La Corte di Strasburgo esclude lo stop agli incentivi al fotovoltaico come violazione della legittima aspettativa
                                Fotovoltaico in Italia: la Corte di Strasburgo stabilisce che lo stop agli incentivi non infrange la “legittima aspettativa”. Decisione chiave, questa, che chiarisce i limiti del diritto di proprietà nel settore energetico. E l’interpretazione restrittiva può influenzare futuri ricorsi e politiche. La sentenza emessa segna in tal senso un precedente importante.
Le fonti energetiche rinnovabili rappresentano sicuramente il futuro per la produzione di energia e, per tale motivo, l’Europa ha fissato degli importanti obiettivi di medio e lungo termine per arrivare all’importante traguardo del 2050, anno in cui paesi dell’UE si sono impegnati a conseguire l’obiettivo della neutralità climatica. Certamente questo traguardo lo si raggiunge passando da politiche attive, europee e nazionali, che incentivano gli investitori a portare capitali in questo settore, magari con sgravi fiscali ed aiuti statali.
Dualismo tra normativa europea e nazionale
Detto questo, il problema però è sempre dietro l’angolo. Come accaduto per altri bonus fiscali, si guardi a quello tutto italiano del famoso bonus 110% spazzato via da un giorno all’altro dal governo Meloni, lo stesso può accadere (come infatti è accaduto nel caso che vedremo) per le agevolazioni fiscali figlie di politiche di stampo europeo.
Sempre restando in ambito di incentivi fiscali ed energia pulita, nel corso del tempo si sono succedute varie direttive europee, tutte aventi un unico filo conduttore: la promozione e l’incentivazione della produzione di energia elettrica “green”.
E difatti, dapprima la direttiva 2001/77/CE, abrogata nel 2012 dalla direttiva 2009/28 e poi, a decorrere dal 1 luglio 2021, la direttiva (UE) 2018/2001, hanno cercato di muoversi lungo questa via.
Incentivi fotovoltaico, dai sostegni agli stop: i diversi meccanismi di sostegno
Certamente un ruolo chiave lo svolgono gli Stati membri, i quali applicano diversi meccanismi di sostegno delle fonti energetiche rinnovabili, ivi compresi i certificati verdi, aiuti agli investimenti, esenzioni o sgravi fiscali, restituzioni d’imposta e regimi di sostegno diretto dei prezzi. Allo stesso modo, ai vari Stati si concede la possibilità di tarare i vari incentivi in base a differenti e sopravvenute politiche interne o al raggiungimento di massimi di spesa.
Ebbene un caso di questo tipo è proprio quello analizzato da una recente pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), depositata il 7 marzo scorso, relativo ad un procedimento che riguarda l’Italia (ricorso n. 6656/2015), nel quale si afferma che le politiche interne degli Stati membri possono prevedere dei rallentamenti o degli stop momentanei agli incentivi previsti (nel caso di specie riguardavano gli impianti fotovoltaici e l’accesso a tariffe agevolate per l’energia elettrica) se giustificati dal raggiungimento dei fondi previsto per tali misure.
Stop agli incentivi sul fotovoltaico: i motivi del ricorso
A portare la vicenda all’attenzione del giudicante europeo hanno proceduto alcune grandi aziende italiane impegnate nell’installazione di pannelli fotovoltaici, le quali avevano presentato domanda per ottenere gli incentivi previsti dalla legislazione nazionale. Con il passare di alcuni anni, a seguito di un decreto ministeriale ad hoc, era però cambiato il quadro regolamentare in rapporto alle tariffe energetiche e si era anche esaurito l’importo destinato alle richieste di incentivi. Per questo motivo tali aziende non avevano più potuto beneficiare di quegli importanti incentivi che avevano preventivato prima di fare i loro vari investimenti e pertanto decidevano di rivolgersi, dapprima alle corti di giustizia italiane (senza alcun esito positivo) ed infine alla Corte di Giustizia europea.
La tesi sostenuta dalle aziende era molto semplice: vi era stata una lesione del diritto europeo a causa di normative interne italiane incompatibili, integrando così la violazione del diritto di proprietà riconosciuto dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 di cui alla Convenzione europea.
A loro avviso, gli impegni finanziari da loro assunti erano anche finalizzati a ricevere gli incentivi previsti nelle tariffe energetiche e, quindi, in forza del quadro normativo esistente, avrebbero subito una lesione del diritto di proprietà proprio in ragione della legittima aspettativa fondata sul quadro interno.
La decisione della CEDU
Seppur la Corte nel suo preambolo riconosce che, potenzialmente nella nozione di proprietà rientrano non solo i beni già in possesso di un individuo, ma a certe circostanze, è possibile anche ricomprendere tutti quei casi in cui vi sia “una legittima aspettativa a ottenere un bene” (inteso in senso patrimoniale).
Detto ciò, nel caso sottoposto all’attenzione della corte europea, non si ravvisava in alcun modo una legittima aspettativa proprio perché il regime previsto dalla normativa aveva già stabiliva delle condizioni. Le norme italiane, infatti, prevedevano sì l’applicazione di incentivi, ma disponevano anche una revisione degli stessi nel momento in cui fosse stato raggiunto l’importo di sei miliardi di euro.
Per tale motivo, se già all’interno della previsione normativa del legislatore italiano era stato previsto una possibile modifica in pejus degli incentivi al raggiungimento di predeterminate condizioni, non poteva riconoscersi in alcun modo riconoscersi una legittima aspettativa, da parte di quelle imprese, al mantenimento costante delle agevolazioni inizialmente previste.
La Corte ha così respinto il ricorso dichiarandolo inammissibile, sul presupposto che le direttive UE sulla promozione dell’energia rinnovabile non impediscono in alcun modo agli Stati membri di adottare norme interne che prevedano la riduzione o finanche l’eliminazione degli incentivi per l’energia prodotta dagli impianti solari fotovoltaici.
                                    
