laboriosa, mentre la reintegrazione con colori sottotono, più pratica e veloce, viene usata per la ricostruzione di porzioni molto estese. In ogni caso la lacuna dev’essere ricostruibile con esattezza, come nel caso di cornici, bordure, elementi architettonici o motivi modulari.

2) Le integrazioni a neutro sono il metodo migliore:
– per non occultare le lacune significative dal punto di vista storico e documentario, come nel caso della picchiettatura di un intonaco successivamente nascosto da una decorazione più recente (Foto 11), dell’asportazione intenzionale di un volto o stemma a scopo di damnatio memoriae o di eventi traumatici (ad esempio le lesioni prodotte da un terremoto o le scheggiature dovute ai proiettili di una battaglia);
– per trattare gli intonaci e i dipinti parietali di cui si conservano pochi resti, perché eseguire un sistematico ripristino darebbe vita a veri e propri falsi (Foto 12);
– quando sono visibili lacerti appartenenti a due o più affreschi di epoche diverse.

Foto 11 – Affresco medievale fittamente picchiettato: l’integrazione a neutro o con colori in sottotono di queste piccole lacune evidenzia la scalpellatura dovuta alla sovrapposizione di un intonaco più recente, sottolineandone la storia

Foto 12 – Intonaco decorato probabilmente ottocentesco con un motivo a scaglie tridimensionali: l’integrazione delle ampie lacune, eseguita a neutro con un intonaco dello stesso colore di quello originario, preserva la leggibilità del fronte pur evidenziando l’intervento

3) Una buona soluzione per la ricostruzione di fregi e partiti architettonici è infine l’uso combinato di colori in sottotono o reintegrazioni imitative e semplificazione delle forme: in questo modo si preserva la lettura dell’insieme senza tralasciare la riconoscibilità dell’intervento (Foto 13).

Foto 13 – Fregio cinquecentesco con finte mensole, grottesche e scene figurative racchiuse da cornici: il restauro ha previsto la ricostruzione imitativa del partito architettonico omettendo i dettagli più minuti. La decorazione, comprendente anche il solaio, risulta perfettamente leggibile senza tralasciare la riconoscibilità dell’intervento

Il trattamento delle mancanze negli elementi decorativi tridimensionali

I criteri per la reintegrazione delle mancanze sono molto simili al trattamento delle lacune pittoriche.
Alcune tendenze più diffuse – alternative tra di loro – sono infatti:
– la non reintegrazione delle mancanze ormai storicizzate (Foto 14 e 15);
– la sarcitura imitativa di bugnati e modanature di intonaco sagomato (timpani e lunette, cornici delle finestre, bugnati angolari, marcapiani, marcadavanzali e fasce sottogronda) con le tecniche tradizionali;
– la reintegrazione di portali, cornici e fregi in pietra scolpita o cotto sagomato con decisa semplificazione delle linee (Foto 16);
– la reintegrazione con tassellatura, usata soprattutto negli elementi strutturali come murature, pilastri, colonne, archi, volte, capitelli e basamenti.

Foto 14 – Portale romanico in pietra scolpita (San Marco dei Veneziani a Bari): le mancanze, non reintegrate, non compromettono la leggibilità della decorazione

Foto 15 – Decorazioni in marmo con fasce originariamente a mosaico, di cui si conserva qualche lacerto (facciata laterale della chiesa di San Nicola a Bari): le mancanze, ormai storicizzate, non vanno reintegrate

Foto 16 – Portale medievale con lacerto di fregio in elementi di cotto con decorazioni floreali, reintegrato in modo estremamente semplificato

Dobbiamo però considerare che spesso una simile mancanza ha un impatto assai minore sulla leggibilità di una facciata rispetto alla lacuna di un dipinto, perché la nostra percezione ritiene del tutto naturali e inevitabili fenomeni di degrado quali l’erosione: il ripristino delle decorazioni tridimensionali in pietra viene dunque percepito come inutile e forzato.

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