Edilizia

Sanatoria del terrazzino abusivo ricavato nel sottotetto, quando si può?

Il Consiglio di stato chiarisce quando l'annullamento di un permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione di un terrazzino sul tetto di un edificio è legittimo
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Sanatoria del terrazzino abusivo ricavato nel sottotetto, quando si può?

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4469/2021 esamina il caso di un terrazzino abusivo, realizzato nel sottotetto di un’abitazione posta in zona vincolata e per il quale era stato richiesto permesso in sanatoria. A detta dei giudici di Palazzo Spada, la sanatoria, anche se concessa dal Comune, era però arrivata “troppo tardi”. Quando il bene ormai era stato acquisito di diritto al patrimonio del Comune.

Il caso

Nel Comune di Vietri sul Mare, un uomo aveva fatto realizzare un terrazzino scoperto ricavato nel sottotetto dell’abitazione, attraverso la “riduzione di una falda del tetto” e l’ “elevazione di un muro di tompagno per inserimento di infisso”. L’opera non era stata dichiarata nella DIA, presentata dal proprietario nell’anno 2004, per la ristrutturazione dell’immobile.

Così, nel 2007, su segnalazione di una vicina di casa, il Comune di Vietri sul Mare notificava all’uomo un verbale di accertamento e successiva ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi. L’uomo non provvedeva ad eliminare il terrazzino abusivo e la vicina di casa si rivolgeva al TAR per ottenere la declaratoria del dovere del Comune di provvedere alla esecuzione dell’ordinanza di ripristino dei luoghi. Nel corso di questo giudizio, e precisamente nell’anno 2012, il proprietario dell’immobile presentava domanda di permesso in sanatoria per il terrazzino abusivo. E la sanatoria veniva concessa. Ma la vicina di casa si rivolgeva al TAR Campania, Sede di Salerno, impugnando la sanatoria per chiederne l’annullamento.

Le ragioni della vicina

Il ricorso al TAR della vicina di casa era motivato dal fatto che il permesso in sanatoria era stato rilasciato dal Comune molto tempo dopo che l’ordine di demolizione e rimessa in pristino era rimasto ineseguito dal proprietario. A detta della vicina quindi, il Comune aveva automaticamente acquisito il bene al patrimonio comunale. Non essendo più proprietario al momento del rilascio del permesso in sanatoria, il vicino di casa non avrebbe avuto titolo per veder sanata un’opera non più sua. Il Tar dava ragione alla vicina. E il proprietario del terrazzino si appellava al Consiglio di Stato, contro la decisione che dichiarava tardiva la sanatoria da lui ottenuta.

La difesa del proprietario

Il proprietario del terrazzino censurava la decisione del TAR sulla base di due argomenti.

  1. In primo luogo, dal momento che l’intervento eseguito era qualificabile come semplice “ristrutturazione”, l’assenza di permesso o la totale difformità e la mancata rimessa in pristino degli abusi, avrebbe dovuto essere regolata dall’art. 33 DPR 380/2001 (e non dall’art. 31). Che non prevede l’acquisizione del bene al patrimonio del Comune.
  2. In secondo luogo, l’acquisizione al patrimonio comunale non avverrebbe automaticamente, ma richiederebbe una manifestazione di volontà da parte dell’ente. Quantomeno al fine di individuare i beni e l’area di sedime, che dovrebbero essere oggetto di trascrizione.

Nel caso di specie il fabbricato era in regola. E l’abuso riguardava il solo terrazzino, del quale il Comune non avrebbe potuto acquisire la proprietà in modo indipendente dalla proprietà dell’immobile  principale.

La posizione della giurisprudenza del Consiglio di Stato

  1. difformità in area sottoposta a vincolo paesaggistico

Sulla prima questione posta dal proprietario, il Consiglio di Stato ribatte che il terrazzino era stato realizzato in area sottoposta a vincolo paesaggistico. In questo caso non si applica l’art. 33 invocato dal proprietario, ma l’art. 32 del Dpr 380/2001, in base al quale gli interventi realizzati in difformità dal permesso di costruire sono considerati variazioni essenziali ai sensi e per gli effetti degli artt. 31 e 44 DPR 380/2001. Pertanto in caso di mancata ottemperanza all’ordine di ripristino entro il termine di 90 giorni, si applica l’art. 31 comma 3 del DPR 380/2001 che prevede l’acquisizione di diritto del bene e dell’area di sedi al patrimonio comunale.

E’ vero che è possibile fare domanda di permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 36 DPR 380/2001, ma entro il termine essenziale di 90 giorni. Scaduto invano tale termine, si applicano le sanzioni previste, che nel caso di variazione essenziale consistono appunto nell’acquisizione del bene al patrimonio del Comune.

  1. Acquisizione del bene al patrimonio del Comune: atto automatico?

Nell’affrontare la seconda questione sollevata dal ricorrente, il Consiglio di Stato, richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale l’acquisizione del bene al patrimonio del Comune non necessita di alcuna manifestazione di volontà da parte dell’ente.  Si tratterebbe infatti  di “un atto dovuto senza alcun contenuto discrezionale”,  “subordinato esclusivamente all’accertamento dell’inottemperanza e al decorso del termine di legge (90 giorni) fissato per la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi” (Cons. St., sez. VI n. 3686 del 2020).

L’accertamento dell’inottemperanza all’obbligo di demolire e ripristinare, avrebbe natura meramente dichiarativa, finalizzata solo a formalizzare l’effetto già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione di demolizione, ovvero l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate. “Tale acquisizione costituisce una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione: posta la natura dichiarativa dell’accertamento dell’inottemperanza, dunque, la mancata indicazione dell’area nel provvedimento di demolizione può comunque essere colmata con l’indicazione della stessa nel successivo procedimento di acquisizione “ (Cons. st. sez II n. 7008/2020).

Consiglio di Stato, sentenza n. 4469/2021

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