Edilizia

Stato legittimo dell’immobile: l’ultimo titolo deve essere accertato dall’Amministrazione

Anche per il "Salva Casa", l’ultimo titolo edilizio deve dare conto dell’accertamento circa la sussistenza e la regolarità dei titoli edilizi precedenti
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Stato legittimo dell’immobile: l’ultimo titolo deve essere accertato dall’Amministrazione

Per determinare lo stato legittimo dell’immobile, l’Amministrazione deve accertarne almeno l’ultimo titolo edilizio. Lo stabilisce il Tar Milano che, nella sentenza n. 2749 del 22 luglio 2025, ha respinto il ricorso di una società che si era vista respingere una segnalazione certificata di inizio attività (Scia) relativa alla realizzazione di un edificio residenziale di tre livelli fuori terra su un’area di sua proprietà in precedenza occupata da altro edificio (poi demolito), in seguito all’emergere delle seguenti criticità:

  1. stato di fatto diverso da quello dichiarato in progetto, posto che l’edificio demolito sarebbe stato adibito a scuderia (piano terra) e fienile (piano primo), e non a laboratorio (come dichiarato nel progetto);
  2. la superficie lorda (s.l.) espressa dall’immobile demolito sarebbe inferiore a quella dell’immobile da realizzare posto che la parte adibita a fienile non esprime s.l.;
  3. a corredo della Scia non sarebbe stata prodotta la documentazione necessaria a verificare il rispetto dell’art. 21.2 delle norme di attuazione del PGT, il quale stabilisce che le edificazioni nei cortili devono avere altezza pari o inferiore a quella dell’edificio preesistente.

Il ricorso

Nel ricorso la società sosteneva che l’edificio demolito, del quale si intendeva utilizzare la s.l., avrebbe avuto destinazione produttiva e che la destinazione residenziale, che si intendeva attribuire al nuovo fabbricato, doveva comunque ormai ritenersi ammessa stante l’avvenuto consolidamento di precedenti titoli edilizi (mai attuati) finalizzati a trasformarlo in immobile a destinazione residenziale.

In particolare gli ultimi titoli edilizi validi rilasciati dal Comune erano una Dia sostitutiva del permesso di costruire e una Dia in variante, nelle quali il progettista aveva dichiarato, relativamente allo stato di fatto, che l’immobile demolito aveva appunto destinazione produttiva e nelle quali si prevedeva di conferire al nuovo fabbricato destinazione residenziale. A tali atti, mai contestati dal Comune, bisognava fare riferimento per stabilire quale fosse lo stato legittimo dell’immobile.

Il Tar Milano non ha condiviso questo motivo di ricorso, richiamando l’art. 9-bis, comma 1-bis, del dpr n. 380 del 2001, nella formulazione vigente all’epoca di approvazione del provvedimento impugnato, in cui si stabilisce che “Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare”.

Stato legittimo: l’ultimo titolo edilizio non basta

Dunque, per dimostrare lo stato legittimo di un immobile, non è sufficiente produrre l’ultimo titolo edilizio che lo ha interessato ma è necessario anche l’esame di quello che ne ha previsto la costruzione. La dichiarazione del progettista, concernente lo stato di fatto, contenuta nella pratica afferente all’ultimo titolo non è di per sé sufficiente a dimostrare lo stato legittimo del bene, dovendo tale dichiarazione trovare riscontro nel titolo precedente. Se il progettista, nella pratica afferente all’ultimo titolo edilizio, aveva dichiarato che lo stato di fatto era legittimo ma in realtà non lo era, in quanto l’edificio era stato in precedenza abusivamente modificato o non era comunque conforme al titolo che ne aveva assentito la costruzione, l’abuso rimane e può essere sempre sanzionato dall’amministrazione nonostante l’erronea dichiarazione abbia appunto consentito il rilascio di un nuovo titolo.

Solo con l’art. 1, comma 1, lett. b), del decreto-legge n. 69 del 2024 (cd. “Salva Casa“), convertito con modifiche dalla legge n. 105 del 2024, il legislatore ha deciso di tutelare l’affidamento del privato consentendo, a determinate condizioni, di dare rilevanza esclusiva alle risultanze dell’ultimo titolo, comprese quindi le dichiarazioni rese dal progettista nella relativa pratica e concernenti lo stato di fatto.

Oltre allo stato legittimo, serve l’accertamento dell’ultimo titolo edilizio

La norma subordina però questo favorevole effetto alla condizione che l’amministrazione, in sede di rilascio dell’ultimo titolo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi. Ne consegue che, per dimostrare lo stato legittimo, l’interessato può sì limitarsi a produrre l’ultimo titolo edilizio, ma deve trattarsi di un titolo che (oltre a riguardare un intervento che interessi l’immobile nella sua interezza) dia conto dell’accertamento effettuato dall’amministrazione circa la sussistenza e la regolarità dei titoli edilizi precedenti che legittimano lo stato di fatto in esso dichiarato.

L’attestazione dell’amministrazione circa la regolarità dei titoli pregressi deve essere esplicita, altrimenti la rappresentazione dello stato di fatto compiuta dal progettista non è di per sé sufficiente poiché la circostanza che un’opera non legittima sia rappresentata nelle pratiche edilizie non può comportarne la regolarizzazione postuma.

La legittima destinazione nel caso in esame

Nel caso in esame, il titolo edilizio che ha assentito la costruzione non risultava reperibile, per cui l’unico atto da cui desumere la sua originaria destinazione funzionale era il verbale di terza visita, da cui risultava che lo stesso immobile era stato in origine destinato a scuderia (piano terra) e a fienile (piano primo). Non risultavano esservi titoli edilizi successivi che ne avessero autorizzato il mutamento di destinazione d’uso, né era stato provato che tale mutamento fosse stato impresso in epoca antecedente all’introduzione dell’obbligo di munirsi di titolo edilizio.

Il Tar Milano ha pertanto dovuto ritenere che la legittima destinazione fosse appunto a scuderia e fienile e che, quindi, la destinazione produttiva, a cui di fatto l’edificio è stato successivamente adibito, sia stata conferita in assenza di titolo. Le dichiarazioni rese dal progettista nelle pratiche afferenti alle Dia non sono da sole sufficienti a conferire legittimità ad uno stato di fatto in realtà non conforme alla disciplina urbanistico-edilizia.

Ultimo titolo edilizio e stato legittimo: che cosa cambia con il “Salva Casa”

Nemmeno è applicabile la norma di favore introdotta dal “Salva Casa”, dato che l’atto impugnato è stato adottato in epoca antecedente alla sua entrata in vigore. In ogni caso, anche ammettendo l’applicabilità delle nuove disposizioni, non ci sarebbe stato alcun effetto sanante perché non risultava che il Comune avesse in qualche atto esplicitamente attestato di aver accertato la regolarità dei suddetti titoli edilizi.

Infine neppure il consolidamento delle Dia ha reso definitivamente ammissibile la destinazione residenziale. Infatti, anche ammettendo la perdurante efficacia di questi titoli, ciò che si poteva al massimo sostenere è che fosse ancora realizzabile l’intervento in essi previsto (e mai realizzato). La società ricorrente, se effettivamente avesse ritenuto che le citate Dia fossero ancora efficaci, avrebbe dovuto coerentemente proseguire i lavori realizzando l’edificio residenziale ivi previsto senza preoccuparsi di ottenere un diverso titolo. Avendo invece deciso di avvalersi di altro titolo presentando la Scia, non poteva pretendere che il Comune rimanesse per sempre vincolato a quelli precedenti e dovesse per forza permettere il consolidamento della suddetta Scia, astenendosi dal valutarne la conformità alla vigente disciplina urbanistico-edilizia.

I termini del potere inibitorio puro

Il Tar Milano ha respinto anche il motivo del ricorso secondo cui il provvedimento impugnato sarebbe stato illegittimo in quanto intervenuto oltre il termine di trenta giorni da quello di presentazione della Scia, senza che fosse stata in precedenza effettuata alcuna comparazione di interessi e senza esplicitazione delle superiori ragioni di interesse pubblico che hanno indotto l’Amministrazione ad esercitare il potere di autotutela.

Vero che in base all’art. 19, comma 6-bis, della legge n. 241 del 1990, l’amministrazione, per esercitare il potere inibitorio puro nei casi di Scia in materia edilizia, ha un termine di trenta giorni, decorso il quale può ancora intervenire, ma solo ove ricorrano le condizioni previste per l’esercizio del potere di autotutela. Tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che, quando il titolo abilitativo si forma a seguito di una falsa rappresentazione del privato e non vi è quindi alcun affidamento da tutelare, non solo è ammesso il superamento del termine massimo per l’esercizio del potere di autotutela, ma neppure è necessario procedere alla comparazione di interessi, posto che l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto è, in questi casi, sostanzialmente in re ipsa, non potendosi tollerare il mantenimento di un atto illegittimo determinato dal contegno scorretto del privato.

Nel caso in esame, la società, quando ha presentato la Scia, era consapevole del fatto che lo stato di fatto legittimo dichiarato dal progettista non era in realtà tale. Non vi era quindi alcun affidamento da tutelare e non era perciò necessario che l’amministrazione, nell’esercizio del potere inibitorio, effettuasse una comparazione di interessi.

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