Efficienza energetica

L’Italia ancora in ritardo nell’adottare politiche efficaci contro la crisi climatica

Classifica Climate Change Performance Index 2026: il nostro Paese scende al 46esimo posto. Male anche Usa e Cina
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L’Italia ancora in ritardo nell’adottare politiche efficaci contro la crisi climatica

L’Italia fa ancora troppo poco per combattere con efficacia la crisi climatica. È questo il desolante risultato che emerge dalla classifica “Climate Change Performance Index 2026” stilata nell’ambito del rapporto di Germanwatch, Can and the NewClimate Institute, realizzato in collaborazione con Legambiente per l’Italia.

Il documento è stato presentato alla Cop30 in Brasile, nella città di Belém, nello stato del Pará, tenutasi dal 10 al 21 novembre scorsi. Le strategie adottate dal nostro Paese non sono così concrete come richiede l’Accordo di Parigi. Ricordiamo che il “Paris Agreement” impegna i Paesi firmatari a contenere l’aumento della temperatura media globale “ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali” e di proseguire gli sforzi per “limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C”.

Il trend negativo dell’Italia nel contrasto al climate change

La speciale classifica di settore è impietosa: nel 2025 l’Italia scende dal 43esimo al 46esimo posto. Un passo indietro significativo, figlio di un trend negativo che ci vedeva ventinovesimi nel 2022. Una caduta libera che la fa restare anche quest’anno ben lontana dalle posizioni di vertice che vedono dominare la Danimarca, seguita da Regno Unito e Marocco.

Tra le peggiori performances, anche quelle di Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita. Male anche la Cina, pur guadagnando una posizione. “L’azione climatica globale fa progressi – osserva Legambiente – ma i Paesi procedono troppo lentamente nel raggiungere gli obiettivi climatici. L’Italia paga lo scotto di una visione politica miope. Serve una svolta green per fare dell’Italia un hub delle rinnovabili e contrastare l’emergenza climatica”.

Climate Change in Italia: ritardi cronici

In Italia, nel periodo 1990-2023 le emissioni climalteranti italiane sono diminuite del 26,4% e secondo le proiezioni Ispra, entro il 2030 sarà possibile una riduzione delle emissioni nazionali di solo il 42%, includendo anche gli assorbimenti. Ritardo dovuto anche alla crescita ancora lenta delle rinnovabili. Nel 2023 la quota del consumo da fonti rinnovabili, sul consumo finale lordo di energia, si è attestato ad appena il 19,6%, performance inadeguata a raggiungere l’obiettivo del 39,4% previsto dal Pniec.

L’Ispra sottolinea, infatti, che il ritmo di crescita delle rinnovabili dovrebbe essere circa quattro volte superiore. “Un Piano – commenta Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo Legambiente e inviato alla COP30 – poco ambizioso, che posticipa il phase-out del carbone addirittura al 2038 e ricorrendo ancora una volta a false soluzioni (come la CCS e il nucleare) che faranno solo perdere tempo e risorse al nostro Paese”.

La situazione nel mondo

Il report prende in considerazione la performance climatica di 63 Paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. La performance è misurata, attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030.

Anche quest’anno le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite, in quanto nessuno dei Paesi ha ancora raggiunto la performance necessaria per contribuire a contenere con efficacia il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1,5°C. Il quarto posto della Danimarca è frutto della significativa riduzione delle emissioni climalteranti e allo sviluppo delle rinnovabili. Il Regno Unito (5°) ha messo in campo una più ambiziosa politica climatica. Sale il Marocco con emissioni pro-capite molto basse e consistenti investimenti nel trasporto pubblico.

Male USA e UE

In coda alla classifica i Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili: subito dopo la Russia, ecco Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita. Tra i Paesi del G20, responsabili del 75% delle emissioni globali e con un ruolo cruciale per contrastare la crisi climatica, in basso si posizionano Sudafrica, Indonesia, Italia. E in fondo alla classifica Turchia, Cina, Australia, Giappone, Argentina, Canada, Sud-Corea, Russia, Usa e Arabia Saudita.

La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, sale al 54° posto, appena una posizione rispetto allo scorso. L’Unione europea (20°) scende di tre posizioni, con solo 15 Paesi nella parte medio-alta. Performance Ue condizionata dalla Germania, maggiore economia europea, che scende di ben 6 posizioni (22°). Soprattutto per il programma di nuovi impianti a gas, che rischia di compromettere i considerevoli progressi nelle rinnovabili.

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