Serre in Lombardia, quando scade il termine?

Occorre far distinzione tra serre stagionali, temporanee e quinquennali, come chiarisce il Tar di Brescia, Sezione II, nella sentenza n. 475 del 29 maggio 2025, che ha accolto il ricorso di un produttore di ortaggi a foglia, che utilizza serre su terreni di sua proprietà situati in un’area classificata in ambito E2 (Agricolo produttivo della pianura orientale) e tutelata sotto il profilo paesaggistico per il caratteristico valore estetico tradizionale e per gli aspetti panoramici e vedutistici.
Il caso
Il ricorrente, con due comunicazioni di inizio lavori (Cil), aveva avviato la realizzazione di serre a tunnel, con struttura metallica e copertura in film plastici, da utilizzare per la produzione orticola in una zona definita dalle valutazioni di impatto paesistico nelle relazioni tecniche allegate alle Cil “completamente pianeggiante e defilata rispetto ai centri abitati, priva di elementi paesaggistico ambientale, zona ampia e pianeggiante a vocazione agricola colturale cerealicolo foraggera, caratterizzata da un numero elevato di aziende agricole, operanti con indirizzi produttivi differenti, principale allevamenti intensivi di bovini da latte”.
Nell’analisi paesistica, al progetto era attribuita la classe 2, ovvero bassa, per quanto concerne il grado di incidenza del progetto. L’impatto paesistico era ritenuto pari ad 8, nell’intervallo da 5 a 15 e pertanto sopra la soglia di rilevanza, ma sotto la soglia di tolleranza.
Successivamente il ricorrente aveva presentato istanza per la trasformazione di alcune serre stagionali in serre temporanee. In questa occasione, è stato chiesto il parere della Commissione per il Paesaggio e della Soprintendenza. La Commissione aveva espresso parere favorevole con prescrizioni, ritenendo che le opere di cui al progetto non arrecassero pregiudizio ai valori paesaggistici dell’area agricola. La Soprintendenza, invece, aveva espresso parere negativo.
Serre stagionali o permanenti: la normativa nazionale e regionale
L’ente locale territoriale aveva a sua volta ritenuto che le serre avessero carattere permanente e non stagionale, in quanto non rimosse immediatamente al cessare della temporanea necessità e, comunque, nel termine massimo di 180 giorni. Sul presupposto che le serre realizzate e in fase di realizzazione dovessero qualificarsi come interventi di nuova costruzione, le stesse erano ritenute prive di qualsiasi titolo legittimante e, conseguentemente, abusive sia sotto il profilo urbanistico sia sotto il profilo paesistico. Pertanto, ne veniva ingiunta la demolizione entro 90 giorni.
Il ricorrente impugnava l’ordinanza di demolizione e il parere della Soprintendenza. Il Tar ha ritenuto fondato il ricorso e lo ha accolto dopo un’attenta ricostruzione della normativa nazionale e regionale.
Innanzitutto, le serre, purché sprovviste di muratura, sono disciplinate dall’art. 6 dpr n. 380 del 2001 e sono, pertanto, annoverate tra gli interventi di edilizia libera. In particolare, alla lett e) del comma 1, sono indicate le serre mobili stagionali, che oltre ad essere sprovviste di opere di muratura devono anche essere funzionali allo svolgimento dell’attività agricola.
La successiva lett. e bis) si occupa di opere stagionali e di “opere dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale”.
La disciplina nella Regione Lombardia
Con riferimento alle serre, la Regione Lombardia ha dettato una disciplina dettagliata (art. 62 comma 1-ter della legge regionale n. 12 dell’11 marzo 2005 e DGR n. 10/7117 del 25 settembre 2017), per tenere conto di alcune esigenze proprie dell’attività agricola del territorio, non adeguatamente soddisfatte dalle previsioni nazionali.
Sulla base delle norme lombarde, il Tar Lombardia ha ritenuto che le serre oggetto dell’ordinanza di demolizione non possono essere qualificate come serre stagionali, per un profilo funzionale, trattandosi di strutture senza le quali l’azienda agricola non potrebbe effettuare alcuna produzione. L’attività del ricorrente, infatti, non è stagionale, ma presuppone una permanenza di lungo periodo delle serre sul terreno, in modo da rendere possibile una programmazione continuativa della produzione.
D’altro canto, la valutazione dell’ente locale territoriale, che aveva qualificato le serre come manufatti abusivi che dovevano essere rimossi in quanto nuove costruzioni allo scadere del centottantesimo giorno, ha ignorato la specifica disciplina regionale, che interpone tra le serre stagionali e le serre fisse la categoria delle serre temporanee quinquennali, per le quali non vale il termine di 180 giorni. In questo caso, doveva essere applicato il ben diverso e più lungo temine quinquennale previsto dalla DGR n. 10/117 del 25 settembre 2017, pacificamente non ancora scaduto.
Il regime per le serre stagionali e per quelle temporanee
Inoltre l’ordinanza impugnata non considerava che, allo scadere del termine quinquennale, la normativa regionale non parla di rimozione, ma dell’obbligo di scoprire completamente le serre, lasciando il terreno nudo per un periodo pari ameno ad un ciclo produttivo. Ne consegue, conclude la sentenza, che l’ordinanza impugnata deve essere annullata, in quanto applica una disciplina diversa da quella che regola la fattispecie in esame. La normativa applicabile non si limita ad una disciplina esclusivamente temporale. Le serre temporanee, infatti, beneficiano del regime di favore previsto dal legislatore regionale se rispettano alcune condizioni: “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio”.
Inoltre, le serre temporanee sono consentite entro un certo rapporto di copertura, pari al 60% dell’intera superficie aziendale. Il comma 5 dell’art. 59 della legge regionale n. 12 del 2005 specifica che “al fine di tale computo è ammessa l’utilizzazione di tutti gli appezzamenti, anche non contigui, componenti l’azienda, compresi quelli esistenti su terreni di comuni contermini”.
La discrezionalità della Soprintendenza
Per quanto riguarda il parere negativo della Soprintendenza, considerato il vincolo paesistico pacificamente insistente sull’area, pur rispettando la discrezionalità tecnica della Soprintendenza, il Tar Lombardia rileva come “non possono, però, essere ignorati gli elementi fattuali che definiscono il reale contenuto del vincolo nell’attuale stato dei luoghi, né è possibile ipotizzare che il parere della Soprintendenza possa cancellare la disciplina regionale in materia di serre temporanee impedendo una moderna utilizzazione agricola dei fondi con un’interpretazione del vincolo impostata sull’opzione zero. La Soprintendenza, nel parere impugnato, ha fatto riferimento ad un vincolo paesistico che non corrisponde più all’attuale situazione dei luoghi, e non ha tenuto conto della necessità di salvaguardare la destinazione produttiva dei terreni agricoli”.
“La presenza di complessi sportivi e di impianti fotovoltaici e la stessa vicinanza a una zona industriale artigianale possono influire sulla percezione del paesaggio agrario tradizionale, nel senso di rendere compatibili innovazioni coerenti con l’attività agricola, sia pure modernamente intesa. L’installazione di serre temporanee presenta indubbiamente una maggiore continuità con lo stato dei luoghi originario rispetto ai recenti manufatti sopra ricordati. Il giudizio estetico deve quindi tenere conto dell’ordinata collocazione delle serre sul terreno, del rispetto del rapporto di copertura massimo consentito, e dell’introduzione di misure di mitigazione idonee a schermare non tanto le singole serre ma l’impatto complessivo delle stesse”.
Altro aspetto che non poteva essere ignorato è la necessità di rispettare il rapporto di copertura massimo, pari al 60% dell’intera superficie aziendale, dato che non risulta essere stato accertato nel corso dell’istruttoria.
Il ricorso quindi è stato accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati.