Architettura

Come isolare un pavimento dall’umidità

Svolgere questa attività con il metodo del fai da te non è semplice, isolare un pavimento dall'umidità può comportare la sostituzione del vecchio pavimento
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Come isolare un pavimento dall’umidità
Metodi e materiali per isolare un pavimento dall’umidità. Ripartiamo dalla storia. Proteggere l’interno degli edifici dall’umidità è un’esigenza che si è manifestata fin da epoche remote per aumentare e mantenere un certo comfort interno, evitare la proliferazione di muffe e salvaguardare la pavimentazione interna, che negli edifici più pregiati era spesso di materiali nobili e costosi. A questi motivi recentemente si è aggiunta anche la necessità di ridurre le dispersioni e i ponti termici, una diretta conseguenza dell’attenzione posta negli ulti anni alla riduzione dei costi di riscaldamento degli edifici, all’efficienza energetica e in generale alla sostenibilità ambientale. Sommario: Conseguenze dell’umidità per la salubrità e il comfort interno degli edifici Combattere l’umidità con le pavimentazioni monoliche di malta Strati drenanti e vespai di ghiaia Pavimentazioni soprelevate: dalle suspensurae dei romani agli igloo

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Conseguenze dell’umidità per la salubrità e il comfort interno degli edifici (Torna su)

Nei piani terra l’umidità tende a penetrare soprattutto dal basso, in seguito alla risalita per capillarità dell’acqua contenuta nel terreno attraverso i materiali dell’attacco a terra (spesso assai porosi), condensandosi proprio sopra la superficie di calpestio o subito al di sotto della pavimentazione. I terreni argillosi, poco drenanti e normalmente intrinsecamente ricchi di falde acquifere, sono particolarmente predisposti al fenomeno.

Foto 1 – Tipico pavimento alla veneziana (seminato), messo a punto nel Rinascimento per resistere all’umidità

La presenza di umidità di risalita capillare comporta numerose conseguenze, tutte assai spiacevoli:
  • aumenta la trasmissione di aria fredda dal terreno all’interno della stanza, diminuendo sensibilmente l’efficacia del sistema di riscaldamento che, negli edifici tradizionali più modesti, era assai rudimentale e basato un solo caminetto, stufa o cucina economica;
  • favorisce la proliferazione di funghi e muffe, con conseguente diminuizione della salubrità e del comfort interno degli ambienti;
  • se ricca di sali solubili può causare la formazione di efflorenscenze e sub efflorescense saline che, oltre a comportare un certo degrado estetico della pavimentazione, possono favorire il sollevamento o la rottura dei singoli elementi: il fenomeno riguarda soprattutto i materiali più porosi come il cotto (uno dei materiali più comuni anche per la pavimentazione degli edifici più modesti sotto forma di pianelle rettangolari, mezzane da solaio o semplici mattoni), l’arenaria e la pietra serena;
  • favorisce il distacco e la marcescenza dei pavimenti di parquet, che negli edifici ricchi erano spesso molto elaborati, con disegni intarsiati in legni di vari colori.
Una situazione del tutto particolare si verifica inoltre nel centro storico di Venezia, in cui l’acqua è una presenza fissa degli ambienti al piano terra, a causa sia dell’acqua alta che si verifica periodicamente, sia dell’umidità di risalita capillare, che risulta inestirpabile per la presenza dei canali e dei particolari sistemi costruttivi veneziani con fondazioni su elaborate palificate lignee.

Foto 2 – Danni da umidità ed esposizione alle intemperie nel pavimento di ciottoli cementati (datato 1825) di un portico nel centro storico di Bologna

Contromisure efficaci per isolare un pavimento

Per mitigare e contrastare questi inconvenienti è stata messa a punto una serie di contromisure, tradizionali o più moderne:
  • adozione di pavimenti soprelevati;
  • uso di “igloo” o cupole di materiale plastico;
  • creazione di pavimenti impermeabili in battuto di cocciopesto;
  • costruzione di strati drenanti di ghiaia grossolana come sottofondo;
  • introduzione del riscaldamento a pavimento, un’innovazione abbastanza recente che tende a migliorare sensibilmente il comfort interno dell’abitazione;
  • interposizione di guaine di impermeabilizzazione all’intradosso del solaio del piano terra o sotto il massetto di integrazione impiantistica.
Questi metodi talvolta vengono combinati per un risultato migliore, perché ciascuno di essi ha le proprie applicazioni specifiche, caratteristiche e vantaggi.

Combattere l’umidità con le pavimentazioni monoliche di malta (Torna su)

Un primo metodo, abbastanza rudimentale ma efficace, per contrastare i danni alle pavimentazioni dovuti sia all’umidità di risalita capillare, sia all’esposizione diretta all’acqua salmastra (conseguente ad esempio “l’acqua alta” veneziana) prevede la costruzione di spesse pavimentazioni monolitiche di malta idraulica.

Foto 3 – Atrio di Domus di Pompei con pavimento in battuto di cocciopesto, particolarmente resistente all’umidità

É un sistema molto antico, perché questo tipo di pavimentazioni fu adottato e perfezionato già dagli antichi Romani per rivestire e impermeabilizzare vasche, piscine, fontane e gli ambienti termali, anche se era molto comune per pavimentare ambienti di servizio o anche di rappresentanza: in quest’ultimo caso la pavimentazione era ulteriormente impreziosita con l’inserimento di tessere di mosaico o scagliette di marmo, con un risultato estetico molto simile ai seminati veneziani. I pavimenti romani, noti come opus signinum, erano formati da un battuto di cocciopesto o “lava pesta”, una malta idraulica formata da calce aerea, un aggregato di sabbia o roccia macinata e pozzolana, cioè lapilli vulcanici finemente sminuzzati.

Dalla malta di cocciopesta alla malta cementizia: i materiali anti umidità

In epoca decisamente più recente troviamo invece i pastelloni e i “terrazziveneziani, nati appunto a Venezia e successivamente diffusi in molte altre zone d’Italia per la loro robustezza, flessibilità, bellezza e – appunto – resistenza all’umidità di risalita capillare. La materia prima tradizionale di questi pavimenti è la malta di cocciopesto, sostituita quasi integralmente da quella cementizia a partire dai primi decenni del XX secolo. In una pavimentazione alla veneziana gli strati, dall’alto verso il basso, sono:
  • un sottofondo di spessore compreso tra 10 e 20 cm disposto sul tavolato del solaio (per i piani superiori), il riempimento della volta o uno strato preparatorio di ghiaia e ciottoli ben costipati (per le pavimentazioni esterne o dei portici), formato da cotto frantumato e una minore parte di pietrisco mescolati con grassello di calce aerea in proporzione di 4 a 1;
  • la coperta o coprifondo con spessore di 2-4 cm in coppiopesto e calce aerea con rapporto di 3:1 stesa a cazzuola;
  • la stabilitura, l’ultimo strato preparatorio, con uno spessore variabile in funzione delle dimensioni dei ciottoli di marmo della finitura ma normalmente di circa 1-2 cm e costituito da una malta di calce spenta e polvere di marmo in rapporto di 1:2;
  • lo strato di finitura, detto semina, formato da ciottoli di marmo e/o scaglie di pasta vitrea con dimensioni variabili tra 5 e 40 mm per i “terrazzi” o seminati, e semplice malta (eventualmente pigmentata soprattutto di giallo, verde o nero per formare disegni geometrici e fasce ornamentali) nei pavimenti in pastellone.

Foto 4 – Pavimento alla veneziana ormai irrecuperabile per il degrado molto avanzato dovuto alla prolungata esposizione alle intemperie, in cui il distacco della semina superficiale evidenzia il sottofondo (o stabilitura) in malta di cocciopesto, molto resistente all’umidità

Lo spessore finale risulta dunque considerevole. La tecnica di esecuzione è molto laboriosa, richiede molte fasi di lavoro e bravura da parte dei “terrazzieri”, artigiani molto specializzati.

Strati drenanti e vespai di ghiaia (Torna su)

Sotto ai pavimenti alla veneziana normalmente si eseguiva un sottofondo drenante di ghiaia a grande pezzatura accuratamente scelta e compattata. Si tratta di una soluzione tecnologica tuttora validissima, di cui i “vespai” costituiscono la logica evoluzione: è infatti una pratica antichissima, perché già i Romani usavano predisporre spessi sottofondi (detti rudus) di ghiaia e scaglie di pietrame a pezzatura gradualmente più sottile sia nelle pavimentazioni stradali, sia sotto quelle interne in opus sectile, signino o mosaico. I moderni vespai di ghiaia possono essere areati oppure no: i primi si distinguono dai secondi per la presenza di alcuni fori di ventilazione, che garantiscono un miglior drenaggio e un’evaporazione più rapida dell’eventuale umidità di risalita capillare. Naturalmente, per evitare l’intrusione e nidificazione di insetti e animali indesiderati, i fori di drenaggio e ventilazione vanno protetti con grigliette o reticelle; inoltre, per una ventilazione più efficace, il pavimento dev’essere soprelevato di almeno 20-30 cm rispetto al piano di calpestio esterno, e anche i fori vanno praticati a una quota di almeno 10 cm per evitarne l’otturazione in seguito all’accumulo di foglie, polvere e cartacce. Al contrario, il pavimento sopra ai vespai non areati può essere alla stessa quota del piano di campagna. L’unico scopo dei vespai non areati è infatti quello di evitare il contatto diretto fra terreno e pavimentazione interna, evitando il ristagno di acqua di falda o piovana e consentendo una rapida evaporazione dell’umidità di risalita capillare.
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Foto 6 – Lo “stabilizzato di cava” (una ghiaia molto grossolana a spigoli vivi) è un materiale particolarmente indicato per la costruzione di vespai e strati drenanti sotto al pavimento del piano terra degli edifici

I migliori materiali

Il materiale migliore per l’esecuzione di vespai (ventilati e non ventilati) è il cosiddetto “stabilizzato di cava”, una ghiaia a spigoli vivi ottenuto dalla frantumazione di rocce soprattutto calcaree, molto utilizzato anche come sottofondo per le pavimentazioni stradali in asfalto o bitume e nelle massicciate ferroviarie. É disponibile in diverse pezzature e presenta vari pregi, come una scarsissima porosità e la presenza di ampie cavità tra i ciottoli che fungono da “barriera” contro l’umidità di risalita capillare. Un vespaio a regola d’arte è formato da uno spessore di circa 30 cm di stabilizzato di ghiaia, sparso manualmente mediante badile e quindi compattato e costipato con un rullo schiacciasassi manuale o meccanico, per evitare la formazione di lesioni o avvallamenti nel massetto soprastante a causa di eventuali assestamenti. Per un risultato ottimale, e soprattutto per ottenere un miglior contatto con il massetto di integrazione impiantistica del pavimento, si possono stendere due strati sovrapposti di stabilizzato a diversa pezzatura: il primo, a diretto contatto del terreno, è formato da schegge di pietrame con dimensioni di 4-7 cm e spessore complessivo di circa 20-22 cm, mentre il secondo, più sottile (spessore di circa 8-10 cm), consiste di ghiaione con granulometria di 2-4 cm. Un’alternativa “moderna” allo stabilizzato di cava è il granulato in vetro cellulare, un materiale artificiale ricavato da puro vetro riciclato macinato finemente, miscelato con attivatori ecologicamente innocui e quindi espanso in un forno continuo. Le sue prestazioni sono paragonabili a quelle della ghiaia naturale, ma rispetto a questa risulta decisamente più leggero.

Pavimentazioni soprelevate: dalle suspensurae dei romani agli igloo (Torna su)

Un’alternativa al vespaio di ghiaia è il cosiddetto gattaiolato. Si tratta di un’intercapedine ventilata, eventualmente utilizzabile anche per un sistema di riscaldamento del tipo a pavimento, realizzata tramite la costruzione di un sistema di muretti o pilastrini che sostengono un impalcato (normalmente formato da grandi tavelloni in laterizio) su cui si imposta la pavimentazione del piano terra. A loro volta i pilastrini poggiano sul cosiddetto magrone, una soletta in calcestruzzo armato o non armato di adeguato spessore.
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Foto 8 – Nei resti di questo ambiente termale romano si nota molto bene il sistema delle supensurae per la costruzione di un’intercapedine riscaldata (ed eventualmente ventilata)

Il sistema, noto anche come suspensurae, fu inventato dei Romani per il riscaldamento artificiale delle terme, ma risulta assai efficace anche per la costruzione di intercapedini ventilate. Normalmente, per essere efficace, l’intercapedine richiede un’altezza di almeno 20-30 cm e dunque, in caso di ristrutturazione di un edificio esistente, occorre soprelevare il pavimento. Inoltre, rispetto ad altri sistemi più moderni come l’uso di igloo di materiale plastico, risulta più costoso e richiede manodopera esperta, con maggiori tempi di lavorazione.

Isolare un pavimento: vespai ventilati su igloo, cosa sono?

La logica evoluzione del gattaiolato sono i vespai ventilati su igloo, costituiti da casseforme a perdere di materiale plastico rinforzato con forma tendenzialmente emisferica a pianta quadrata o rettangolare, dimensioni – a seconda dei modelli – di 50-75 cm e un’altezza normalmente compresa tra 10 e 70 cm. La costruzione di un vespaio di questo tipo prevede varie fasi:
  1. predisposizione di un magrone in calcestruzzo (armato o non armato) di spessore adeguato;
  2. se previste, esecuzione delle canalizzazioni per gli impianti (rete di scolo delle acque bianche o nere, impianto elettrico, gas di città e così via);
  3. disposizione degli igloo a stretto contatto reciproco, senza lasciare soluzioni di continuità, per la formazione dei piedini dell’intercapedine;
  4. sistemazione sopra gli igloo dell’armatura metallica, normalmente costituita da una rete elettrosaldata di tondini di acciaio ad aderenza migliorata di adeguato diametro, a maglie quadrate con lato di 10 cm;
  5. getto del calcestruzzo e successiva vibratura.
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Foto 10 – Tipica stratigrafia di un pavimento su vespaio ventilato tipo igloo. Cortesia dell’azienda Daliform
Rispetto ai gattaiolati tradizionali, si tratta di un sistema di esecuzione semplice e veloce, che grazie all’uso di pezzi standardizzati risulta decisamente più economico e consente un maggiore controllo

 
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