Efficienza energetica                
            
            Le cause e le conseguenze della lunga crisi del gas
                
                    La crisi del gas ha messo in luce l'incapacità di attuare serie politiche di lungo periodo che sarebbero dovute consistere in investimenti volti a diversificare le fonti di approvvigionamento energetico                
                
                    
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                                                                            Da mesi ormai si parla di crisi del gas, guardando verso l’instabilità geopolitica ad est dell’Europa. È un momento molto difficile. E la crisi del gas è solo uno dei problemi.
La crisi del gas e l’analisi delle cause (reali)
Le scusanti a latere della causa
Le conseguenze della crisi del gas: dalla geopolitica…
…alla guerra dei prezzi
Le soluzioni e le tempistiche di aspetti interconnessi
La soluzione culturale e la prosaica realtà
Ecco, allora, che nel medio-breve periodo si possono ipotizzare diverse soluzioni, che – tuttavia, non solo non presentano quel carattere strutturale che solo gli investimenti sono in grado di assicurare, ma hanno profili critici di non poco conto.
Il calmieramento dei prezzi delle emissioni (in forte crescita) per ridurre i costi di un temporaneo maggiore impiego del carbone (ipotesi sostenute dai Paesi dell’est, Ungheria e Polonia in prima linea) costituirebbe, infatti, una mossa disastrosa dal punto di vista reputazionale di un leader climatico internazionale come la UE.
Non ci resta che confidare – per sperare in qualche investimento: quello giusto – nell’implementazione del PNRR, che pur pilotata da tecnici dovrà essere votata da chi, finora, si è limitato a proporre lo scostamento di bilancio per affrontare il caro bollette.                                                                                                                    
                La crisi del gas e l’analisi delle cause (reali)
Non è la prima volta che dobbiamo affrontare una crisi energetica. E non è la prima volta che dobbiamo analizzarne le cause, da un lato, ed ipotizzare delle soluzioni, dall’altro. L’ultima analisi in ordine cronologico è quella relativa alla “crisi del gas”, offerta nei giorni scorsi da Nick Stansbury, Head of Climate Solutions di Legal & General Investment Management (LGIM), e non è di quelle incoraggianti: si prevede, infatti, che la crisi del gas naturale possa durare ancora molti anni, provocando lunghi periodi di carenza sui mercati. L’analisi parte subito mettendo in chiaro quali sono le cause: anni di investimenti insufficienti, in generale e soprattutto rispetto agli obiettivi climatici ambiziosi che molte nazioni si sono poste, che sono del tutto incompatibili con gli attuali livelli di domanda.Le scusanti a latere della causa
Poi, certo, ci sono altri fattori che più, ma soprattutto meno, possono in qualche modo aver contribuito al boom dei prezzi del gas. Le accuse per l’aumento del prezzo del gas naturale – si legge nel commento fatto circolare da LGIM – “sono state rivolte contro molteplici player e fattori esterni: il tempo atmosferico, la pandemia, la produzione in generale, il rallentamento delle trivellazioni, l’Opec, gli scenari geopolitici” e “molti altri ancora”. Fattori che possono essere tutt’al più considerati come “concause contingenti” DELLA causa (comune, peraltro, a molte altre crisi, odierne, passate e future, se la china continuerà ad essere questa, aggiunge chi scrive, che si trova d’accordo con questa analisi), che continua ad essere solo una, e deve essere ricercata in “anni di investimenti insufficienti, che hanno portato a un’offerta di commodity per la produzione di energia di lungo periodo a livello globale scarsamente diversificata”. Con tutto quello che ciò comporta a livello di prezzi, da un duplice punto di vista: inflazione crescente e contrazione dei redditi reali, a discapito soprattutto – ma questo ça va sans dire – dei ceti più poveri.Le conseguenze della crisi del gas: dalla geopolitica…
Beninteso, la geopolitica ha avuto il suo ruolo, ma “solo” come conseguenza della mancanza degli investimenti. Certo, nel corso degli ultimi anni si è percepito un miglioramento della sicurezza energetica a livello europeo, grazie ad interventi regolatori, a nuove infrastrutture, e ad una congiuntura di mercato favorevole che ha contribuito a tale evoluzione delle priorità. Ma non basta. Senza i necessari investimenti – e, quindi, senza “le spalle larghe” in grado di sostenerci in momenti di emergenza – basta “un niente” per ritrovarsi a dover gestire una nuova emergenza, e non a pilotare un cambiamento. Inevitabile, di conseguenza, che le turbolenze nei mercati internazionali del gas riportino questa risorsa al centro dell’attenzione dell’Unione europea, insieme al rischio politico. L’esponenziale crescita della tensione fra Russia e Ucraina – che sta già dando i suoi primi, rapidi e incontrollabili “frutti” a livello diplomatico –, così come quella fra Bielorussia e Ue nel quadro della crisi dei migranti al confine polacco-bielorusso, non è passata inosservata agli operatori del mercato: in questi mesi si sono ripetute le minacce di sospensione degli approvvigionamenti di gas, da un lato, cui hanno fatto seguito le minacce di sanzioni da parte dell’Unione europea. UE che, intanto, sta finora assicurando gli approvvigionamenti contendendosi il gnl con l’Asia a colpi di prezzi.…alla guerra dei prezzi
“Quello che stiamo vivendo è uno degli shock dei prezzi più impattanti che si siano mai verificati e, purtroppo, il quadro dice che la situazione non migliorerà in tempi brevi e che l’Europa si troverà ad affrontare lunghi periodi di carenza di questa commodity”. È questa la sintesi dello studio di LGIM, che prosegue evidenziando come “il risultato è che i mercati europei e asiatici sono entrati in competizione per accaparrarsi le riserve e questo porterà a una maggiore connessione tra i prezzi e che la sfida si concentrerà sul mercato spot del gas naturale liquefatto (LNG)”. Fa eccezione il mercato statunitense: “il motivo per cui il trading si mantiene su prezzi tanto scontati è perché non c’è una sufficiente capacità di liquefazione per raggiungere tutti i comparti economici e collegarli tra loro”.Le soluzioni e le tempistiche di aspetti interconnessi
Servirebbero delle risposte immediate: ai cittadini/consumatori e alle imprese, per quanto riguarda (principalmente) il lato economico, a “madre Natura” per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi climatici, anche se sappiamo che il concetto di sostenibilità non può più essere declinato al singolare (sostenibilità ambientale), ma deve essere considerato nella sua più vasta dimensione, che comprende almeno le sostenibilità economia e sociale. Il problema è che per fare investimenti occorre tempo, ma “l’incertezza che si è diffusa porterà gli investimenti interni a restare su livelli bassi, soprattutto in Europa, e questo farà aumentare le possibilità di carenze di gas prolungate nel tempo”.| Negli Stati Uniti, questo dovrebbe tradursi in un supporto ai costi dell’energia da parte del governo, dato che si sta andando verso una generale omologazione dei mercati energetici. | 
Le soluzioni impraticabili
Anche la seconda e la terza soluzione, entrambe basate sul gas, non sembrano praticabili:- l’acquisto congiunto per la costituzione di una riserva strategica europea, che possa intervenire sul mercato calmierando i prezzi nei momenti critici, non lo è sia da un punto di vista temporale (ci vuole tempo) che burocratico-amministrativo e, insieme, temporale (costituzione di un’istituzione costosa in termini amministrativi e materiali, che potrebbe rivelarsi ben presto insostenibile man mano che il processo di decarbonizzazione avanza);
 - il dialogo con la Russia rappresenterebbe, oltre ad una soluzione perennemente emergenziale, anche un problema dal punto di vista tattico-strategico e diplomatico. E in ogni caso non risolverebbe IL problema, ma si limiterebbe a tamponarlo.
 
La soluzione culturale e la prosaica realtà
Ma al di là delle scelte contingenti, più o meno volute, più o meno imposte dai fatti, LA soluzione (gli investimenti, nei quantitativi, modi e tempi corretti) ha la sua radice nella mentalità: si tratta, ridotta ai minimi termini, di una questione culturale. Purtroppo – chiosa lo studio LGIM – “una buona parte della colpa della crisi del gas in Europa è nostra, che non abbiamo fatto investimenti adeguati e per molto tempo abbiamo demonizzato la produzione propria, facendo anche molto poco per soddisfare la domanda interna. Tutto questo ha solamente accresciuto la dipendenza dalle forniture estere; dipendenza che riteniamo continuerà a peggiorare, almeno fino al 2030”.Non c’è solo il caro bollette
Da noi il dibattito sembra focalizzarsi soltanto sul “caro bollette”, e sulle soluzioni di breve gittata. Ma se, da un lato, sono stati stanziati denari per aiutare le fasce più deboli della popolazione, rimane irrisolto il problema energetico per le industrie, che hanno lanciato il loro grido d’allarme: con queste tariffe elettriche non ci sono profitti, e il rischio chiusura è alle porte. Dal MiSE arriva la proposta di tassare le società energetiche. Il Ministro, infatti, ha dichiarato essere “opinione condivisa all’interno del governo che coloro che, in relazione a questa situazione del tutto particolare, stanno registrando extra-profitti debbano in qualche modo contribuire alla fiscalità generale per permettere di intervenire nei confronti delle categorie più svantaggiate”.| Non mancano i distinguo, come quello del presidente del settore dell’aziende energetiche per Confindustria, che ha “ribadito che gli extra-profitti non sono delle società italiane, bensì dei produttori di gas stranieri”. | 
                                    