Il riuso consapevole degli edifici storici: analisi di un caso studio
La presenza sul territorio italiano di numerosi edifici storici con funzioni ormai decisamente anacronistiche, come ad esempio conventi (urbani o rurali), abbazie, castelli, palazzi nobiliari, masserie e grandi ville di campagna, pone numerosi problemi relativi alla loro conservazione, valorizzazione e riuso consapevole.
Il problema del riuso degli edifici storici
In particolare, l’ultimo aspetto risulta fondamentale, perché un edificio, per non rischiare l’abbandono (e di conseguenza il degrado e l’oblio), dev’essere necessariamente utilizzato e vissuto. Tuttavia, alcune funzioni originarie degli edifici sono ormai decisamente superate, e occorre dunque trovarne di nuove. Non a caso, uno dei temi principali in qualunque intervento di restauro di edifici ormai abbandonati è proprio la loro rifunzionalizzazione.

Vista dall’alto dell’ex convento di Giaccherino (Pistoia). Immagine tratta da https://conventodigiaccherino.it/
Con gli edifici pubblici, normalmente riconvertiti in scuole, caserme, uffici, biblioteche, musei, sale conferenze, spazi espositivi o facoltà universitarie, si tratta di un problema generalmente risolvibile, mentre per gli edifici privati la questione è più complessa: occorre infatti trovare una destinazione d’uso remunerativa, cioè che possa generare un reddito per il proprietario, ma allo stesso tempo compatibile con le preesistenze.
In tali casi, le destinazioni d’uso preferite sono agriturismi e strutture ricettive per masserie e ville di campagna; e alberghi, resort, “sale ricevimenti” e strutture per eventi (matrimoni, convegni, convention aziendali e feste private) nel caso di castelli, palazzi nobili e conventi.
Nell’ex convento di Giaccherino è avvenuto proprio questo.
Rifunzionalizzare un edificio storico: l’esempio di Giaccherino
L’ex convento di San Francesco di Giaccherino, ubicato su una collina ad ovest della città di Pistoia (Foto 1), fu fondato nel 1414 dal nobile pistoiese Gabriello Panciatichi, e inizialmente era costituito da una chiesa, due chiostri, dai tipici locali conventuali come il refettorio (Foto 2 e 3), il dormitorio con le celle dei frati, la sala capitolare e la biblioteca, e infine numerosi ambienti di servizio come le cucine, l’infermeria e la cantina. Nel corso dei secoli il complesso fu ampliato e rimaneggiato più volte, arricchendosi di un campanile e numerosi affreschi e altre opere d’arte.

Particolare del refettorio dell’ex Convento di Giaccherino prima del parziale crollo della volta. Immagine tratta da https://conventodigiaccherino.it/
Il convento rimase in possesso dei francescani fino al 1810, quando fu soppresso in seguito all’invasione napoleonica. Successivamente vi si insediò una comunità di suore, che a sua volta lo abbandonò nella seconda metà del XX secolo. Nel 2005 venne infine rilevato dall’attuale società di gestione, e – dopo un lungo intervento di restauro – adibito a struttura per cerimonie ed eventi privati.
Secondo il sito internet della società di gestione, dispone infatti di vari ambienti e spazi all’aperto, In particolare, ai matrimoni sono riservati alcuni saloni del primo piano sopra il refettorio e gli spazi ad esso adiacenti: il recente crollo è avvenuto proprio in uno di questi.
Il crollo nell’ex convento di Giaccherino
I fatti – descritti da tutti i mass media – sono ormai noti: il 13 gennaio 2024, alle ore 20:00 circa, durante un ricevimento di nozze è improvvisamente crollata una porzione di volta (Foto 4) mentre gli invitati vi ballavano sopra, facendo cadere almeno 35 persone nel refettorio sottostante. Delle persone coinvolte, circa 20 hanno subito lesioni lievi, mentre una dozzina risultano ferite più gravemente: si tratta perciò di un bilancio decisamente grave, ma non catastrofico. In altre parole, avrebbe potuto andare molto peggio.

Il refettorio dell’ex convento di Giaccherino prima del crollo: si nota molto bene la volta lunettata ancora integra e munita di catene per il contenimento delle spinte orizzontali. Immagine tratta da https://conventodigiaccherino.it/
Tuttavia, l’evento avrà conseguenze legali significative, sia dal punto di vista civile – in termini soprattutto di risarcimento dei danni alle persone coinvolte – sia penali, perché è stata ovviamente aperta un’inchiesta per “disastro colposo”. Inoltre, l’intera struttura è stata immediatamente posta sotto sequestro, e non può quindi essere usata dall’azienda che la gestisce, con ovvie ripercussioni in termini di fatturato (anche dei fornitori abituali di beni e servizi) ed eventuale perdita di posti di lavoro.
A questo punto, sorge spontanea una domanda: si poteva evitare?
Allo stato attuale delle conoscenze, rispondere è molto difficile, perché le possibili cause e responsabilità, omissioni, imprudenze o negligenze dovranno essere accertate dal processo, ma in questa sede è comunque possibile fare alcune ipotesi e considerazioni per evitare il ripetersi di eventi simili.
La volta crollata: tipo, tecniche costruttive e dissesti precedenti
Il crollo ha riguardato una porzione della volta del refettorio, del tipo a botte lunettata con sesto ribassato (Foto 3), con una luce netta – secondo quanto si legge sul sito dell’azienda di gestione – di circa m 5,60. Si tratta quindi di una volta dalle dimensioni piuttosto contenute, e che costituisce una soluzione costruttiva tipica soprattutto delle logge dei palazzi gentilizi e degli ambienti conventuali del XV e XVI secolo: ne troviamo di molto simili ad esempio nel Palazzo Guinigi, nell’ex convento di San Nicolao e nell’ex convento del Carmine a Lucca o nella Badia di San Salvatore a Vaiano (Prato).

La volta del refettorio dopo il crollo: si notano molto bene il suo spessore pari a una testa di mattone (13-15 cm), la presenza dei frenelli (evidenziati dal quadrato giallo) in sostituzione del riempimento e le catene ancora intatte, ad eccezione di una di esse deformata dalla caduta delle macerie. Foto pubblicata sul profilo Facebook dal Sindaco di Pistoia, Alessandro Tomasi, successivamente rielaborata dall’Autrice
Inoltre, esaminando con attenzione le foto precedenti e successive al crollo, si notano alcuni particolari molto interessanti sulla tecnica costruttiva:
- La volta, ovviamente strutturale, ha uno spessore corrispondente ad una sola testa di mattoni (13- 15 cm – Foto 4) ed è formata da mattoni posti per coltello, la cui tessitura non è però determinabile in base alle informazioni in mio possesso.
- È inoltre dotata di varie catene per il contenimento delle spinte orizzontali, poste correttamente in corrispondenza delle reni (Foto 3 e 4) e ancorate sulle murature esterne dell’edificio con capochiave, probabilmente del tipo a paletto. Non è però possibile stabilire se si tratta di catene previste fin dalla costruzione dell’edificio, o invece inserite in un secondo tempo: la presenza di un quadro fessurativo per allontanamento delle imposte sembra suggerire la seconda ipotesi.
- Manca il riempimento, sostituito da una serie di frenelli in posizione canonica: questi consistono di un sistema di muretti disposti parallelamente alle direttrici della volta, con la cimasa piana per costituire il piano d’appoggio della pavimentazione sovrastante. Nel caso in esame, i frenelli sembrano posizionati esattamente sopra ai peducci tra le lunette, con direzione parallela al lato corto del refettorio.
- Ingrandendo ed esaminando con attenzione una foto del refettorio prima del crollo (e quindi con la volta ancora integra), si nota un quadro fessurativo preesistente costituito da una sottile lesione in corrispondenza dell’intradosso della chiave, e alcune altre lesioni vicino alle lunette (Foto 5): si tratta delle lesioni tipiche dei dissesti a flessione per allontanamento delle imposte, estremamente comuni nelle volte a botte.

Il quadro fessurativo presente sulla volta lunettata prima del crollo è pienamente compatibile con un dissesto a flessione per allontanamento delle imposte. Foto tratta da https://conventodigiaccherino.it/ e successivamente rielaborata dall’autrice
Le cause di questo tipo di dissesto sono due: scosse sismiche perpendicolari alla direttrice della volta (tali quindi da far oscillare le due imposte in controfase) e mancanza di adeguati sistemi di contenimento delle spinte orizzontali, ad esempio costituiti da catene alle reni o contrafforti sui piedritti. Il risultato è la formazione di tre cerniere plastiche, una sull’estradosso della chiave, e due negli intradossi delle reni: le lesioni, che nelle volte a botte prive di lunette compaiono all’intradosso della chiave e all’estradosso delle reni, sono la manifestazione più evidente delle cerniere plastiche.
In condizioni statiche, cioè quando la volta è sottoposta a un carico uniforme e simmetrico (e perciò lavora correttamente a compressione), il dissesto non è grave, perché le cerniere plastiche formano una configurazione detta “arco a tre cerniere” con i centri di rotazione non allineati (Foto 6): si tratta di una struttura isostatica, e perciò tendenzialmente stabile. Il dissesto è inoltre facilmente risolvibile inserendo delle catene nei punti più opportuni, sostituendo il riempimento con un sistema di frenelli e risarcendo le lesioni a scuci-cuci; un’alternativa più moderna prevede invece l’uso di nastri di fibre composite in corrispondenza delle lesioni plastiche.

Dissesto di una volta a botte per allontanamento reciproco delle imposte: la volta non crolla perché le cerniere plastiche formano una struttura isostatica, cioè un arco a tre cerniere con i centri di rotazione non allineati
Tuttavia, in caso di carichi dinamici o scosse sismiche, il dissesto per allontanamento delle imposte diventa assai più pericoloso, perché – interrompendo la continuità della volta – la indebolisce fortemente, soprattutto nel caso delle volte lunettate. La presenza delle lunette produce infatti il “rialzamento” delle cerniere plastiche laterali, formando una configurazione statica pericolosamente simile a un arco a tre cerniere con i centri di rotazioni allineati, notoriamente labile (cosa che in una struttura reale si traduce in un parziale crollo).
Il crollo: dinamica e possibili cause
Il parziale crollo della volta si è verificato proprio in presenza di carichi dinamici, perché un video diffuso su tutti i principali mass media mostra gli istanti subito prima del crollo. Come giustamente sottolinea l’ingegner Gherardo Gotti sul proprio profilo facebook, gli invitati stavano ballando L’Amour Toujours a circa 140 battiti al minuto. Perciò, secondo l’ingegner Gotti, “ipotizzando che stessero saltando a tempo, hanno generato una forzante con una frequenza di di 2,33 Hz, ovvero con un periodo pari a 0,43 secondi (2,33 salti al secondo, ovvero un salto ogni 0,43 secondi)”. L’ing. Gotti continua quindi ipotizzando che questa vibrazione – se fosse stata simile al periodo di vibrare tipico di quella specifica volta – potrebbe aver creato un fenomeno di risonanza.
È una sollecitazione estremamente pericolosa per le strutture in muratura o cemento armato, ben nota da svariati secoli: già nel XIX secolo gli eserciti in marcia avevano ad esempio l’ordine di “rompere il passo” attraversando un ponte di pietra per non farlo crollare; mentre nel 1940 la risonanza generata dal vento causò il crollo del Tacoma Bridge, un moderno ponte sospeso: il video dell’evento – molto famoso – è visibile ad esempio a questo link.
Nell’ex convento di Giaccherino, il crollo della volta potrebbe però essere stato prodotto da una somma di concause: la risonanza e l’effetto di “martellamento” (carico dinamico verticale) prodotto dai ripetuti salti all’unisono degli invitati.
Il martellamento è una sollecitazione che le volte – e le murature più in generale – non sono in grado di sopportare. Per rendersi conto di questo, basta considerare due diversi fatti: i danni alle murature dovuti proprio dal martellamento delle travi maestre dei solai durante i terremoti; e l’uso degli arieti negli assedi antichi e medievali. Questi ultimi erano macchine costituite da un robusto tronco d’albero sospeso a un’incastellatura lignea ben protetta, che veniva battuto ripetutamente sulla base delle fortificazioni nemiche fino ad aprirvi una breccia.
Il crollo di Giaccherino non è però l’unico evento di questo tipo, perché esiste almeno un precedente documentato. Un video diffuso su facebook mostra infatti il crollo di un solaio (probabilmente di cemento armato) proprio mentre alcune persone vi ballavano sopra camminando in cerchio a passo cadenzato: si tratta quindi di una dinamica identica a quella del nostro caso studio.
Il crollo di Giaccherino come insegnamento per il futuro
Il crollo di Giaccherino può perciò insegnare molto a chi si occupa di recupero, valorizzazione e gestione degli edifici storici.
In questo campo, gli obbiettivi da conseguire sono essenzialmente tre: tutelare la sicurezza dei fruitori di uno spazio, conservarne l’integrità fisica e materica (sia dell’edificio vero e proprio, sia delle opere d’arte ed elementi di pregio ubicati al suo interno) e trarne profitto e godimento, sia esso economico, spirituale o culturale.
Queste istanze, tuttavia, non sono tuttavia equivalenti, perché incolumità di persone o cose e – subito dopo – la conservazione dell’edificio, hanno l’assoluta precedenza sul “profitto” morale o materiale. In altre parole, il guadagno economico, il ritorno di immagine e il prestigio derivante dalla fruizione di un edificio storico non possono in alcun modo comportare un rischio – sebbene molto basso – per la sicurezza dei suoi frequentatori, o per la salvaguardia dell’edificio stesso.
Dal punto di vista operativo queste constatazioni si traducono in un insieme di regole condivisibili:
- Studiare i precedenti: nel caso specifico di Giaccherino, un’accurata ricostruzione della dinamica del crollo, associata all’analisi di altri eventi simili, potrebbe condurre alla formulazione di modelli più accurati per la verifica strutturale delle volte, evitando il ripetersi di futuri crolli.
- Fare controlli strutturali più mirati e completi: nel caso specifico, un tecnico esperto di strutture storiche, con una semplice ispezione visiva avrebbe potuto ad esempio sconsigliare le feste da ballo nel salone crollato, destinandolo ad attività più “tranquille” come cene o conferenze.
- Scegliere destinazioni d’uso compatibili, non solo per un intero edificio, ma anche per alcuni ambienti dello stesso: a Giaccherino, ballare nel refettorio al piano terra, probabilmente sarebbe bastato ad evitare il crollo. Si tratta di un aspetto strettamente correlato al punto 2).
- Tenere comportamenti prudenti e responsabili, sia da parte dei gestori delle location, sia dei singoli fruitori: in futuro, i partecipanti ad una festa potrebbero ad esempio evitare di saltare tutti insieme su una volta rinascimentale, oppure si potrebbe adottare un ritmo di musica e un tipo di strumentazioni tali da non produrre vibrazioni o risonanza.
- Il punto 4) può essere raggiunto semplicemente aumentando la consapevolezza situazionale, sia da parte dei gestori, che dei fruitori delle location: i primi – dopo una formazione specifica in materia (facilmente ottenibile con corsi – anche online – e materiale informativo come opuscoli e manuali) – potrebbero ad esempio stilare regolamenti adatti a ciascuna situazione; mentre i secondi dovrebbero impegnarsi a rispettarli, evitando comportamenti potenzialmente pericolosi.
Ciò che a mio parere è invece assolutamente da evitare sono la creazione di un’ingiustificata diffidenza nel pubblico e negli addetti ai lavori (tecnici e gestori di strutture ricettive) nei confronti delle strutture storiche; e l’emanazione (spesso sull’onda dell’emozione del momento o per rassicurare l’opinione pubblica mostrando “di stare facendo qualcosa”) di leggi e regolamenti inutilmente restrittivi.
Infatti, occorre ribadire che non tutte le volte rinascimentali sono pericolose e stanno per crollare, e che non ha senso impedire la regolare fruizione di un edificio solo perché antico: semplicemente, occorrono maggiore conoscenza e consapevolezza di ogni situazione specifica.
Un terzo pericolo da evitare è l’introduzione di ulteriori obblighi burocratici (come richieste di autorizzazioni e ispezioni obbligatorie) in capo ai gestori delle location, perché si potrebbero generare due conseguenze contrastanti: l’elusione di tali obblighi, con conseguenti rischi per la conservazione degli edifici; o viceversa un senso di falsa sicurezza, per aver adempiuto a tali obblighi in modo formalmente corretto, ma in realtà sommario e frettoloso.