Edilizia

Effetto “Salva Casa”: quando si applica la riduzione dell’altezza interna dei locali?

In un intervento di ristrutturazione edilizia con cambio di destinazione d’uso occorre dimostrare un miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie
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Effetto “Salva Casa”: quando si applica la riduzione dell’altezza interna dei locali?

I commi 5-bis e 5-ter dell’art. 24 del dpr n. 380/2001, introdotti dal “Salva Casa”, sono applicabili solo ai locali esistenti già ad uso abitazione, o anche in caso di ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso da locali accessori di sgombero/cantina ad abitazione? La questione è al centro della sentenza n. 2861 del 25 agosto 2025 del Tar Lombardia, ma non trova risposta nel merito, poiché i giudici amministrativi lombardi hanno ritenuto inammissibile per un vizio procedurale il ricorso intentato dalle proprietarie di un compendio immobiliare con destinazione residenziale avverso il provvedimento del Comune che imponeva il divieto di prosecuzione dell’attività edilizia e invitava le ricorrenti a conformare la Scia alle proprie prescrizioni entro il termine di successivi trenta giorni.

Ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso: il caso

La Scia in questione riguardava l’esecuzione di un intervento di “ristrutturazione del piano terra con cambio di destinazione da superficie accessoria a superficie utile abitabile-riqualificazione energetica”. In particolare, l’intervento prevedeva la “formazione di vespaio areato, interrato per quanto riguarda il soggiorno/cucina e la camera, per mantenere l’altezza interna di 2.70 m., mentre per quanto riguarda il bagno e lo studio viene realizzato un vespaio in sopraelevazione raggiungendo l’altezza interna di 2.50 m. nel rispetto dell’altezza minima prevista per questi locali”.

Una successiva Scia, in variante alla precedente, apportava una modifica al progetto, prevedendo un’altezza interna pari a 2,50 m. per tutti i locali, anche per quelli con permanenza di persone, così da poter realizzare il vespaio “precedentemente previsto con ribassamento della quota di pavimento, in sovrapposizione all’attuale piano pavimentato”. Tale riduzione dell’altezza interna sarebbe stata ammessa per i locali abitabili dal Decreto Salva Casa (decreto-legge n. 69/2024, convertito dalla legge n.105/2024), trattandosi di intervento di ristrutturazione atto a garantire l’adattabilità ed il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie.

Quando le varianti non sono ammissibili

L’amministrazione giudicava la Scia carente in quanto le opere oggetto di variante indicate come ammissibili in quanto rientranti tra quelle indicate nei c.5 bis e 5 ter dell’art. 24 del dpr 380/2001, non risultano atte a garantire un miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie di locali già ad uso abitazione, in quanto l’edificio è soggetto ad un intervento di ristrutturazione edilizia volto a trasformare in locali abitativi dei locali precedentemente utilizzati come locali accessori di sgombero/cantina. Occorre rivedere il progetto e la relazione tecnica in conformità con gli elaborati grafici. Il fascicolo tecnico progettuale inoltre deve essere corredato dalla verifica dei rapporti di aero-illuminazione dei locali oggetto di modifica”.

A causa della mancata conformazione del titolo nel termine previsto di trenta giorni, il Comune aveva conseguentemente disposto l’inefficacia della segnalazione e il divieto di attività edilizia.

Secondo le ricorrenti, il provvedimento si basava sull’erroneo presupposto che i commi 5-bis e 5-ter dell’art. 24 del dpr n. 380/2001, introdotti dal “Salva Casa”, sarebbero applicabili solo ai locali esistenti già ad uso abitazione, mentre nel caso specifico, trattandosi di un intervento di ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso da locali accessori di sgombero/cantina ad abitazione, sarebbe necessariamente servito rispettare i requisiti igienico-sanitari previsti dal dm del 5 luglio 1975. L’ambito di applicazione delle previsioni del “Salva Casa” dovrebbe invece necessariamente includere anche gli edifici e/o i locali non residenziali – a fronte della crescente domanda di spazi abitativi accessibili – con la conseguente possibilità di trasformare i medesimi in abitazioni, dovendosi così evitare ogni interpretazione tendenzialmente “restrittiva” della nuova normativa.

Il vizio procedurale

Senza entrare nel merito, il Tar Lombardia ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso, poiché le censure esposte dovevano essere presentate, nei termini di legge, avverso la nota del Comune, la quale fa riferimento esplicitamente alla mancata rispondenza dell’intervento proposto ai requisiti igienico-sanitari previsti per i locali con destinazione abitativa, trattandosi di ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso da locali accessori ad abitazione.

Infatti, “il privato che non intende conformarsi alle indicazioni prescrittive dell’amministrazione oppure ritenga le stesse erronee, sproporzionate o non pertinenti, è tenuto a impugnare il provvedimento direttamente avverso l’ente locale che impone motivatamente il divieto di prosecuzione dell’attività edilizia oggetto di segnalazione e invita il segnalante a conformare il progetto”.

Le ricorrenti, pur riscontrando la nota in questione, non avevano tuttavia dato seguito alle indicazioni dell’amministrazione, limitandosi a evidenziare che l’intervento in variante avrebbe comportato il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie dei locali, con conseguente applicabilità dei commi 5 bis e 5 ter dell’art. 24 del dpr n. 380/2001 ai fini dell’asseverazione della sussistenza delle condizioni di abitabilità di un immobile con altezza inferiore a 2,70 metri e superiore a 2,40.

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