Energie rinnovabili

La COP28 e il “ruolo chiave del nucleare”

Si è conclusa da poco la COP28. La sensazione di fondo, nel leggere il “Primo inventario globale” e le dichiarazioni dei partecipanti, è che si stia continuando a prendere sottogamba il problema, procrastinando le soluzioni
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La COP28 e il “ruolo chiave del nucleare”

Si è conclusa da poco la COP28. Com’è andata?
Dalla transition-away alle decisioni cogenti, qual è il ruolo che la Conferenza delle Parti ha affidato al nucleare, tecnologia a zero emissioni di gas serra?

Transition-away!

Si è conclusa da poco la COP28.
È andata come doveva andare: è successo poco o nulla di concreto, lo si (sapeva) sospettava, ma i giri di parole utilizzati, le frasi di circostanza, l’attenzione maniacale data (più che alle parole) ai modi di dire fanno sì che si sia potuto scatenare il dibattito fra quelle che vengono presentate come due fazioni opposte, laddove – invece – si dovrebbe parlare di comunità scientifica e lobbies, che rappresentano, al contrario, due filosofie di vita differenti.
L’una (la comunità scientifica) che studia, analizza, propone soluzioni, ma che viene etichettata come catastrofista dalla seconda, che si accredita – invece – come gioiosa, semplificatrice, risoluta e risolutiva. Ma che rappresenta interessi ben precisi.
Non ci sarà – questo è il succo del discorso – un “phase-out” dai combustibili fossili, ma un transition-away, qualsiasi cosa quest’ultimo termine voglia dire.

Le sostenibilità e le parole OGM

Nelle pagine di Teknoring sottolineiamo, da tempo, che non esiste la sostenibilità (il sottointeso è: quella ambientale), ma molteplici sostenibilità (anche quella economica e sociale, solo per fare due esempi) per le quali deve essere cercato un costante equilibrio.
Ma questo equilibrio, abbiamo sempre sottolineato, deve essere reale, concreto, implementato, e non teorico, filosofico, e soltanto oggetto di chiacchiere.
La sensazione, nel leggere sia il “Primo inventario globale” (è stato chiamato così il documento di sintesi della COP28), sia le morbide dichiarazioni dei partecipanti, è che invece, si stia continuando a prendere sottogamba il problema, procrastinando le soluzioni delle quali non si conoscono né i termini, né le modalità né, infine, la fattibilità.
Non si conoscono perché – prosaicamente – sono state utilizzate “parole OGM”, buone per ogni stagione perché non definiscono: alludono.
Nei 196 punti del “primo inventario globale”, infatti, si sprecano i verbi/termini:

  • ricordare “quanto detto da….il…., in occasione di….”, in una sorta di “recap” di quanto già (più o meno) detto in altre circostanze: nulla di nuovo;
  • compiacersi (in sostanza chi ha scritto e sottoscritto il testo “sente un’intima soddisfazione” per il fatto che – vi riassumo – l’accordo di Parigi abbia dato impulso ad un’azione quasi universale per il clima fissando obiettivi e inviando segnali al mondo riguardo all’urgenza di rispondere alla crisi climatica”. Non c’è altro da aggiungere, direi);
  • ribadire, riaffermare, riconoscere, prendere atto e sottolineare (altri due verbi che rimandano a cose che già sappiamo);
  • si rileva la necessità di “maggiori sostegni ed investimenti”;
  • si accolgono con favore i gli impegni assunti o i progressi ottenuti (!?);
  • si invitano (e si sollecitano) le parti a…;
  • si incoraggiano (sempre le parti) a…;
Sono ben trentadue gli incoraggiamenti: quello più “corposo” riguarda l’attuazione di soluzioni integrate e multisettoriali, come – prendete fiato – “la gestione dell’uso del territorio, l’agricoltura sostenibile, i sistemi alimentari resilienti, le soluzioni basate sulla natura e gli approcci basati sugli ecosistemi, nonché la protezione, la conservazione e il ripristino della natura e degli ecosistemi, comprese le foreste, montagne e altri ecosistemi terrestri, marini e costieri, che possono offrire benefici economici, sociali e ambientali, come una maggiore resilienza e benessere, e che l’adattamento può contribuire a mitigare gli impatti e le perdite, come parte di un approccio di genere e di risposta al genere guidato dal paese, l’approccio partecipativo, basato sulla migliore scienza disponibile, sulla conoscenza delle popolazioni indigene e sui sistemi di conoscenza locali”.
  • si afferma (nel senso di “dichiarare apertamente”, non di “avere successo”);
  • si esortano “vivamente” “le entità operative del meccanismo finanziario a sfruttare appieno le loro attuali ricostituzioni”;
  • si richiede, di volta in volta, a questo o a quell’ente, di preparare, di “intensificare gli sforzi”, di “attuare in linea con la migliore scienza disponibile e di tenere conto delle diverse circostanze nazionali”, di “tenere/organizzare un dialogo”, ma anche una ben più incisiva “azione di adattamento urgente, incrementale, trasformativa e guidata da ciascun Paese in base alle diverse circostanze nazionali”;
  • si esprimono “apprezzamento e gratitudine” a coloro che sono coinvolti nel dialogo tecnico, e (addirittura) si elogiano “68 partiti che hanno comunicato strategie di sviluppo a lungo termine a basse emissioni di gas serra”.

Certo, si riconoscono il cambiamento climatico e la necessità di “riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas serra”, e si prende atto (delle sfide, degli sforzi, delle diversità, …sono 14 i punti di cui “le parti “prendono atto”).

E certo, si prendono perfino delle decisioni.
Per essere più precisi, si decide:

  • “di istituire il dialogo xx sull’attuazione dei risultati del bilancio globale”
  • che tale dialogo sarà operativo a partire dalla sesta sessione della Conferenza delle Parti”;
  • “di convocare un dialogo ministeriale ad alto livello”;
  • “di istituire un programma di implementazione della tecnologia”.

Ma sono “decisioni” vaghe e futuribili, di “compromesso” dialettico, come lo sono le dichiarazioni politiche di chi afferma, solo per fare due esempi, che:

  • “l’accordo di Dubai è una tappa importante. Impegna il mondo nella transizione senza energie fossili, triplicando le rinnovabili e riconoscendo il ruolo chiave del nucleare. È una novità e un passo avanti nel rispetto degli accordi di Parigi. Acceleriamo”!;
    “l’accordo raggiunto alla COP28 è un buon compromesso, figlio del «buon senso»”;
  • “è importante che si siano messe le basi per muoversi verso la direzione del nucleare, il nucleare di seconda generazione che significa autonomia dall’estero e riduzione di C02”.

La COP28 e il “ruolo chiave” nucleare

Il nucleare: ebbene, anche su questo punto, personalmente, mi sono esposto in più occasioni nelle pagine di Teknoring. Ma che cosa ha detto, di concreto, la COP28 sul nucleare?
In realtà il nucleare viene “citato”, en passant, nel punto 28, laddove la Conferenza delle Parti, nel riconoscere – come s’è fatto cenno – “la necessità di riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas serra, invita le parti a sforzarsi nel seguire “percorsi nazionali” volti a:

  • triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale;
  • raddoppiare il tasso medio annuo globale di miglioramenti dell’efficienza energetica entro il 2020;
  • accelerare gli sforzi verso l’eliminazione graduale dell’energia prodotta dal carbone;
  • accelerare gli sforzi a livello globale verso sistemi energetici a zero emissioni nette;
  • utilizzare combustibili a zero e a basso contenuto di carbonio “ben prima o intorno” (“well before or around”…) alla metà del secolo;
  • “abbandonare i combustibili fossili nei sistemi energetici in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050 in conformità con le raccomandazioni scientifiche”;
  • “accelerare le tecnologie a zero e basse emissioni, comprese, fra l’altro, le energie rinnovabili, quelle di abbattimento e rimozione come la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio di carbonio […] la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio e il nucleare”.

COP28: solo un’esortazione?

In sostanza, il “ruolo chiave” del nucleare si riduce ad un’esortazione a prendere in considerazione anche questa tecnologia, finora mai nominata, sebbene immanente.

Che altro dire?

Fra obiettivi da raggiungere entro le “circa-le-meno-quasi”, appelli variamente denominati, frasi ad effetto (vuoi mettere parlare di “Transition-away”?!) e inviti ad accelerare, il nucleare sembra rivestire proprio un ruolo chiave.
Lo dimostra il fatto – per restringere il campo in casa nostra – che dopo un tempo che non si può neanche più calcolare, il MASE ha pubblicato sul proprio sito l’elenco delle aree idonee per il deposito nazionale delle scorie nucleari, contenuto nella Carta Nazionale delle Aree Idonee (Cnai), che individua 51 locazioni possibili.
Dopo tutto questo tempo, ora – entro 30 giorni dalla pubblicazione della Carta – “possono essere presentate le candidature a ospitare il deposito da parte di enti territoriali e strutture militari. Possono presentare candidature anche enti locali non indicati nella Cnai, chiedendo alla Sogin di rivalutare il loro territorio”.
Non lo sentite anche voi il rumore della ressa?

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